The upstairs room

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Louis non mi richiamò, ma tre giorni dopo si presentò direttamente all’uscita della Sherington School.
Il rombo della Porsche fece voltare di scatto tutti i genitori e mi venne quasi un colpo quando mi accorsi che si trattava di quella di Tommo. Uscì dall’auto con la massima tranquillità calcandosi bene in testa il cappellino e indossando i Ray Ban scuri, per evitare di essere riconosciuto poi si avvicinò a Luc e me sorridendo.
-Sei matto?- gli dissi spingendolo lontano dallo sguardo indiscreto delle altre mamme che dandosi di gomito si chiedevano chi fosse quel ragazzo che era venuto a prendere il figlio della francesina.
Lo costrinsi a rientrare in auto, disperandomi perché dalle loro facce avevo intuito che stavano già tutte parlando male di me. Sperai che Luc non avesse fatto caso al “si farà mettere di nuovo incinta pur di accalappiarlo” o al “la lascerà subito” che mi avevano sibilato contro mentre passavo di fronte a loro.
-A scuola mi odiano perché sono giovane e più carina di loro e hanno paura che rubi i loro orrendi, grassi mariti: la tua improvvisata farà aumentare a dismisura i pettegolezzi sul mio conto- spiegai a Louis una volta che anche Luc ed io fummo entrati in auto.
Lui rise.
-Io i pettegolezzi non li sto nemmeno più a sentire. Se parlano male di te è perché sotto sotto ti invidiano o desiderano la vita che conduci. Vorrebbero essere giovani e carine invece che orrende matrone, noiose e vestite male.
Il suo complimento mi fece arrossire, per fortuna ci pensò la voce di Luc a spezzare l’imbarazzo.
-Questa macchina è una figata!
-Non si dice figata- lo rimproverai.
-Lo zio Jean lo ripete in continuazione.
Alzai le braccia in segno di resa.
-Mio fratello! Invece di aiutarmi, dà il cattivo esempio. Scommetto che anche tu fai così con le tue sorelle.
-Beccato! Dico un sacco di parolacce, mia madre mi ha regalato persino uno swear jar in cui mettere una moneta ogni volta che impreco- ammise Louis.
-Bell’idea! Adesso so cosa regalare a Jean per il suo compleanno!
Parcheggiammo in uno spiazzo e Louis tirò fuori da sotto il sedile dei sacchettini con il tipico odore penetrante e la classica untuosità del Mac Donald’s.
-Non sapevo cosa vi piacesse di più, così ho preso un po’ di tutto- disse passando un Happy meal a mio figlio che tuffò entusiasta la mano nelle patatine.
-Mi piacciono un casino, grazie!- e si sporse dal sedile posteriore per dare un bacio a Louis, lasciandogli un’impronta brillante sulla guancia, mentre io maledicevo mentalmente Jean.
Louis sembrò compiaciuto e sorpreso da quel gesto spontaneo di affetto, tanto che non si pulì neanche il viso.
-Non c’è di che.
-La mamma non mi porta mai al fast food: dice che mi viene il polistirolo come al nonno.
A quella uscita Louis ed io ridemmo in simultanea fino ad avere le lacrime agli occhi e quando finalmente riuscimmo a smettere, lui mi disse:
-Oggi abbiamo diciassette anni e mangiamo cibo spazzatura, al polistirolo penseremo quando saremo vecchi.
-Non mi preoccupo solo del mio co-le-ste-ro-lo: hai idea degli effetti della Coca cola su un bambino di cinque anni?
Se ne rese conto una mezz’ora più tardi, quando un iperattivo Luc ed io lo trascinammo al London soccerdrome,  un impianto dove si poteva praticare calcio al coperto e dove andavamo quasi tutti i giorni perché chi lo gestiva era molto amico di mio zio e ci faceva usare le strutture gratuitamente.
-Ti piace il calcio?- chiese mio figlio reso logorroico dalla caffeina, a Louis che lo stava aiutando a togliersi la divisa della scuola e a infilare la tuta per giocare.
-Certo, sono un giocatore della Championship.
Luc sgranò gli occhi.
-Davvero? E dove giochi?
-Doncaster.
-Fa cagare! Noi tifiamo QPR, vero mamma?
Annuii, passando sopra il turpiloquio di mio figlio, poi mi sfilai la felpa e rimasi con la maglietta di Eto’o.
-E tifiamo anche Chelsea- dissi a Louis con un tono quasi di sfida sapendo che teneva per il Manchester.
Rimase in maglietta anche lui e mettendosi di fronte a me, propose:
-Tu contro di me e il ragazzino fa da portiere.
-Sììì- urlò mio figlio sovraeccitato dalla Coca cola.
Louis rimase davvero male quando gli sfilai la palla da in mezzo ai piedi quasi senza che se ne accorgesse e l’unico modo che ebbe per fermare la mia rincorsa verso la porta, fu farmi fallo.
-Come fai ad essere così brava?- chiese porgendomi una mano per aiutarmi a rialzarmi.
-Ero nella squadra di calcio della scuola. Ala sinistra con velleità da attaccante, come Zidane.
-E stesso temperamento di Zizou!- si lamentò Louis massaggiandosi il ginocchio.
-Il mio allenatore diceva che avrei potuto far parte del Chelsea L.F.C.
-Sì, conosco la squadra, giocano nella massima serie femminile contro le Doncaster Rovers Belles. In effetti sei molto brava.
-Poi sono rimasta incinta e mi hanno messo fuori rosa. Adesso gioco solo con mio figlio e i suoi amici.
-E da oggi anche con me!- disse Louis rubandomi palla con un gesto fulmineo. Lo rincorsi, ma ormai era lanciato a rete, fece un tiro debolissimo che Luc parò senza fatica.
-Giochi come una femminuccia!- lo rimproverò mio figlio porgendogli il pallone.
Tornammo a centrocampo e ancora una volta dovette farmi fallo per fermare la mia fuga verso la porta. Caddi a terra e Louis mi rovinò addossò, il suo corpo premeva forte contro il mio: potevo sentire benissimo il suo petto che si alzava e abbassava in maniera concitata a causa della respirazione affannosa. Una piccola goccia che gli imperlava la fronte scivolò verso il basso, percorrendo la linea perfetta del suo naso dove esitò un istante prima di cadermi dritta in bocca.
-Scusami- bisbigliò Louis passandomi il pollice sulle labbra per asciugarmele- che bella bocca che hai.
I nostri visi erano vicinissimi, i nasi quasi si sfioravano, all’improvviso Luc ci saltò addosso e se non avessi girato prontamente la faccia, le mie labbra sarebbero entrate in contatto con quelle di Louis, mentre, così facendo, mi graffiò leggermente la guancia con la barba.
-Scusami- mi ripeté sussurrandomelo nell’orecchio con le labbra che mi accarezzavano il lobo e mi facevano venire la pelle d’oca. Sotto il peso di mio figlio, il corpo di Tommo aderiva al mio in maniera quasi imbarazzante, mi accorsi di come fosse perfetto in ogni sua parte: avevo i suoi bicipiti intorno al collo, il suo petto robusto era appoggiato al mio, mentre le sue gambe tornite intrecciate alle mie non riuscivano a celare quella rigidità che avevano nel mezzo e che potevo sentire benissimo grazie al tessuto leggero della tuta; avrei desiderato rimanere per sempre con la testa nell’incavo della sua spalla e respirare il suo odore così buono nonostante avesse sudato parecchio.
-Hai atterrato mia mamma, è rigore!
-Davvero?- rispose Louis divertito, girandosi e sdraiando mio figlio per terra per fargli il solletico, la stessa tattica che usavo io per distrarlo dalle sue inopportune osservazioni.
Luc rideva come un matto e lo stesso faceva il suo torturatore, improvvisamente venne loro in mente di riservarmi lo stesso trattamento, ma avevano appena iniziato a sfilarmi le scarpe, che la suoneria di un cellulare richiamò l’attenzione di Louis.
-Scusate è il mio.
Si alzò, prese il telefono dal giubbotto, si passò una mano tra i capelli sudati e, sbuffando, rispose.
-Ciao El.
El, Eleanor. Me ne ero completamente dimenticata, ma Louis aveva una fidanzata, bellissima, tra l’altro.
Forse era una mia impressione dettata da un irrazionale sentimento di gelosia, ma mi sembrò che il sorriso di Louis si stesse progressivamente spengendo, a mano a mano che parlava con lei. Era come se fosse infastidito, rispondeva a monosillabi e con i piedi calciava via una serie di sassolini invisibili evitando di guardare nella nostra direzione.
Quando finalmente tornò da noi, ritrovò il sorriso, Luc prese in mano il suo iPhone.
-Figo il tuo telefono! Fa anche le foto? Quello di mamma, no.
Louis mi guardò sbigottito.
-Vuoi dire che sei l’unica ragazza al mondo che nel 2013 non ha ancora uno smartphone?
Gli mostrai il mio telefono preistorico e lui rise forte.
-Dovresti portarlo al British Museum! Povero Luc, vieni, ci pensa lo zio Tommo a farti una foto.
Stavolta fu il mio turno per ridere.
-“Zio Tommo” fa tanto romanzo di Harriet Beecher Stowe.
-Chi?
-L’autrice de La Capanna dello Zio Tom.
-Non leggo molto- si scusò Louis, stringendosi a mio figlio e me per scattare una serie di foto.
-Mandamele al mio indirizzo e-mail- lo pregai, lui se lo appuntò e mi chiese se avessi Twitter, alla mia risposta affermativa si fece dare il contatto, poi armeggiò un po’ con il telefono ed esclamò felice:
-Fatto.
-Cosa?
-Adesso ti seguo su Twitter e anche Harry e Niall: quei due ingenui usano sempre password così prevedibili!
-Grazie- gli risposi sorridendo, prima che Luc ci trascinasse nuovamente a giocare.
Non ebbi il coraggio di dirgli che non mi importava nulla dei suoi compagni e a dire il vero neanche del fatto che lui fosse Louis Tomlinson: ero totalmente affascinata da quel ragazzo con la maglia grigia e il berretto dello stesso colore che in quel momento stava tenendo in braccio mio figlio. Per la prima volta ebbi ben chiaro cosa volevo per il mio futuro e desiderai scioccamente che quella fosse la mia vita per sempre.

A Letter to Elise (Ita)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora