4. Pioggia

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Anandria si sistemò i capelli dietro le orecchie con un gesto nervoso, poi si sedette sulla solita panchina verde, con la vernice scrostata e segnata dalle intemperie. Neil le si accomodò accanto e la guardò sorridendo.

«Cos'hai da ridere, tu?» gli disse lei.

«Sono solo felice, tutto qua.»

«Ma non mi dire. È strano!»

«È tutta colpa tua. Mi sei mancata!»

I due amici si strinsero in un abbraccio. Quando si separarono, lo sguardo di Neil incrociò gli occhi azzurri di Anandria, stanchi e vuoti più del solito.

«Come stai?» le chiese dolcemente.

Lei sospirò. «Come vuoi che stia? Il lavoro è pesante, i turni sono lunghissimi. Non ho mai un attimo di tempo per me e non posso neanche lamentarmi, altrimenti rischio il posto. La casa è sempre in disordine; d'altronde, non ci sto quasi mai.»

Neil la guardò, amareggiato. «Mi dispiace. Vorrei aiutarti, ma non saprei come fare.»

«Non importa, davvero.»

Tra i due scese un silenzio carico di apprensione. Neil era a disagio: Anandria lavorava giorno e notte, con turni massacranti e una paga appena sufficiente per vivere; lui, invece, non era altro che un parassita. Passava le sue giornate chiuso in casa, a lamentarsi della noia, mentre sua madre e Anandria, le uniche persone a cui teneva davvero, non avevano neanche il tempo di respirare. Questo lo distruggeva: quando ci pensava, Neil si sentiva soffocare.

Quanto avrebbe voluto dirglielo, ad Anandria. Tuttavia, per qualche strana ragione, quella volta le parole non vollero uscirgli di bocca e si aggrovigliarono dentro di lui, allacciandosi a confusi brandelli di pensieri nella sua mente.

«Potrei pensarci io a casa tua, sempre se ti va» tentò, cercando di rendersi utile.

«Ti ringrazio, Neil, ma non ce n'è bisogno. Ce la faccio» tagliò corto Anandria.

«Come preferisci. Sai bene che se dovessi avere bisogno di me, correrei da te.»

Lei sorrise. «Lo stesso vale per me.»

Neil tacque. Non sapeva cosa dire, ed era la prima volta che succedeva una cosa del genere tra di loro. Lui e Anandria si erano sempre capiti al volo, non avevano mai nutrito rancore l'uno nei confronti dell'altra e avevano sempre parlato di tutto ciò che li affliggeva.

«Sai, stamattina ho visto una scena veramente ridicola» disse Anandria all'improvviso.

Neil si riscosse. «Cioè?»

«Stavo andando a lavorare, saranno state le dieci. Stavo per attraversare la strada, quando mi si sono piazzate davanti tre ragazze bellissime che ovviamente mi hanno del tutto ignorata. Mentre aspettavamo che le macchine si fermassero, è arrivato quel tizio strampalato, com'è che si chiama? Quel vecchio rimbambito che sta sempre dalle parti del bar, vicino alla stazione...»

«Arun» rispose Neil, senza pensarci.

«Sì, bravo, Arun! Era dietro di noi e non smetteva di fissarci, dio che nervoso! A un certo punto si è messo a ridere come un idiota, così dal nulla, e ha ruttato così forte da fare schifo. Dovevi vedere quelle tre come l'hanno guardato male! Gli hanno detto delle cose tremende, e lui invece di arrabbiarsi si è messo a ridere ancora più forte e ha gridato qualcosa verso di me, tipo: "Insani, combattete!". Quello è matto, fuori di testa! Sono scappata via senza neanche guardarlo in faccia, chissà che strane idee ha in quella mente malata!»

Neil sorrise tra sé. Per la prima volta da quando ne aveva sentito parlare, provò una specie di compatimento nei confronti di quel vecchio fuori dal mondo. Chissà che cosa doveva aver passato nella sua vita per essere così strano e distaccato dalla società.

«Ci ho parlato, ieri» disse ad Anandria.

Lei strabuzzò gli occhi. «Ci hai parlato? Ma come?!»

«Sì... cioè, per un minuto.»

«E che ti ha detto?»

«Niente di che, farneticava, e poi mi ha chiesto come mi chiamavo.»

«Non gliel'hai detto, vero?»

Neil esitò. «Sì.»

Anandria sembrò scaldarsi. «Sei forse impazzito?»

«Perché, cosa c'è di male? Probabilmente l'avrà già dimenticato» si giustificò lui.

«Neil, non so se mi spiego. Quel vecchio è pazzo, è pericoloso! Conosci le voci che girano su di lui: è uno squilibrato!»

«Cosa c'entra? Il fatto che conosca il mio nome non significa che mi ucciderà nel sonno questa notte!»

«Ma perché glielo hai detto? Potevi almeno inventartene un altro!»

«Non ci ho pensato, va bene?»

Anandria sbuffò. «Fai come ti pare. Sappi soltanto che se continuerai a essere così imprudente, non farai altro che metterti nei guai.»

Neil strinse i pugni. C'era decisamente qualcosa che non andava, quella sera. Nonostante quell'eccessiva preoccupazione l'avesse irritato, non replicò; non aveva voglia di litigare, non con Anandria e meno che mai per un motivo così stupido.

«Tranquilla, starò attento» le disse.

«Me lo auguro.»

Un lampo rischiarò il cielo con violenza, seguito da un forte boato. Anandria rabbrividì.

«Andiamo, prima che inizi a diluviare.»

I due amici si alzarono dalla solita panchina e si avviarono fuori dal parco. Uscirono tramite un cancello sgangherato e attraversarono di corsa la strada di fronte, rifugiandosi sotto una tettoia per ripararsi dalle grosse gocce di pioggia che stavano cominciando a cadere. La fermata dell'autobus era poco lontana.

«Credo che sia meglio tornare a casa» disse Anandria. «Non possiamo fare niente, con questo tempo.»

«Già. A che ora passa il prossimo autobus?»

«Il mio è tra cinque minuti.»

«Anche il mio dovrebbe arrivare a breve.»

Rasentando i palazzi per proteggersi dalla pioggia, Neil e Anandria raggiunsero la pensilina che segnalava la fermata dei pullman. Meno di un minuto dopo, due autobus si incrociarono, frenando ai lati opposti della strada.

Neil salutò Anandria con un rapido abbraccio, che mai come quella volta gli sembrò una triste consuetudine. «Quando potremo rivederci?» le domandò.

«Non lo so. È un periodo pesante con il lavoro. In ogni caso, fatti sentire!»

«Non mancherò.»

Neil attraversò la strada di corsa, si arrampicò appena in tempo sulle scalette dell'autobus e si lasciò cadere sconsolato su uno dei sedili vuoti, accanto al finestrino. Da lì poteva scorgere il pullman di Anandria; per un attimo gli sembrò di intravedere i capelli biondi e voluminosi dell'amica che le celavano il viso. Poi, un cigolio acuto: erano in partenza. Trenta secondi dopo, l'autista svoltò bruscamente a sinistra e Neil perse di vista la fermata, l'autobus di Anandria e i suoi capelli dorati.

Si sentiva il cuore appesantito. Un senso di vuoto si impossessò dei suoi pensieri e Neil vi si perse così a lungo che quasi dimenticò di scendere alla sua fermata. Fu solo per caso, quando l'autobus accostò, che Neil guardò fuori dal finestrino, distratto, e riconobbe l'insegna familiare di un pub, segno che era arrivato a destinazione. Schizzò in piedi, corse verso le porte posteriori e vi si infilò pochi secondi prima che si chiudessero. L'autista imprecò, lui si scusò con un cenno imbarazzato.

Fuori dall'autobus, la pioggia lo attendeva puntuale. Neil si mise a correre verso casa, coprendosi la testa con il cappuccio della felpa.

Cominciava a fare freddo, la sera. La strada era buia e quasi deserta, proprio come il suo animo turbato. Quando rischiò di scivolare sull'asfalto bagnato, Neil rallentò il passo e si strinse nella felpa, rassegnato a ricevere i colpi di quella pioggia che cadeva spietata e indifferente su ogni cosa.

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