23- 2 late

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Era Novembre, il Take me Home tour era finito, gli One Direction erano tornati da poco dal Giappone, il tempo di smaltire il jet lag  e subito un impegno, l’ultimo: un concerto londinese a Wembley giusto per ricordare a tutti che nel 2014 si sarebbero esibiti negli stadi.
Non stavano nella pelle: l’eccitazione di cantare a Wembley compensava la stanchezza e la nostalgia di casa che avevano accumulato nei mesi precedenti. Erano euforici, sia loro, che i membri della band, che l’intero entourage, tutti sembravano felici dell’evento, tutti tranne Louis che, seduto in disparte in un angolo tormentava il colletto della maglietta. Il nuovo tatuaggio gli bruciava ancora, ma era una cosa che voleva fare da tempo, era l’ultimo pezzo del puzzle, quello che non sembrava incastrarsi con nessun altra tessera.
Niall gli si avvicinò porgendogli un bicchiere di cartone colmo di the: faceva schifo perché sapeva di plastica, come la sua vita, ma lo bevve lo stesso, con la medesima rassegnazione con cui conduceva quella stessa esistenza che lui aveva scelto. Louis guardò l’amico, speranzoso, sapeva che era andato al Pilot quella mattina, così gli domandò:
-Verrà?
L’altro scosse la testa in segno di diniego e lui si sentì morire: Elise era la luce che illuminava i pensieri bui, la stella che risplendeva nel suo cuore. Il suo unico errore era stato capirlo troppo tardi, quando aveva fatto di tutto per cacciarla dalla sua esistenza, una vita che era come un bellissimo puzzle a cui mancava solo un pezzo per essere completo, un pezzo la cui assenza era molto più evidente della bellezza complessiva dell’immagine.
Avrebbe dovuto adattarsi a vivere così per sempre, a cominciare da quella sera. Bevve il suo disgustoso the, si sistemò i vestiti, indossò il sorriso di falsa felicità che lo aveva accompagnato per tutto il tour e raggiunse gli altri sul palco.
Avevano deciso di suonare anche qualche canzone non inserita nel TMH tour, lo spettacolo filò liscio finché non fu il momento di cantare “Nothing compares”, alla fine del primo coro, Louis si alzò dalle scale per il suo assolo.
-We saw Paris when we kissed, when we kissed. I remember the taste of your lipstick.
La voce iniziò a tremargli e smise di cantare. Venne travolto dalle emozioni: la torre Eiffel illuminata, le stelle, il sapore del lucidalabbra al cocco di Elise, la sua bocca calda, i loro baci. Gli sembrò che il cuore gli si stesse frantumando il mille pezzi, smise quasi di respirare e fissò imbambolato la platea di ragazzine urlanti.
-“Ha dimenticato di nuovo le parole”- pensò Harry anticipando la propria entrata affinché nessuno se ne accorgesse, ma Louis fece cenno di fermare la musica. L’inquadratura del megaschermo mostrò a tutti che aveva gli occhi lucidi.
-Che diamine sta facendo?- si chiese Léonie che stava seguendo il concerto dalla reception del Pilot, avvicinando il viso al PC.
Louis si asciugò gli occhi e iniziò a parlare sorridendo timidamente, con le guance leggermente arrossate.
-Chiedo scusa ma questa canzone mi ha ricordato una ragazza davvero speciale, che amo moltissimo, ma che, ultimamente, ho fatto soffrire molto.
Nel backstage Eleanor sorrise compiaciuta: in quel periodo Louis le era sembrato distratto e distante, quella era proprio una bella maniera per farsi scusare. Qualche isolato più in là, invece, Léonie chiamava sua cugina a gran voce.
-Elise, corri! Lou è impazzito! Ha interrotto il concerto e sta dicendo cose senza senso.
Elise esitò: si era sentita strana dal momento in cui aveva parlato con Niall, combattuta tra la voglia di continuare imperterrita per la sua strada ignorando Louis o affacciarsi di nuovo a quel pozzo dei desideri, rischiando di caderci di nuovo dentro. Si avvicinò allo schermo, torcendo il fondo della sua maglietta come faceva ogni volta in cui era nervosa, alzò il volume per sentire meglio cosa stesse dicendo Tommo alla platea ammutolita.
-È quel tipo di ragazza che desideri solo portare all’altare e con la quale fare dei figli.
La folla lo interruppe scandendo il nome di Eleanor, Louis rivolse uno sguardo smarrito a Harry che gli si avvicinò e gli tirò su la manica della maglietta, mostrando a tutti il tatuaggio che lui stesso aveva completato sulla spalla dell’amico, aggiungendo ISE alle due lettere che aveva già.
Quel nome proiettato sul grande schermo ebbe il potere di zittire nuovamente il pubblico .
-Già, si chiama Elise, siamo stati così bravi a nasconderci che nessuno si è mai accorto di nulla, io per primo. L’amavo alla follia e continuavo a nascondermi dietro un mucchio di falsi problemi. Non so nemmeno perché me ne stia qua a raccontarvi i fatti miei quando dovrei correre da lei chiedendole di perdonarmi, sono stato talmente egoista e insensibile, che dubito che lo farà, ma se è vero che voi mi volete bene come dite,  fate il tifo per me. Per questo vi prego ancora di scusarmi, ma devo andare da lei, adesso.
La folla esplose in un boato. Le telecamere si spostarono dietro le quinte, inquadrando Louis che si dirigeva senza esitazione verso un tecnico delle luci.
-Hai l’auto?
-Sì, è la Mini rossa parcheggiata qua fuori, subito davanti all’ingresso artisti.
-Dammi le chiavi, presto!
Louis salì in macchina e partì velocemente lasciando mezzi pneumatici sull’asfalto. Due paparazzi colsero al volo l’occasione, presero una delle telecamere che riprendevano il concerto e lo inseguirono in moto: le immagini della folle corsa di Louis vennero proiettate sul maxischermo del palco. Nel frattempo allo stadio gli One Direction avevano ripreso a cantare, ma erano evidentemente distratti e preoccupati.
Elise si mordeva la mano e tremava vedendo la strada farsi sempre più conosciuta: aveva appena confessato di amarla di fronte a tutti, fregandosene delle conseguenze, si era liberato di tutte le catene e stava andando da lei.
- Rallenta Tommo, rallenta!
La Mini sfrecciava lungo le strade di Londra, superando le altre auto in ogni direzione, facendo manovre azzardate e bucando i semafori.
-“ È pazzo!”- pensò Harry rivolgendo lo sguardo al maxischermo.
-“Fai attenzione”- mormorò Niall voltandosi a guardare a sua volta e dimenticando persino che toccava a lui.
Louis continuava a correre, ci voleva quasi un’ora dall’Arena di Wembley a Greenwich, ma lui ci arrivò in meno della metà del tempo. Quando le riprese mostrarono l’auto che sfrecciava dentro il Blackwall tunnel, la schiena di Elise fu percorsa da un brivido, ripensò a cosa era successo diversi anni prima a Parigi, in una galleria come quella, le venne un brutto presentimento e ricominciò a respirare solo quando Louis sbucò fuori.
Ancora Park side, poi River lane e sarebbe arrivato: riusciva a vedere il cancello del Pilot. Bucò l’ennesimo rosso, ma era così concentrato sulla sua meta che si accorse del camion solo all’ultimo minuto. L’auto fece un paio di giri su se stessa e terminò la sua carambola contro un lampione.
Tutti i fans dell’arena ammutolirono, i ragazzi erano incapaci di parlare, le fans di tutto il mondo che seguivano il concerto dai PC impietrite. Elise urlò stingendo forte la mano della cugina, poi corse fuori. Un’ambulanza e una pattuglia che erano di servizio a un concerto che si teneva all’arena O2 stavano arrivando a sirene spiegate; quando la ragazza giunse sul posto avevano appena caricato Louis su una barella e degli agenti si stavano preoccupavano di arginare i curiosi.
-Dove lo stanno portando?- chiese a un poliziotto.
-Al Queen Elisabeth Hospital.
Tornò di corsa alla reception, prese il cd “Take me home” di Léonie e le chiavi della Clio di suo fratello.
-Elise non farlo! Potresti avere un attacco di panico mentre guidi. Ti ammazzerai!- disse quest’ultimo cercando di strappargliele di mano.
-Meglio morta che senza Louis.
-A tuo figlio non pensi?- lei guardò Jean e si sentì soffocare, schiacciata tra i desideri di donna e i doveri di madre per l’ennesima volta.
-Vai, corri da lui, baderemo noi a Luc- le disse il signor Blanchard, dando finalmente la sua benedizione a quell’amore che aveva ostacolato con tutte le sue forze.
-Grazie babbo- rispose Elise piena di gratitudine abbracciandolo, adesso che suo padre aveva finalmente capito, non c’era più alcun ostacolo tra lei e il suo Tommo.
Entrò in auto, prese due bei respiri e infilò il cd degli One Direction, cercando di concentrarsi sulla voce di Louis che cantava e sulla strada ignorando quell’ansia che le stava salendo dallo stomaco, facendole battere il cuore più forte del normale. Sfruttò a fondo l’assetto sportivo della macchina, imboccò persino un senso vietato per fare prima; guidò come una pazza fino a Stadium Road, lasciò la vettura quasi in mezzo alla strada e corse verso l’accettazione del pronto soccorso.
-Poco fa è arrivato un ragazzo vittima di un incidente stradale, potrebbe dirmi in che stanza si trova?
L’infermiera le rivolse uno sguardo infastidito e fece un cenno ad una delle guardie dell’ospedale.
-Eccone un’altra. Benedette ragazzine, ma non capite che questo è un ospedale? Che c’è gente che soffre, mentre voi pensate solo a vedere il vostro idolo?
-Non sono una fan- provò a spiegare Elise, mentre la trascinavano fuori, ma nessuno l’ascoltò.
Doveva entrare ad ogni costo, fissò con odio un gruppetto di fans che stazionavano davanti all’ingresso e che cantavano le canzoni degli One Direction, poi vide passare un’ambulanza e le venne un’idea.
Tornò dove aveva lasciato l’auto. Jean aveva fatto Vale tudo per molti anni, sapeva benissimo come si faceva un arm lock: se avesse trovato il modo giusto di farlo non avrebbe avuto bisogno di rompersi un osso, ma sarebbe riuscita semplicemente a lussarsi il braccio o la spalla.
-“Ok Elise, è tutta questione di leve”- pensò, studiando il modo di attuare il suo piano.
Prese il cellulare e fece il numero del Queen Elisabeth Hospital, si fece coraggio e disse:
-C’è una ragazza a terra nel parcheggio sul retro del vostro ospedale, credo stia molto male, presto correte!
Poi aprì il finestrino, infilò il braccio nella portiera e si lasciò cadere pesantemente: ebbe solo il tempo di sentire uno schiocco e un dolore lancinante, prima che tutto diventasse buio.

A Letter to Elise (Ita)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora