Le palpebre di Neil si chiusero per qualche secondo. Arun gli aveva concesso una pausa, il tempo di impastare il pane, e lui era quasi sul punto di addormentarsi sulle pagine giallastre di un volume polveroso.
Un guizzo grigio lo fece ridestare. Il gatto gli era saltato in grembo e ora gli stava facendo le fusa, acciambellato sulle sue gambe. Neil lo accarezzò, distratto, e si ritrovò a pensare a quando aveva chiesto ad Arun come si chiamasse: il vecchio non si era preso la briga di dargli un nome per non privarlo della sua libertà felina.
Lui però non era molto d'accordo. Per lui un nome aveva una certa importanza: era un modo per racchiudere la natura di ciò a cui era attribuito, era un modo per riconoscerne l'individualità e trattenere le sensazioni che il suo portatore era capace di dare.
Lui stesso aveva sempre sofferto non solo l'assenza di suo padre, ma anche la mancanza di un nome a cui rivolgere i pensieri, a cui scrivere una lettera che non avrebbe mai spedito.
Eppure, quel nome aspettava di venir letto ormai da tre mesi, ma Neil non ne aveva ancora avuto il coraggio.
Tirò fuori il bigliettino dalla tasca. Lo teneva sempre con sé, era diventata un'abitudine. Lo appoggiò sul libro che stava leggendo e lo fissò per almeno due minuti. Era così assorto che non sentì i passi strascicati di Arun sulle scale e sobbalzò quando il vecchio tossì a due metri da lui.
«Cosa diamine stai facendo?» domandò Arun.
Neil sollevò appena il biglietto. «Qui c'è scritto il nome di mio padre» rivelò. «Me l'ha lasciato mia madre, ma non l'ho ancora aperto.»
Il vecchio gli rivolse un'occhiata addolcita. «Vuoi che ti lasci da solo per poterlo leggere?»
«In realtà... in realtà io non voglio leggerlo.»
Lo disse senza pensarci, ma si rese conto che era esattamente quello che voleva. Restare nel limbo, restare il figlio di una madre sola che, per compensare, l'aveva amato il doppio.
«Ne sei sicuro?»
«Credo di sì. Non ho mai avuto un padre. Non mi ha mai voluto, non mi ha mai cercato. Non mi interessa sapere chi è.»
Sollevò il biglietto con cautela, come se potesse scoppiare da un momento all'altro, e lo porse ad Arun. «Vorrei che lo gettassi via.»
«Potresti pentirtene.»
«Lo so. Ma non ho bisogno di lui. Mia madre valeva per due.»
Il vecchio sorrise. «Sarebbe stata felice di sentirtelo dire. Ma sei sicuro di non voler dare a tuo padre nessuna possibilità? Magari in fondo lui vorrebbe vederti.»
«Ha avuto vent'anni per farlo. E poi cosa potremmo mai dirci? Siamo due perfetti estranei. Lui potrebbe essere chiunque. Potrebbe essere un Paziente, e odiarmi. Potrebbe essere morto. Anzi, so che è così. Mio padre è morto.»
Mentre scandiva quelle ultime parole, Neil ne prese consapevolezza. Se lo sentiva nelle ossa, nel sangue, nel cuore. Rabbrividì e cercò di non pensarci.
Arun sospirò. «Beh, non aspettarti che ti dica qual è la cosa giusta da fare, perché non c'è nessuna cosa giusta, in questi casi. L'unica cosa giusta è quello che vuoi tu.» Si sporse in avanti e strappò il bigliettino dalle mani di Neil. «Più tardi lo getterò nel camino.»
Lui gli sorrise. «Mi basta che lo fai sparire, non c'è bisogno di bruciarlo. Io non ne ho il coraggio.»
«Va bene, come preferisci.»
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Il Ponte di Nessuno
AdventureUna pillola al giorno, e ti amerai di più. Una pillola ogni mattina, e non avrai pensieri. Avrai una vita perfetta. Tutto sarà come l'hai sempre voluto. Affare fatto? Neil è un Insano di vent'anni, ripudiato dalla società Paziente in cui ha scelto d...