The only one

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(LOUIS)

Louis non aveva dormito molto quella notte: il letto era una piazza e mezzo, appena sufficiente per due persone ed Elise gli era finita continuamente addosso, mettendo a dura prova il suo autocontrollo. Eppure quella mattina, guardandola dormire, non aveva provato alcun desiderio carnale, solo una grande tenerezza e avrebbe voluto abbracciarla forte, ma non aveva avuto il coraggio di svegliarla tanto era serena, abbracciata al cuscino, con la frangia in disordine e la bocca dischiusa.
E se fosse stato quello l’amore? Quello che lui aveva sempre identificato con appuntamenti perfetti, programmati nel dettaglio, con il prepararsi accuratamente, con risvegli in posti da sogno. E invece magari era un letto troppo piccolo per due persone su cui dormire dopo aver giocato agli “orsi polosi”, un pacchetto di biscotti mezzi sbriciolati sul pavimento, giocattoli ovunque, manine appiccicose che lo accarezzavano. L’amore era una frangia che non voleva mai saperne di stare a posto, un pigiama dei Peanuts e un altro preso in prestito con un buco sotto l’ascella.
Guardò ancora Elise: era così bella a modo suo, che gli fece venire in mente le parole di una canzone che Harry ascoltava in modo quasi compulsivo “Ti amo con tutte le tue perfette imperfezioni”.
Amare. Si poteva amare una persona senza averle dato neanche un bacio? Louis non era mai stato bravo con le parole, né era di quelle persone che si facevano troppe domande: fino a quel momento aveva sempre lasciato che le cose accadessero, era stato così finché Elise non era piombata nella sua vita e aveva mischiato tutte le tessere dello Scarabeo formando parole a lui sconosciute.
Si voltò dall’altra parte e provò a dormire ancora, ma dopo poco che ebbe chiuso le palpebre, sentì qualcosa di freddo solleticargli il naso, aprì gli occhi e si trovò puntata contro una pistola giocattolo.
-La mia mamma non mi fa dormire con lei perché dice che ognuno deve stare nel proprio letto. Come mai non sei nel tuo? Sei un bambino disubbidiente, lo vado a dire al nonno.
Louis afferrò in fretta il piccolo Luc per il lembo del pigiama prima che corresse dal signor Blanchard e muovendosi così bruscamente, colpì Elise con una gamba, svegliandola.
-Che succede?- chiese con voce assonnata, mentre suo figlio le saliva addosso per darle il bacio del buongiorno.
-Mamma, perché lo zio Tommo ha dormito nel tuo letto?
Per lei fu molto difficile trovare una risposta convincente, così, appena sveglia, e cercò di fare del suo meglio.
-Lo zio Tommo non ha una stanza qui al Pilot e così è rimasto nella nostra camera. Ma non dirlo al nonno, ok?
-Io non dico bugie.
-Senti Luc, facciamo un gioco- propose Louis che intanto si stava vestendo- ti piacciono i supereroi, vero?
-Certo.
-Qual è il tuo preferito?
-Green Lantern.
Louis storse la bocca e si lasciò sfuggire un:
-Ma che razza di supereroe è!
- È il più potente in assoluto, sa realizzare ogni cosa riesca a pensare la sua immaginazione. Ho anche l’anello, guarda.
Luc scese dal letto e si allontanò verso il cesto dei giochi poi tornò sventolando la sua arma sotto il naso di Louis.
-Va bene Lanterna verde, io sono Batman e tu devi aiutarmi ad arrivare alla mia auto senza che tuo nonno mi veda, pensi di potercela fare?
-Sìì! -strillò entusiasta Luc, mettendo il naso fuori dalla porta e guardando a destra e a sinistra per assicurarsi che non ci fosse nessuno.
Louis salutò Elise con un bacio sulla fronte e la promessa di chiamarla presto e uscì dalla camera in compagnia del bambino.
Stavano per imboccare le scale, quando sentirono la voce di Benoit che stava salendo al piano superiore, Luc spinse Tommo nella stanza di suo nonno perché lo zio non lo vedesse.
La camera del signor Blanchard era austera come il suo proprietario, arredata in modo spartano, unica eccezione, le pareti ricoperte di cornici colorate con le immagini dei figli e del nipote. Louis si avvicinò per guardare quelle di Elise da bambina: aveva un sorriso bellissimo che da solo riempiva l’intera fotografia, quello di chi è felice davvero. Niente di paragonabile al sorrisetto stirato che aveva in quelle più recenti.
-“Allora anche tu fai finta di essere felice, proprio come me. Cosa ti manca, Elise, cosa?”- si chiese sfiorando il vetro della cornice come se volesse farle una carezza.
La porta della camera di Benoit si chiuse e loro poterono finalmente uscire, Luc lo precedeva guardandosi intorno con fare circospetto: aveva preso sul serio la missione e puntava il suo anello contro gli invisibili nemici.
Riuscirono ad arrivare nel piazzale senza che nessuno li vedesse.
-Hai fatto un buon lavoro, piccolo Green Lantern.
-Grazie. Ma sei un supereroe anche tu.
-Io? E perché mai?
-Hai fatto qualcosa di bello alla mia mamma.
Louis lo guardò interdetto.
-Come?
-Piangeva tutte le sere, lei credeva che non la ascoltassi, ma io la sentivo. Spesso  aveva il cuscino ancora bagnato quando si svegliava. Una volta le ho chiesto perché piangesse, lei mi ha detto che aveva il mal di pancia, ma io so che era una bugia. Il mio amichetto Brian tutte le mattine dice che gli fa male la pancia, ma la sua mamma dice che fa solo finta perché non vuole venire a scuola. Quando una cosa non ci piace e non vogliamo farla, diciamo che ci fa male la pancia. E alla mia mamma non piaceva essere sola.
Louis era esterrefatto dalla maturità di quel bambino, si vedeva che era cresciuto in mezzo agli adulti.
-E adesso non piange più?
-No no- Luc gli gettò le braccia al collo- grazie perché fai sorridere la mamma anche quando non è con me. Ti voglio tanto bene, zio Tommo! Torna presto a trovarmi.
-Ma certo, grazie a te per avermi portato in salvo fino alla Tommomobile.
Louis lo guardò mentre si alzava in punta di piedi per arrivare alla maniglia della porta sul retro e lo seguì con gli occhi finché non fu entrato nell’Inn, dopodiché prese le chiavi dai jeans per aprire l’auto.
Ma il piccolo Green Lantern non era stato così abile da condurlo al sicuro senza che il nonno se ne accorgesse: il signor Blanchard lo aspettava appoggiato alla Porsche e il suo sguardo corrucciato non prometteva niente di buono.
-Bene, hai trascorso la notte qui, nel letto di mia figlia immagino.
-Sì, ma non abbiamo fatto niente.
-Dovrei crederti? Non pensare di essere speciale solo perché sei un famoso cantante: ai miei occhi sei solo un ragazzetto arrapato che cerca di portarsi a letto mia figlia.
-Abbiamo solo dormito.
Il signor Blanchard gli andò a pochi centimetri dal viso, scrutandolo con fare indagatore.
-Sembri sincero- grugnì, dandogli una strizzata all’inguine talmente forte da lasciarlo senza fiato.
-Non voglio fare sesso con lei, voglio solo farla sorridere di nuovo- disse Louis non appena fu di nuovo in grado di respirare normalmente e di parlare.
-Buona fortuna allora. C’è una sola persona al mondo in grado di far sorridere davvero mia figlia: Luc. Lei non ha bisogno di te per essere felice.
Louis fu tentato di raccontare al signor Blanchard che Elise non era affatto felice, che quando l’aveva conosciuta era una ragazza scostante e diffidente, che aveva bisogno di aiuto per aprirsi di nuovo con fiducia alla vita, ma l’altro si allontanò senza nemmeno salutarlo, lasciandolo quasi impaurito, schiacciato contro la propria auto, con il cuore che gli batteva all’impazzata e che gli faceva molto più male della strizzata ai testicoli che aveva ricevuto.
Era certo che Elise avesse bisogno di lui esattamente come lui aveva necessità di lei, ma se avesse avuto ragione suo padre? A quel pensiero gli girò la testa e provò una stretta allo stomaco: era forse quello l’amore o era solo paura di perderla?
Tornò a casa, ma parcheggiando, si accorse che c’era qualcuno nella sua camera al piano superiore: possibile che sua madre fosse andata a trovarlo, di nuovo?
-Chi c’è?- chiese entrando nella stanza con fare circospetto, impugnando una mazza da baseball e rimase senza parole quando si trovò davanti Eleanor con le braccia cariche di magliette.
-Louis, ma dove eri finito? Non hai neanche fatto la valigia e tra poche ore abbiamo l’aereo per Dubai.
Dubai. L’aveva rimosso completamente: aveva promesso alla fidanzata che nella settimana di pausa tra i vari concerti, l’avrebbe portata al mare in una località esclusiva.
-Ho dormito da Harry- mentì, ben sapendo che l’amico l’avrebbe coperto senza difficoltà giacché lo usava come scusa con chiunque ogni volta che andava da Elise.
-State sempre appiccicati voi due e poi avete anche il coraggio di lamentarvi se qualcuno fraintende la vostra amicizia- osservò Eleanor passandogli i vestiti.
-Non m’importa di cosa dice la gente- rispose Louis, buttando a casaccio la roba nella borsa.
Quei giorni di vacanza negli Emirati arabi si svolsero secondo il solito copione: mare, abbronzatura, shopping, qualche autografo alle fans e tanti falsi sorrisi alla fotocamera. Finché una mattina, sdraiato sul lettino in spiaggia, col cellulare perennemente in mano, si rese conto che neanche quel sole così intenso era in grado di scaldarlo: l’unica cosa che desiderava era sentire il tepore del corpo di Elise contro il suo.

A Letter to Elise (Ita)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora