The loudest sound

45 2 0
                                    

I giorni che Louis trascorse a Dubai furono un inferno per me; col tempo ero riuscita a farmi una ragione della sua assenza dovuta agli impegni con gli One Direction, ma stavolta la mia sofferenza era acuita dalla gelosia. Lo pensavo in continuazione scottandomi ogni volta che ricordavo con chi si trovava; mi sentivo tremendamente sola e nei sogni non facevo che ripercorrere i tratti perfetti del suo viso, i buchi dei suoi jeans, i suoi numerosi tatuaggi.
I miei turni di notte alla reception erano un continuo susseguirsi di ansie, smanie, giusto o non giusto, inquietudini e tutta una serie di pensieri che mi lasciavano spossata.
Nell’armadio avevo un calendario su cui appuntavo gli impegni o segnavo i giorni del ciclo (date che venivano segretamente monitorate anche da mia zia), nel giro di pochi mesi si era trasformato in un arcobaleno di scritte colorate e cuoricini che testimoniavano i giorni passati con Louis: era un po’ quello che era successo alla mia vita come se Tommo le avesse fatto fare un bagno nel colore.
Louis venne a trovarmi non appena tornò da Dubai, era abbronzato, ma non aveva un aspetto rilassato, segno che la vacanza non era stata così rigenerante come si poteva pensare. Aveva portato dei dolcetti arabi per Luc e Léonie, a me invece dette un pacchetto che conteneva una boccetta.
-Eleanor ha comprato una confezione di Amouage, dicono sia il profumo più buono al mondo, ma a me piace più il tuo, l’avevi spruzzato nella mia stanza il giorno in cui abbiamo alloggiato al Pilot, vero?
-Sì, è Chanel 22, il parente povero del celebre N°5, beh povero si fa per dire, i miei fratelli me l’hanno regalato a settembre per il mio compleanno e ancora si lamentano per la spesa e io lo centellino per farlo durare più a lungo possibile.
-Mi sembra di sentire Harry che porta gli indumenti finché non sono logori e gli cadono di dosso a pezzi.
-È un ragazzo saggio, che, nonostante le sue possibilità economiche, non dà importanza a cose frivole come gli abiti.
-Qualcuno qui ha una bella cotta per Harry!- mi punzecchiò Louis.
-Ma no, mi piace solo il suo modo di pensare- lo rassicurai, sperando che non leggesse nei miei occhi il resto della mia risposta che suonava più o meno in questo modo: “come posso avere una cotta per qualcun altro se sei la prima persona che penso al mattino e l’ultima a cui do idealmente la buonanotte?”
Aprii con impazienza il regalo di Louis e scoprii che si trattava di una bottiglietta di birra con dentro un po’ di sabbia e una conchiglia iridescente, lo trovai un pensiero originale e un po’ folle, come lui, del resto e mi strappò un largo sorriso.
-Ti piace? Temevo che me l’avresti tirata dietro.
-No, è un’idea carina.
-L’ho trovata in spiaggia e mi ha fatto pensare a te.
-Al mio corpo flaccido come quello di un mollusco?- ironizzai.
Louis mi lanciò un’occhiataccia.
-Al tuo guscio, quello in cui ti rifugi ogni volta in cui cerco di avvicinarmi un po’ di più- mi rispose mettendomi un braccio intorno alla vita e accostando il suo viso al mio collo.
-Elise, hai dato le medicine al nonno?
La voce di mia zia, che ci stava spiando da chissà quanto, rimbombò per tutto il cortile, costringendo Louis a una rapida ritirata.
-Sì- le urlai di rimando.
-Quando “quello” se ne va, ricordati di portare le tovaglie alla lavanderia.
-Lo farò.
-Tua zia mi odia, vero?- chiese Louis mentre mi aiutava a mettere la biancheria sporca nel bagagliaio della sua auto.
-È solo diffidente. Ha cercato di farmi da mamma, ma le ho dato solo grattacapi e la mia gravidanza è stata il colpo di grazia.
Entrammo nella Porsche, e lui mi chiese se mia madre fosse morta.
-Se n’è andata. Una mattina nessuno ha svegliato Jean e Benoit per andare a scuola, i miei fratelli sono andati in cucina e sul tavolo invece della colazione c’era un bigliettino. Niente saluti, niente scuse, solo un freddo “manderò qualcuno a prendere le mie cose”. Io ero molto piccola e non me la ricordo, ma dicono che mia madre fosse una donna molto bella a cui piaceva viaggiare ed evidentemente stare a casa a fare la mamma le pesava molto. Così ci ha abbandonato senza farsi mai più viva.
-Non hai mai avuto il desiderio di cercarla, di conoscerla?
-No, mi basta vedere il dolore negli occhi di mio padre o dei miei fratelli quando ne parlano e poi è per colpa del suo gesto se tutti mi stanno addosso con la storia della responsabilità.
-Tu sei diversa, non abbandoneresti mai Luc, per niente al mondo.
-Non lo farei mai, non c’è niente di più importante di mio figlio, viene prima di qualunque cosa.
-Lo immaginavo- disse Tommo con tono quasi amaro.
Si fermò davanti alla Starshine Laundry e scesi per consegnare le tovaglie. Una volta di nuovo in auto Louis mi abbracciò forte.
-So cosa provi, Elise: anche mio padre mi ha abbandonato quando ero piccolo, mi ha cresciuto Mark, il nuovo compagno di mia madre da cui ho preso il cognome. Per certi versi sono stato più fortunato di te. È importante avere due figure di riferimento.
Sembrava stesse girando intorno a qualcosa, senza avere il coraggio di esternarlo, poi alla fine disse:
-A Luc servirebbe un padre.
-Non ne ha bisogno: ha mio padre, mio nonno, i miei fratelli e mio zio. Ha tutte le figure maschili che vuole.
Ancora una volta Louis sembrò sul punto di parlare, ma tacque, arrossendo leggermente, poi riuscì finalmente a dire:
-Mi sono sbagliato: non hai un guscio come riparo, hai un’intera muraglia.
-Vedi Louis, a volte le persone innalzano dei muri non tanto per tenere fuori gli altri, ma vedere a chi importa abbastanza da abbatterli (cit, Banana Yoshimoto). Il mio muro hanno sempre provato ad aggirarlo, a scavalcarlo, ma mai a distruggerlo, tu sei l’unico che sia riuscito a mandarlo in frantumi.
-Davvero?- sembrava sorpreso, si sporse verso di me, quasi come volesse baciarmi, ma si limitò a schiacciarmi la frangia sulla fronte che tornò impunemente in disordine dopo che ebbe tolto la mano.
-Il tuo è uno sforzo inutile- osservai.
-Fammi provare, almeno!- rispose in tono quasi disperato, dando a quella frase molto più significato di quanto ne avesse davvero.
-Cosa hai voglia di fare?- gli chiesi nel tentativo di toglierlo dall’imbarazzo, ma mi rispose con il silenzio passandosi involontariamente una mano sul pube.
-Sei un pessimo insegnante! Ti porto io in un posto speciale in cui andavo spesso a sognare quando avevo diciassette anni, è un luogo per me magico, da cui si vede tutta la città e che ha il potere di farmi stare meglio.
-Va bene.
Gli diedi le indicazioni e guidò fino a Hampstead Heath, il cancello da cui passavano i camioncini che svuotavano i cestini della spazzatura era sempre aperto e, sebbene fosse proibito, ci introducemmo nel parco con l’auto, salendo fino a Parliament Hill, poi scendemmo di macchina e mi incantai a fissare il panorama in silenzio, finché non mi girai verso Louis e mi accorsi che invece di ammirare Londra, aveva lo sguardo fisso su di me.
-Hai ragione, è bellissimo qui- disse, cercando di prendermi la mano.
Sentimmo il rumore di un altro veicolo che si avvicinava: a quanto pare  non ero l’unica a conoscere il segreto su come arrivare a quel posto; ci rifugiammo nella Porsche per paura che riconoscessero Louis e spiammo divertiti la coppietta che tappava i vetri con i giornali.
-Credo che il tuo luogo “magico e segreto” non sia altro che un posto in cui la gente viene a scopare in auto- disse Tommo scoppiando a ridere, sembrava aver recuperato il buonumore- abbiamo ancora un paio d’ore prima che Luc esca da scuola, ti va di fare un gioco?
-Certo.
Tirò fuori un mazzo di carte dal cruscotto.
-Me le ha regalate Harry, ma non le ho mai usate. È un gioco di coppia che si chiama Romeo&Juliet fatto di domande molto maliziose alle quali bisogna rispondere in maniera sincera, adatto a due “diciassettenni” come noi. Sei ancora sicura di voler giocare?
Annuii, sembrava divertente.
-Comincio io- girò una carta lesse in silenzio, muovendo solo le labbra, poi mi chiese, ridendo- posizione preferita?
-Io sopra- tagliai corto rendendomi conto solo in quel momento di quanto fosse imbarazzante quel gioco, altro che divertente!
Presi una carta anch’io e senza osare guardarlo negli occhi domandai:
-In cosa sei bravissimo?
-Fingering- rispose tranquillamente, senza alcuna vergogna.
-Sì, finger food semmai.
-Quella è la specialità di Niall. Vuoi una prova?
Mi mise una mano sulla coscia, ma gliela tolsi all’istante e, sentendomi davvero a disagio, gli confidai che non gli conveniva perché avevo il ciclo.
-Uh, würstel con ketchup, non l’ho mai provato!- esclamò incurante della mia espressione sconvolta, sganciandosi un paio di bottoni dei pantaloni.
-Louis! Non fare l’idiota, tocca a te!- gli gridai senza però riuscire a nascondergli che stavo ridendo; con quella battuta era riuscito ad abbassare un po’ la mia tensione, per cui affrontai la domanda seguente con maggiore serenità.
-Va bene. Allora: cosa ti fa eccitare tantissimo?
-Quando mi toccano il seno, se uno lo fa nel modo giusto, potrei non rispondere di me.
-Davvero?
La sua mano si insinuò velocissima sotto la mia felpa, mi toccava trasmettendomi un’energia che amplificava i miei sensi e mi faceva tremare le gambe. Sembrava davvero su di giri quella mattina, stentavo a riconoscerlo e poi non volevo che pensasse a me come una preda, lo desideravo, ma al tempo stesso sapevo che non era giusto quello che stava facendo. Mi costò molta fatica perché sapeva il fatto suo, ma riuscii a sfilargli la mano dal mio reggiseno.
-Si può sapere cosa ti prende?- gli chiesi.
-Scusami, da quando ho dormito nella tua stanza, non sono più riuscito a fare sesso e tutto questo parlare di cose sporche mi ha un po’ eccitato.
-Come sarebbe a dire che non riesci a far sesso?
-Sono affari miei- rispose Louis, stizzito come se la mia domanda lo avesse ferito- vuoi giocare ancora?
-Non mi va più- risposi mentre lui metteva via le carte- non mi piace la piega che ha preso questo gioco.
-A me sì- rispose appoggiandomi le labbra sul collo dove mi diede qualche bacio leggero che mi confuse e che mi impedì di rendermi subito conto che Louis era passato a farmi un succhiotto. Lo spinsi via con decisione e rimase immobile a fissare il segno che stava lentamente affiorando sulla mia pelle, quasi fosse un’opera d’arte, proprio così, mi sentii come se fossi una scultura poiché mi guardava come se stesse ammirando la Venere di Milo.
Il freno di stazionamento della Porsche era a pedale, per cui non trovò alcun ostacolo che gli impedisse di sporgersi  nuovamente verso di me e di accarezzarmi ancora; amavo il modo in cui mi toccava: il piacere era tale da lasciarmi in una specie di trance contro cui non potevo fare nulla, ero alla sua mercé e quando me lo ritrovai addosso non trovai la maniera di reagire. All’improvviso mi prese gentilmente per la nuca cercando di guidarmi verso il cavallo dei suoi pantaloni completamente sbottonati, a quel punto mi liberai infastidita tirando su la testa di colpo e sbattendola nel tettuccio.
-Cosa credi di fare? Io con questa bocca bacio mio figlio!
-Smettila di ragionare così: non sei solo una madre, come puoi ignorare la donna che c’è in te? Non mi desideri Elise? Io sto morendo!
Aprii lo sportello e uscii dall’auto. Certo che lo desideravo! Non c’era giorno in cui anelassi un suo abbraccio, una sua carezza, ma non in quel modo, non come se fossi una puttana!
-Non lasciarmi così- urlò Louis- fa male!
Gli tirai un pacchetto di fazzoletti che avevo in borsa, tenendone uno per piangerci dentro tutta la mia rabbia.
-Fai da solo! Hai diciassette anni, dovresti esserci abituato!
Chiusi la portiera sbattendola con violenza e mi sedetti nell’erba umida. L’auto accanto alla nostra sballottava.
-“Si stanno divertendo più di Louis”- pensai, chiedendomi cosa gli fosse preso e soprattutto quale fosse il motivo della sua astinenza forzata- “non posso essere io, non avrebbe alcun senso”.
Rabbrividii a causa del freddo e del pensiero del corpo di Louis contro il mio, non dovevo lasciarmi ingannare dalle sensazioni che mi provocava, alla fine era un porco, esattamente come chiunque altro e probabilmente aveva ragione la mia famiglia: una volta raggiunto il suo scopo, avrebbe smesso di frequentarmi.
-Ho finito- disse una voce da dentro l’auto.
-Prendo la metro, non provare a seguirmi o a farti rivedere!- risposi, alzandomi e allontanandomi in fretta. Lui non provò neanche a venirmi dietro, sapeva di averla combinata grossa e che la cosa migliore era lasciarmi sola.
Chiamai Léonie e le chiesi di prendere Luc a scuola, poi rimasi a girovagare senza meta per le strade di Londra finché non venne buio e feci ritorno all’Inn, cercai di salire in camera senza che nessuno mi vedesse e usai il correttore di mia cugina per mascherare il vistoso succhiotto che avevo sul collo.
Mio padre era fuori di sé, ascoltai la sua paternale con la testa bassa, sentendomi chiamare per l’ennesima volta “bambina irresponsabile”.
-Sei sparita tutto il giorno, il tuo telefono era spento! E se fosse successo qualcosa a tuo figlio? Lo hai trascurato per poter pomiciare con quel ragazzo.
-Non preoccuparti, non accadrà più.
Colse l’amarezza nella mia voce e si fece raccontare l’accaduto; glissai ovviamente su molti particolari e conclusi giurando che non volevo vedere Louis mai più.
Mio fratello Benoit, che aveva assistito a tutta la scena senza intervenire, mi abbracciò e mi disse:
-Scommetto quello che vuoi, che domattina ci ritroveremo quel matto davanti alla porta e che tu correrai da lui come se nulla fosse.
-Non è affatto vero- mentii: nonostante la rabbia mista a delusione che provavo in quel momento sapevo che solo la morte mi avrebbe impedito di amare Louis con tutta me stessa.
.

A Letter to Elise (Ita)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora