11. Sui giornali

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Il 25 di ottobre, Neil tornò ai suoi lavori a casa di Arun. Non appena lo vide arrivare, il vecchio gli corse incontro e gli domandò come aveva trascorso il compleanno. Stranamente era ancora in casa, avvolto da una vestaglia verde bottiglia indossata su un vecchio pigiama sgualcito, e tossiva ogni tre parole.

«Come sta?» gli chiese Neil con educazione.

«Come sto? Potrebbe andare meglio, ma potrebbe anche andare peggio. La vecchiaia è una carogna, ragazzo mio: escono fuori tutti i difetti e le debolezze. Tu, piuttosto... l'hai aperto il mio regalo?»

«Sì, l'ho aperto. Grazie mille.»

Arun scosse la testa. «Non te lo vedo al polso.»

Neil rimase sorpreso. «Sì, è che... ho paura di rovinarlo, mentre lavoro» si giustificò, rendendosi presto conto di quanto fosse assurda quella scusa.

«Indossalo, se vuoi. È utile» disse il vecchio in un sorriso sdentato.

Neil scomparve nel bagno per infilarsi gli abiti da lavoro: un paio di jeans vecchi e macchiati e una maglietta bianca bucata in più punti. Quando aprì la porta della temuta camera triangolare, l'attesa sensazione di inquietudine gli percorse la schiena.

Lì dentro, il caos aveva qualcosa di diverso rispetto alle altre stanze della casa: gli oggetti accatastati senza criterio sembravano voler raccontare storie d'un tempo andato; le pareti, che un tempo dovevano essere state di un bel verde mela, parevano impregnate di mistero. Quel disordine era vivo, e sembrava volerlo inghiottire nel vortice dei suoi segreti.

Neil scacciò via i pensieri e si accinse a mettersi all'opera. Prima di iniziare, anche se forse era solo una suggestione, si sentì come se qualcuno lo stesse osservando. Si guardò intorno, si girò e scorse la figura di Arun che si dirigeva in cucina strascicando i piedi. Neil poté giurare di aver visto il vecchio distogliere lo sguardo dalla sua schiena una frazione di secondo prima che si voltasse del tutto.

 Neil poté giurare di aver visto il vecchio distogliere lo sguardo dalla sua schiena una frazione di secondo prima che si voltasse del tutto

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Anandria giocherellava con la cerniera della borsetta. Mancavano venti minuti a mezzanotte e un sonoro sbadiglio annunciò la sua stanchezza. Neil le passò un braccio attorno alle spalle e lei vi appoggiò delicatamente il capo, socchiudendo gli occhi per qualche secondo.

Era stata Anandria a chiedergli di uscire. Una telefonata, soltanto un paio d'ore prima. «Voglio vederti» gli aveva detto, e lui aveva colto al volo il suo bisogno.

Si erano incontrati nel pub vicino a casa di Neil, ma dopo una mezz'ora erano dovuti uscire; il locale chiudeva alle undici. Erano andati dunque a rintanarsi sulla panchina della fermata del bus, coperta da una tettoia di plastica che, seppur alla meglio, li riparava dal freddo. Avevano parlato tanto, proprio come ai vecchi tempi, quando erano ragazzini spensierati e al mondo non contava altro che la loro amicizia. Anandria si era sfogata con Neil e gli aveva rivelato le sue paure più grandi: il timore di non farcela, di perdere il lavoro e con esso la casa e l'autonomia; il terrore di ammalarsi per lo stress, e poi quell'onnipresente paura di non essere abbastanza, di non essere all'altezza delle altre ragazze della sua età.

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