27. Sul Ponte di Nessuno

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Il gran giorno era finalmente arrivato.

Neil si gettò giù dal letto in fretta e furia, barcollante dal sonno, spalancò la finestra per far passare un po' d'aria e corse in bagno a lavarsi. Presto sarebbero arrivati gli ospiti e lui voleva farsi trovare in perfetto ordine.

Aveva passato la giornata precedente a ripassare tutto ciò che aveva studiato negli ultimi tempi, sia per rinfrescarsi la memoria per poter fare una bella figura durante la riunione, sia per distrarsi dall'opprimente solitudine che sembrava non volergli dare scampo. Chiudere occhio era stato impossibile, come aveva previsto: il senso di colpa lo straziava e le immagini della nuova Anandria, schiava di quello stesso destino che aveva sempre ripudiato, continuavano a salirgli inesorabili alla mente.

Arun, in compenso, quella mattina era più energico che mai. Sembrava ringiovanito di vent'anni e la scintilla nel suo sguardo pareva aver cancellato l'interminabile emarginazione in cui era stato segregato per una vita intera. Neil gli sorrise: chi meglio di quel vecchio strampalato avrebbe potuto comprendere ciò che provava?

Quando Arun gli aveva detto che tra i loro ospiti ci sarebbero stati un paio di ragazzi della sua età, Neil si era rallegrato: s'era aspettato di trovare soltanto uomini e donne con la stessa vitalità di una mummia, e sapere che la Resistenza non era una prerogativa esclusiva di vecchi nostalgici lo fece sentire meno solo.

Pranzarono in fretta con il pane che Arun aveva appena sfornato e due fettine di carne, e una volta che ebbero finito di lavare i piatti e sistemare nel salotto una ventina di sedie tutte di fattura diversa, il vecchio e il ragazzo rimasero in una silenziosa attesa.

Arun ridacchiava nervoso ogni cinque minuti, mentre Neil non faceva altro che camminare avanti e indietro dal salotto alla sua camera, poi in bagno e ancora nella sua stanza. L'unico che sembrava normale in quella casa era il gatto, che se ne stava acciambellato sullo zaino di Neil e ronfava ignaro di tutto.

Alle cinque in punto Arun si accorse di aver finito la legna per il fuoco, così mandò Neil a prenderne altra. Lui si infilò la giacca, prese una cassetta di plastica dalla cucina e marciò fino al retro della casa, accanto all'orto, dove un minuscolo magazzino di lamiere ospitava un cumulo di ciocchi di legno. Riempì la cassetta con tutti i ceppi che riuscì a infilarvi, ci poggiò sopra qualche rametto più piccolo e tornò in casa barcollando sotto il peso della legna.

Quando ebbe svoltato l'angolo, un suono di voci lo fece immobilizzare.

C'erano delle persone che parlavano, davanti alla porta, e a giudicare dal chiasso che facevano dovevano essere almeno una decina. Neil riconobbe la risata gracchiante di Arun e sentì fare il suo nome, così fece dietrofront e si nascose dietro alla parete laterale della casa. Aveva aspettato quel momento per settimane, aveva studiato e lavorato sodo. Ora non voleva di certo presentarsi ai membri della Resistenza con le braccia piene di legna e i rametti secchi attaccati ai vestiti.

Quando Arun prese a chiamarlo a gran voce, tuttavia, Neil non poté tirarsi indietro. Prese un bel respiro, cercando di tenere ferme le gambe che gli vacillavano dall'emozione, e coprì la distanza che lo separava dagli ospiti in una dozzina di passi.

L'ingresso esagonale della vecchia villa risuonava delle loro voci concitate. La porta era spalancata e Neil vi si infilò incerto, passando tristemente inosservato. Entrò in salotto in cerca di Arun e lo trovò intento a parlottare con un gruppetto di uomini. Erano cinque, vestiti da taglialegna con tanto di scuri. Sconcertato, Neil li osservò per diversi secondi prima di rendersi conto che il loro era soltanto un travestimento.

«Pensa che una vecchietta ci ha raccomandato di fare attenzione quando ci ha visti entrare nel bosco, perché pare che da queste parti ci sia un pazzo scellerato che tortura le persone...» stava dicendo uno di loro ad Arun.

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