Fascination street

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Le mie dita si muovevano svogliatamente sulla tastiera, guardavo le parole aumentare di numero sullo schermo senza leggerle davvero e continuai a fissarle finché non diventarono un indistinto guazzabuglio in bianco e nero che mi ferì gli occhi e mi costrinse a distogliere lo sguardo.
-Elise, hai finito di inserire le informazioni sui clienti?
La voce di Léonie mi riportò bruscamente alla realtà e scoprii con raccapriccio che avevo riempito il foglio da cui avrei dovuto copiare i dati, con mie iniziali intrecciate a quelle di Louis. Nel momento in cui lo vide, mia cugina mi abbracciò forte.
-Ti manca, vero?
Annuii tristemente: era molto più dura di quanto credessi. Ci tenevamo in contatto per telefono o con Skype non era lo stesso. Mi mancava sentire il suo odore, mascherato da profumi sempre diversi, l’innocente bacio  sulla guancia con cui ci salutavamo, la pelle che mi pizzicava lievemente nel momento in cui entrava in contatto con la sua barba. Non mi mancava la sua immagine o le sue parole: avevo bisogno di tutte quelle sensazioni che portava con sé ogni nostro incontro. E soprattutto morivo di voglia di sentire dal vero quel soprannome che aveva scelto per me, dolcissimo ma totalmente incompatibile col suo lieve difetto di pronuncia, cosa che a Louis, però, sembrava non importare e che lo rendeva ancora più unico e speciale.
-È la prima parola che mi è venuta in mente quando ho saputo che ti chiamavi Elise- mi aveva spiegato.
Mi si strinse il cuore al pensiero del mio nome nella sua bocca e sospirai.
-Il tour sarà dannatamente lungo.
-Dove si trovano adesso?
-Manchester- ormai avevo tutte le date dei concerti stampate nella mente.
Léonie saltò su come se l’avessi punta con uno spillo.
-Manchester? Mio padre sta per andarci col furgone, va a ritirare il nuovo forno per la cucina, se ci sbrighiamo, possiamo andare con lui!
Ricordavo vagamente che mio zio aveva parlato di un ristorante che stava chiudendo i battenti e da cui aveva comprato un forno industriale a prezzo stracciato, il destino sembrava essersi dato da fare per far combaciare ogni dettaglio: Luc dopo la scuola sarebbe andato alla festa di un amico e avrebbe dormito da lui, partendo in quel momento avrei potuto trascorrere con Louis tutto il tempo prima del concerto, all’Inn avevamo poco lavoro e Léonie avrebbe potuto farmi compagnia. Era perfetto. Lasciammo la reception ad un recalcitrante Benoit e ci infilammo sul furgone con mio zio, senza rivelargli il vero scopo del nostro viaggio a Manchester.
Scendemmo nei pressi della stazione Victoria, mio zio andò a fare le sue commissioni ed io telefonai subito a Louis.
-Ciao!-  mi rispose quasi sorpreso.
Strano, non mi aveva chiamato Chérie come al solito e parlava a voce bassa, forse era alle prove o magari c’erano i giornalisti.
-Cosa stai facendo?
-Shopping, approfitto del fatto che la maggior parte delle fans siano a scuola per comprarmi qualcosa in un negozio vero e non online come al solito. Sono da Topshop adesso, all’Arndale Center.
Parlammo un altro po’ di banalità poi ci salutammo, mentre mia cugina controllava sul suo telefono dove fosse il negozio.
-Siamo fortunate, si trova proprio alla fine di quella strada- disse Léonie indicando una via trafficata di fronte a noi; mi misi a camminare velocemente perché volevo arrivare il prima possibile, ero eccitata all’idea di fargli una sorpresa.
Giungemmo davanti a Topshop giusto nel momento in cui ne usciva Louis.
In una mano aveva una montagna di buste e l’altra… l’altra era saldamente intrecciata a quella di Eleanor, si scambiavano sguardi d’intesa e sorridevano: improvvisamente mi resi conto che lui era felice anche senza di me, ma d’altronde cosa pretendevo? Non potevo nemmeno arroccarmi il diritto di essere gelosa di lei giacché non avevo un ruolo vero e proprio nella vita di Louis: non ero la fidanzata, né un’amica, né un’amante, ero solo la sua Chérie, concetto che racchiudeva in sé tutti i ruoli già citati senza identificarmi con nessuno di essi.
Spinsi Léonie in un angolo perché non ci vedessero, poi lei mi trascinò via dicendo che ero pallida e che sembravo sul punto di svenire. La superficie riflettente dell’immensa vetrina del negozio mi aveva restituito la mia odiata immagine: una faccia banale, un corpo non proprio longilineo infagottato in brutti vestiti, con i capelli arrotolati in una crocchia frettolosa; sembrava che fossi appena scappata di casa, mentre Eleanor riusciva ad essere elegante, anche vestita in maniera sportiva e la sua acconciatura era perfetta nonostante portasse un cappello in testa.
Ci rifugiammo in un Burger King, dove piansi tutte le mie lacrime, mentre mia cugina sopportava il mio sfogo ingozzandosi di pollo e patatine.
-Hai visto quanto è bella? Io non sarò mai così, non merito di stare con un ragazzo come Louis. Cosa direbbe di me se mi vedesse nuda?
Léonie ascoltò in silenzio le mie lamentele, scuotendo mestamente la testa di tanto in tanto, poi, stufa di quanto le stavo dicendo, mi diede un calcio da sotto il tavolo per farmi smettere.
-Oh Elise, basta! Farai la fine di nostro nonno che si fa le paranoie per delle cose sciocche che iniziano e finiscono nella sua mente. La pancetta, il seno cadente, la ciccia che credi di avere, ma non hai, sono tutti falsi problemi. Ne passerà ancora del tempo prima che arrivi il momento di togliervi i vestiti e a quel punto lui si sarà innamorato della tua intelligenza, della tua brillante personalità e della tua dolcezza. A meno che non sia già successo.
-Non è successo. Ti ricordo che la regola dei nostri appuntamenti è non innamorarsi e poi, come potrebbe provare attrazione per me? Guardami! E ripensa alla sua fidanzata, invece!
-Beh, credi a quello che vuoi, ma passate così tanto tempo assieme che prima o poi accadrà e inoltre, se vuoi la mia opinione, quella Eleanor non è nemmeno un gran che.
-Bugiarda, lo dici solo per farmi star meglio.
-Vorrei vederla dopo che avrà partorito.
-Quando avrà un figlio, tornerà esattamente magra e tonica come adesso e noi la invidieremo ancora di più. Scommetto che non si gonfia come una megattera prima del ciclo come accade a me, o non le lievita la pancia se mangia troppo.
Léonie si mise d’impegno per trovarle ogni piccolo difetto e concluse che doveva essere anche  odiosa perché aveva un’aria altezzosa e l’espressione annoiata di chi ha tutto e non l’apprezza.
-Via, come sei immatura, non devi odiarla solo perché sta con Louis, sono certa che è una brava ragazza- la rimproverai.
-Elise, non dirmi che non la detesti?
-Ma no, so bene che Tommo ed io non staremo mai insieme e poi con lei sembra felice e se per lui va bene, sono contenta anch’io.
L’ultima frase non era assolutamente vera, l’avevo detta per dimostrare a Léonie che ero una persona matura. In realtà aveva mentito a mia cugina su tutti i fronti: odiavo Eleanor profondamente ed ero invidiosa di lei e del ruolo che aveva nella vita di Louis. Mi chiedevo spesso se la mia ostilità verso di lei fosse giustificata o se era solo l’atteggiamento di una ragazzina egoista e immatura che sperava in qualcosa che non sarebbe mai arrivato, ma non sapevo mai darmi una risposta.
Facemmo un breve giro per la città e non appena mio zio fu pronto, rientrammo a Londra con lui. Durante il viaggio di ritorno non aprii bocca e finsi di dormire, lasciando a Léonie il compito di raccontare a suo padre cosa avessimo fatto.
Trascorsi il pomeriggio alla reception e saltai la cena, ritirandomi  in camera mia con la scusa del mal di testa: senza Luc quella stanza era terribilmente vuota e silenziosa e senza Louis anche a me mancava qualcosa. Mi sdraiai sul letto desiderando  sentire la sua risata o il suo “Chérie”, ma l’unico suono che arrivava alle mie orecchie era quello dei cassetti aperti e richiusi di continuo proveniente dalla stanza del nonno che sicuramente aveva perso qualcosa nella confusione della sua testa.
-“Farò la sua stessa fine, proprio come ha detto Léonie”- mi dissi.
Ero incredibilmente triste: la vita era così ingiusta! Mi consolai nell’unico modo che conoscevo: mangiando. Scesi in cucina e mi preparai un panino talmente pieno di cioccolata che feci quasi fatica a morderlo. Lo mangiai avidamente sentendomi ancora più infelice, conscia che ogni morso avrebbe lasciato una traccia sui miei fianchi, ripensai alla figura snella di Eleanor e mi venne da piangere.
Tornando in camera passai davanti al grande specchio che avevamo a metà scale e mi guardai, odiando la mia immagine. Sapevo di non essere perfetta, ma con gli anni avevo imparato a convivere con certi difetti, mi ero messa quasi l’animo in pace, ma più che rassegnazione, forse, si trattava di trascuratezza; da quando avevo conosciuto Louis, però, mi era venuta la voglia di rimettere tutto in discussione, di vestirmi meglio, osare qualche pettinatura carina o un po’ di trucco. C’erano dei giorni in cui sentivo di dover fare qualcosa per me stessa come mettermi a dieta, frequentare una palestra o un centro estetico come faceva sicuramente Eleanor. Poi, però, pensavo che per quanti sforzi potessi fare non sarei mai stata bella, al massimo avrei potuto essere migliore, ma alla fine sarei stata sempre io, certo più curata o con meno cellulite, ma non certo una persona diversa. Louis avrebbe dovuto amarmi per quello che ero.
Amare. Che stupida che ero a pensare una cosa del genere! Tra noi non ci sarebbe mai stato niente, in fondo non ero io quella che avrebbe dormito con lui quella notte. Tornai nella mia stanza, mi lavai i denti e mi guardai un’ultima volta allo specchio, ripensai al viso perfetto di Eleanor e mi convinsi che il mio Tommo aveva diritto ad una ragazza bellissima come lei, alla fine io non ero altro che l’oggetto di una scommessa con Harry e Niall, un giocattolo di cui si sarebbe stancato presto.
Presi un peluche di mio figlio e mi infilai nel letto, addormentandomi rapidamente: ero talmente sfinita dal viaggio e dalle mie amare considerazioni, che non ebbi nemmeno la forza di piangere.

A Letter to Elise (Ita)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora