18. L'inizio della fine

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Anandria sbatté violentemente la borsetta sulla panchina.

«Licenziata! Mandata via senza una parola!»

Neil la guardava, preoccupato. «Ma come è possibile?»

«È quello che mi chiedo anch'io! Il giorno prima sgobbi come un animale, e ventiquattr'ore dopo sei fuori, senza lavoro e senza un motivo!»

«Mi dispiace, davvero...»

«Il bello è che tra nove dipendenti hanno mandato via solo me. Me, capisci? Ero rimasta l'unica Insana del gruppo, a parte le altre due lavapiatti, che hanno un contratto fisso. Non potevano di certo tenermi! E pensare che quelle due vecchie sono così odiose, non sono buone a nulla e non sanno nemmeno sgrassare le piastrelle! Dio, che nervi!»

Anandria tirò un calcio a un sasso, che volò per alcuni metri prima di conficcarsi nel terreno delle aiuole di fronte a loro. Di rado Neil l'aveva vista così arrabbiata.

«Dai, cerca di calmarti» provò a dirle.

«E come faccio? Se non trovo subito un altro lavoro, mi sbattono fuori di casa! Capisci che la mia autonomia è finita? Non posso tornare da mio fratello; non ora, ché è in difficoltà. Mia cognata cerca lavoro da mesi. Come posso pretendere io di trovare un posto in due settimane?»

«Potresti venire a lavorare con me» propose Neil.

Anandria lo fulminò con lo sguardo.

«Non sto scherzando! Lo so che Arun non ti piace, ma con me è stato gentile. E poi non è quasi mai in casa. So che non è il massimo, ma tu potresti occuparti delle pulizie mentre io farei i lavori più pesanti.»

«Io non voglio averci nulla a che fare con quel vecchio. E comunque non se ne parla: toglierei il lavoro a te.»

«Preferirei guadagnare qualcosa in meno e sapere che non vivi sotto ai ponti.»

«Lo so, lo so! Oh, Neil, perché deve essere tutto così difficile?»

Neil fece per dirle qualche parolina di conforto, ma qualcosa gli colpì il naso. Una goccia, grossa e pesante. E poi un'altra, sulla fronte. Altre due tra i capelli.

«Anna, sta piovendo! Andiamo, vieni!»

La prese per mano e corse con lei fuori dal parco.

Anandria si strinse nel cappotto. Sbuffò. «Ma perché deve piovere ogni santa volta che ci vediamo?»

Neil la trascinò sotto alla tettoia di un centro commerciale, l'edificio più vicino, e restarono entrambi lì, fermi, spalmati contro le pareti ad aspettare che spiovesse. Ma la pioggia cadeva sempre più forte: Neil aveva le scarpe da ginnastica zuppe, e i lunghi capelli di Anandria erano bagnati quasi come dopo una doccia.

«Entriamo» bofonchiò lei, e Neil la seguì nel centro commerciale.

Dentro trovarono musica e tepore ad attenderli. Si sfilarono i cappotti grondanti acqua e strofinarono le scarpe su dei pezzi di cartone umidicci, posti accanto alla porta d'ingresso.

Ogni negozio del centro commerciale pareva strapieno e una folla consistente si ammassava in un punto poco distante da loro, accanto alle scale mobili che portavano al piano di sopra. Spinti dalla curiosità, Neil e Anandria sciamarono verso la calca fino a ritrovarsi davanti a un palcoscenico di legno, sistemato al centro esatto del grosso atrio su cui sbucavano i negozi. Tre casse nere delle dimensioni di un tavolo pompavano la musica ritmata che vibrava nei loro petti.

Neil si alzò sulle punte, benché fosse già alto, e riuscì a scorgere un gruppetto di gente che si muoveva sul palco, seguendo il ritmo. C'erano almeno quindici ragazze e una mezza dozzina di ragazzi. I maschi indossavano una tuta e una canottiera che lasciava scoperti i bicipiti scolpiti, mentre le ragazze avevano le cosce fasciate da pantaloncini aderenti e il seno sorretto da provocanti top neri, che mettevano in mostra le loro pance piatte e gli ombelichi perfetti. Magre, aggraziate, seducenti. I loro capelli, lisci e legati in delle code di cavallo, volteggiavano morbidi e sinuosi, mentre le gambe e le braccia si muovevano a un ritmo frenetico.

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