Mio padre guardò la Porsche nera varcare il cancello del Pilot e aggrottò le sopracciglia non appena mi vide schizzare fuori dalla mia stanza perché avevo riconosciuto il rombo del motore dell’auto di Louis.
Prima che mi precipitassi al piano inferiore, mi chiamò: il suo tono era severo almeno quanto la sua espressione.
-Elise, non ti starai per caso inguaiando con quel ragazzo?
-Stiamo uscendo insieme come amici: Louis è una persona onesta e trasparente e poi è stato chiaro sin da subito dicendomi che non dobbiamo innamorarci.
-Questo significa mettere le mani avanti, non è essere sinceri.
- Non hai nulla di cui preoccuparti- gli garantii nuovamente.
E invece mio padre si preoccupava; quando aveva visto la foto di noi due e Luc che tenevo sul comodino, mi aveva detto che Louis mi guardava con l’espressione di chi vuol farsi carico della tua felicità per sempre, che io lo ricambiavo con aria sognante, mentre mio figlio, stretto in mezzo a noi, ci abbracciava con l’espressione più felice della terra; secondo lui non era l’immagine di due amici in posa con un bambino: era la foto di una famiglia! Una famiglia che non avremmo mai potuto formare a causa del lavoro di Louis e della sua fidanzata. Gli avevo detto che esagerava, che correva troppo con la fantasia, giacché Tommo ed io ci frequentavamo da pochissimo, ma anche Benoit e Jean avevano avuto la stessa impressione e proprio come mio padre, mi avevano chiesto di non innamorarmi. Capivo il loro atteggiamento diffidente: mi volevano bene, avevano il dovere di mettermi in guardia prima che Louis mi strappasse il cuore e quella poca fiducia che ancora mi restava nel genere maschile, ma mi reputavo abbastanza forte da resistere a tutte quelle piccole tentazioni, soprattutto a livello fisico, che mi venivano quando eravamo assieme.
Scesi in cortile e bussai al finestrino.
-Ciao Louis!- dissi, ma lui non si voltò nemmeno, forse non mi aveva sentito poiché continuava a leggere l’etichetta delle Skittles, così lo chiamai di nuovo, a voce più alta- Louis, Louis! Ma sei diventato sordo?
Si voltò dalla mia parte sorridendo, poi sbloccò la portiera e la aprì per farmi salire in auto.
-Sono cinque minuti che ti sto chiamando!
-Lo so- ammise sorridendo- è solo che mi piace sentirmi chiamare da te, amo il modo in cui pronunci il mio nome, lo prendi e lo accarezzi con le labbra e fai l’amore con ogni singola lettera prima di restituirlo alle mie orecchie.
Girai la testa fingendo di aver sentito un rumore, per non fargli vedere le mie guance imporporate, ma lui rise.
-Tanto lo so che sei arrossita, credevo fossi più disinvolta riguardo all’argomento “sesso”.
-Lo sono, ma con te è diverso- ammisi, avvertendo il calore che mi arrivava fino alla punta delle orecchie.
-Perché dovrebbe essere diverso? Siamo amici, non dovresti essere in imbarazzo con me.
-Hai ragione.
-Pronta per la lezione di oggi? Ti porto in un locale dove fanno degli stuzzichini fantastici.
-Mi sa che dovremo rimandare: è una settimana che Luc finisce le sue verdure e gli avevo promesso che lo avrei portato ai gonfiabili.
-Non c’è problema- disse Louis scendendo dall’auto e prendendo un seggiolino per bambini dal bagagliaio.
-E quello?
-Oh, era di Phoebe o di Daisy, l’ho trovato nel garage di mia madre. Prepara tuo figlio mentre cerco di agganciarlo al sedile posteriore.
Quell’attenzione mi riempì il cuore di gioia, Luc fu meno entusiasta perché la fantasia del seggiolino era chiaramente da bambina.
-Scusami, ma ho solo sorelle- si giustificò Louis.
-Oh mi dispiace per te: le femmine sono delle piaghe- disse mio figlio con fare navigato, provocando l’ilarità di Tommo.
-Vedrai che tra qualche anno cambierai idea.
-Non penso proprio.
-Io dico di sì- rispose Louis senza staccarmi gli occhi di dosso, facendomi sentire quasi a disagio.
Arrivammo al Discovery Planet in poco tempo, neanche il tempo di togliersi giubbotto e scarpine, che mio figlio era già sparito nella vasca delle palline, noi, invece, ci guardammo intorno studiando l’ambiente: c’erano solo bambini piuttosto piccoli, accompagnati per lo più dalle nonne o da mamme troppo distratte dai loro cellulari per accorgersi che un membro degli One Direction si trovava in quel capannone. Era un posto sicuro.
-Come mi piacerebbe provare quella vasca- disse Louis guardando con invidia Luc che sembrava divertirsi un mondo.
-Andiamo- gli proposi, togliendomi le scarpe.
-Dove?
-A giocare con Luc.
-Sei matta? Non posso, non ho calzini e poi sono troppo grande.
Rovistai nella borsa e gli porsi un paio di antiscivolo rossi con i cuoricini di gomma e lo osservai divertita mentre cercava di infilare i suoi piedoni nei miei calzini; impiegò un po’ di tempo, ma ce la fece.
-E adesso?
-Ci buttiamo.
Lo presi per mano e lo trascinai letteralmente in mezzo alle palline di plastica: mio figlio ci accolse con un gridolino eccitato. Scivolavamo in mezzo a quelle sfere colorate come se nuotassimo, Louis me ne tirò un paio e io risposi al suo attacco senza esitare, Luc si divertiva un mondo e saltava al collo di Tommo ogni volta che ne aveva l’occasione.
Quando scappò sul castello gonfiabile, gli andammo dietro, ansiosi di provare lo scivolo più alto del parco giochi. Salimmo, Louis s’improvvisò principe e mi diede il benvenuto al suo maniero, facendomi arrossire per l’ennesima volta, poi ci arrampicammo in cima e dando una mano ciascuno a Luc, scendemmo velocemente senza smettere di ridere. In fondo ci aspettava la responsabile dei giochi che ci urlò contro, definendoci “ragazzacci” e minacciando di spedirci fuori se ci fossimo azzardati ad usare nuovamente i giochi destinati ai bambini.
-Sapete leggere? Il limite massimo di età è dieci anni, voi quanti ne avete?- ci chiese acida.
-Diciassette- risposi sicura io, facendo l’occhiolino a Louis, poi ci mettemmo seduti da una parte osservando Luc che si arrampicava senza sosta e correva come un ossesso.
-Almeno stasera crollerà subito.
-Sicuramente- Louis tacque, iniziando a strapparsi le pellicine delle dita, come faceva quando era nervoso. Poi, senza alzare la testa, mi chiamò- Elise?
-Dimmi.
-Grazie.
-Grazie? E perché mai?
-Avrei dovuto essere io ad insegnarti qualcosa, aiutarti a recuperare la parte felice che avevi sepolto sotto le tue responsabilità di madre e invece sta accadendo il contrario. Negli ultimi tempi non mi sono mai sentito così libero e spensierato.
-Essere molto noti provoca una pressione considerevole e immagino una totale mancanza di privacy.
-Non è solo quello. Anche la mia vita privata non è migliore: a parte i pochi momenti che trascorro con la mia famiglia, il resto del tempo lo passo a spendere nei negozi, in vacanza in località esclusive, bellissime e noiose. Io… io non ridevo così da tempo.
-Ma se sei sempre sorridente!- obiettai- tra i cinque sei sempre stato il mio preferito proprio per questo. Basta un tuo sguardo per far scompisciare il povero Niall.
-I ragazzi ed io ci divertiamo un mondo, soprattutto quando siamo soli. Ma per il resto è solo un sorriso superficiale. Con te è diverso, a volte mi fa persino male la pancia perché non riesco a smettere, come quando ero bambino e il mio patrigno mi faceva il solletico. Sono felice, felice davvero.
-Per me è lo stesso- ammisi, un po’ spiazzata dalla sua confessione.
Uscimmo dal parco giochi e andammo a prendere qualcosa da mangiare, trovammo un posto non troppo frequentato e ci sedemmo come di consueto nell’angolo più appartato.
Ho qualcosa per te- disse Louis tirando fuori un pacchetto dal giaccone.
Lo aprii stracciando la carta con impazienza come avrebbe fatto mio figlio e rimasi a bocca aperta quando vidi che si trattava di un iPhone.
-Non posso accettarlo.
-Ma certo che puoi, non andrò certo in rovina per quello.
-Non è per il costo, è che non voglio regali da te, mi mette a disagio il pensiero. Accettare questo telefono sarebbe come aprire le gambe.
Louis rise, poi quando si accorse che ero seria, avvicinò la sedia alla mia e mi strinse forte le mani.
-Credi che sia un modo per comprarti? Facciamo un passo indietro: se tua cugina avesse tanti soldi e ti avesse fatto questo regalo, come avresti reagito?
-L’avrei accettato senza problemi.
-E perché non puoi fare lo stesso con me? Cosa ho di diverso da tutti i tuoi amici e amiche?- mi prese il viso tra le mani- non sarai mica innamorata di me?
Notai un certo tremore nella sua voce, evidentemente temeva che avrei risposto di sì e una simile affermazione avrebbe significato non vedersi più.
-Certo che no- mentii spudoratamente, presi il telefono e lo misi in borsa.
Louis sembrò sollevato, approfittai della distrazione di Luc per ringraziarlo con un casto bacio sulla guancia.
-Così va meglio- disse.
Mio figlio tornò al tavolo, salì in braccio a Louis, poi fece la sua faccia più seria e chiese:
-Mamma perché tu ed io abbiamo lo stesso cognome?
-Perché non hai un papà che ti abbia dato il suo.
-Uffa!- sbuffò, poi gettò le braccia intorno al collo di Louis e gli chiese quale fosse il suo cognome.
-Tomlinson.
-Mi piace! Mamma posso chiamarmi Luc Tomlinson?
-Tesoro non funziona così, non puoi prenderne uno qualsiasi.
-Io voglio il suo, non uno qualsiasi.
Louis sorrise e raccontò che anche lui aveva cambiato cognome, prendendo quello del suo patrigno.
-Ma quello di Luc non potrà essere Tomlinson- dissi allora, cercando di riportare la conversazione nei binari giusti: quando c’era mio figlio tendevamo entrambi a perdere di vista il senso dei nostri incontri e a sentirci quasi una famiglia.
Venne il cameriere a prendere le ordinazioni, optammo tutti per del pollo con patatine e Luc volle anche un gelato al cioccolato.
-Da bere?
-Coca cola!- urlò mio figlio.
-Dell’acqua naturale andrà benissimo- dissi, mentre lui mi guardava deluso.
-E tu Elise, cosa prendi? Una birra?-chiese Louis che probabilmente aveva dimenticato le parole di mio fratello.
-No, l’acqua è perfetta. L’ultima volta che ho bevuto qualcosa di alcolico, nove mesi dopo è nato Luc.
Non appena il cameriere se ne fu andato, continuai la mia storia.
-Stavo trascorrendo il capodanno nel Westmeath con Léonie e alla festa di fine anno ho alzato un po’ troppo il gomito, permettendo a qualcuno di alzarmi la gonna.
-Quindi lui non conosce suo padre?- domandò Tommo indicando Luc che si era allontanato di nuovo per giocare con il suo camioncino dei pompieri.
Scossi la testa.
-Ad essere sincera non lo ricordo nemmeno io; l’unica cosa che mi è rimasta impressa di quel ragazzo sono due grandi, bellissimi occhi azzurri.
-Come i miei?
-No, il tuo colore è più trasparente, cristallino, lui aveva gli occhi della stessa tonalità intensa del cielo d’estate.
-Come Niall?
-Esatto.
Louis fissò Luc che era tornato al tavolo e stava facendo andare il camioncino sulla sua gamba, imitandone il rumore con la bocca.
-È mancino. Tu non lo sei.
-Nessuno della mia famiglia, lo è- ammisi.
-Tuo figlio non ti somiglia per nulla, quindi credo sia uguale al padre: biondo, occhi chiari, naso all’insù, bocca sottile.
-Praticamente quella mezza popolazione irlandese che non ha i capelli rossi!- risi senza accorgermi che Lou si era fatto improvvisamente serio.
Arrivarono i nostri piatti e cominciammo a mangiare, Louis continuò a chiedermi particolari.
-Dov’è che eri?
-A Nord, nella zona dei laghi.
-Ti va di parlarmene?
Era la prima volta che raccontavo quella storia a qualcuno che non fosse stato Léonie: la mia famiglia non aveva mai voluto sapere nulla di come fossero andate le cose e non avevo amici tanto stretti a cui sarebbe potuto interessare.
-Mia cugina ed io eravamo andate ad una festa di Capodanno in un casale di campagna. C’era un sacco di gente e come puoi immaginare, fiumi di alcool e quegli stupidi giochi che prevedono penitenze come bere un sorso o rinchiudersi con qualcuno in uno sgabuzzino. Avevo bevuto tantissimo, perso Léonie e mi ero ritrovata chiusa in uno dei bagni con un ragazzino dai grandi occhi azzurri. Era più piccolo di me, credo avesse poco più di quattordici anni, sicuramente era la sua prima volta. E non è riuscito a controllarsi.
-Succede, soprattutto quando sei alle prime armi- commentò Louis- non ti ha detto come si chiamava?
-Probabilmente sì, ma non ricordo quasi nulla di quella sera, solo sensazioni: il freddo delle piastrelle contro cui era premuta la mia faccia, il tocco delle sue mani che mi sollevavano la gonna, la musica assordante, l’odore di birra e il calore di qualcosa che stava uscendo dal suo corpo e invadeva il mio. Quel calore che nove mesi più tardi mi ha portato Luc. Sono stata un’idiota, vero?
Lui non mi rispose, si limitò ad accarezzarmi la guancia e continuò a guardarmi in maniera strana, quasi fosse da un’altra parte, mentre pulivo la bocca sporca di gelato a mio figlio, non potevo saperlo, ma in quel momento la sua mente era attraversata da un pensiero, assurdo ma insistente.

STAI LEGGENDO
A Letter to Elise (Ita)
Fanfiction-Da bambina immaginavo il futuro come un immenso foglio bianco su cui disegnare la vita. Poi, a diciassette anni, mi sono ritrovata in mano un test di gravidanza positivo e quel foglio si è improvvisamente trasformato in un modulo prestampato cui ri...