Us or them

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Il mio risveglio non fu dei migliori dopo una notte passata a rimuginare sulle parole della madre di Louis. Davvero avrei dovuto rinunciare a lui? Anche gli altri pensavano che fossi solo un’arrivista che usava suo figlio per conquistare una celebrità? Mia cugina sosteneva che avrei dovuto renderlo partecipe delle mie preoccupazioni e di tutti i problemi che mi stavano piovendo addosso per causa sua, ma non avevo intenzione di allarmarlo: aveva tanti impegni e io spalle abbastanza larghe da sopportare tutte quelle amarezze.
Non sapevo se Louis ricambiasse i miei sentimenti e non avevo certezze che lo avrebbe fatto in futuro, ma mi sentivo determinata come nel momento in cui avevo deciso di portare avanti la gravidanza e non volevo arrendermi senza aver lottato perché ero sicura che una volta cresciuto Luc e morto mio padre mi sarei eternamente crogiolata nel rimpianto di non aver combattuto per l’uomo che amavo. Perché come Louis ne nasceva uno ogni mille anni, non ero intenzionata a farne a meno: ero certa che non avrei incontrato mai più nessuno la cui anima combaciasse tanto intimamente con la mia. Nessuno con il suo sorriso, i suoi occhi, la sua bellezza interiore, nessuno in grado di anticipare i miei desideri e le mie emozioni senza bisogno di parole. Nessuno come Louis.
La giornata peggiorò nel momento in cui ricevetti una telefonata dall’ufficio della direzione didattica della Sherington: mio figlio aveva avuto uno scontro fisico con un compagno e gli insegnanti volevano parlarmi. Ci mancava solo quella!
L’istituto di Luc era frequentato da gente di buona famiglia, figli di professionisti affermati e di un buon livello sociale. Non c’erano altri bambini che avessero una madre single o comunque giovane come me e tutti quanti mi guardavano come se non fossi in grado di allevare un bambino sentendosi in dovere di dirmi in continuazione cosa avrei dovuto fare.
Mi fecero accomodare nell’ufficio della direttrice, a fianco a lei sedeva l’insegnante di letteratura. Presero il discorso molto alla lontana, lodando mio figlio perché era un ragazzino molto intelligente, che aveva imparato a leggere e scrivere prima dei compagni e che parlava perfettamente sia l’inglese che il francese.
-Si vede che lei lo segue con attenzione dal punto di vista didattico- mi dissero dandomi del lei con una punta di sarcasmo- ma crediamo ci siano gravi carenze sull’esempio che lei gli fornisce.
-Cioè?
-Sappiamo che alla sua età si ha solo voglia di divertirsi, ma non sarebbe opportuno che portasse a casa i suoi partner occasionali, facendoli conoscere a suo figlio: potrebbe affezionarsi e vederli sparire lo destabilizzerebbe.
-Non ho un compagno!- provai a protestare.
-E poi suo figlio è un gran bugiardo. L’abbiamo fatta chiamare perché ha picchiato un compagno più grande solo perché non aveva creduto alla sua storia secondo cui il ragazzo di sua madre e un famoso cantante erano la stessa persona.
La direttrice si voltò a chiedere aiuto con lo sguardo all’insegnante di Luc.
-Come si chiama quel gruppo?
-One Direction- le rispose.
-Sì, certo. Vede, suo figlio ha detto agli altri bambini che lei esce con uno degli One Direction.
Cercai di salvare il salvabile.
-Ho un amico che somiglia molto ad uno di loro, Luc avrà fatto confusione.
-Ah allora ce l’ha un compagno!- esclamò la direttrice, felice di avermi colto in fallo- ecco da chi ha imparato a raccontare frottole.
Mi morsi le labbra, ascoltai in silenzio l’ennesima ramanzina riguardante la mia incapacità di essere una buona madre e poi andai a prendere mio figlio che mi aspettava seduto da solo nella sua classe. Lo guardai senza che si accorgesse di me, teneva la testa china sul foglio e colorava con la sinistra, sporcandosi tutto il dorso della mano. Quanto era cambiato anche lui in quei pochi mesi: non portava più i capelli a caschetto, ma aveva preteso il ciuffo come Louis e a guardarlo attentamente si poteva notare come cercasse di camminare e gesticolare come lui. Mio fratello Jean non era più il suo modello e avevo avuto una discussione con mio zio che non tollerava che Luc usasse largamente la parola “bullshit”, una delle espressione preferite di Louis.
-Ciao, mon petit choux.
Lui alzò la testa, il suo bellissimo sorriso, reso ancora più irresistibile da una finestrella nell’arcata superiore, contrastava con la tristezza degli occhi lucidi.
-Mi dispiace mamma, mi sono comportato male.
-Non importa.
-C’era una bambina più grande che aveva un quaderno con sopra lo zio Tommo. Io le ho detto che lo conoscevo perché usciva con te, ma nessuno mi credeva- strinse forte i piccoli pugni- mi chiamavano bugiardo, capisci mamma? Alla fine non ci ho visto più e ho dato un pugno sul naso a uno di loro. Io non racconto balle.
-Lo so- dissi abbracciandolo per dare forza alle mie parole, poi mi chinai perché il mio sguardo fosse alla stessa altezza del suo e mi feci promettere che non avrebbe mai più parlato a nessuno di Louis.
-Neanche dello zio Harry?
Scossi la testa.
-Nemmeno di lui.
-Perché? Sono persone cattive?
-No sono solo- mi morsi il labbro per evitare quella parola che Harry odiava tanto e che lo faceva sentire etichettato come se si trattasse di un abito- sono solo persone speciali che tutti vorrebbero frequentare. Sarà il nostro piccolo segreto e dobbiamo tenercelo stretto come se conoscessimo la vera identità di un supereroe.
-Va bene mammina.
Mi rialzai, lo aiutai ad infilare il giubbotto e lo zaino e uscimmo tenendoci per mano. Passammo davanti al parco, dove c’erano molti padri che, approfittando della giornata serena, giocavano con i loro bambini; Luc si fermò a guardarli incantato.
-Vorrei che Louis fosse il mio papà- disse, poi, all’improvviso, guardandomi implorante.
Feci l’errore che nessuna mamma dovrebbe commettere, ignorando la sua richiesta e portando il discorso in un ambito meno pericoloso.
-Compriamo delle caramelle?
Lui annuì e mi strinse più forte la mano: nonostante i suoi cinque anni e mezzo, aveva capito che l’argomento era assai spinoso e quello era il suo modo di dirmi che aveva capito e che mi voleva bene.
La mia giornata di tormenti non era ancora finita: non appena arrivai al Pilot trovai mia zia, piuttosto agitata che voleva assolutamente parlarmi. Mandai Luc a giocare in camera e mi chiusi con lei nello studio.
-Questa mattina sono uscita con Audrey.
Audrey era la migliore amica di mia zia, a dire il vero era anche l’unica, e faceva la ginecologa. Aveva seguito tutta la mia gravidanza ed era il medico sia mio che di Léonie, bravissima nel suo mestiere, ma con un grande difetto: il segreto professionale per lei non contava se si trattava di spifferare alla sua carissima amica tutto ciò che riguardava la nostra sfera sessuale.
Quel giorno mia zia aveva la stessa espressione sconvolta di quando Audrey le aveva rivelato che mia cugina non era più vergine, notizia che aveva gettato nello sconforto per giorni i suoi genitori che non riuscivano ad accettare che la loro bambina fosse cresciuta.
-Audrey mi ha detto che prendi la pillola.
-Sì.
-Quindi tu e Louis fate sesso.
Avrei voluto urlarle di farsi gli affari suoi, ma in fondo era l’unica persona al mondo che avesse provato a farmi da madre e sapevo che aveva sofferto molto, che si era sentita in colpa per la mia gravidanza perché pensava di non aver fatto un buon lavoro.
-Non ancora, ma se dovesse accadere voglio essere pronta.
-Fai troppi progetti su un ragazzo che non è neanche tuo, ti ci appoggi come se fosse l’unico muro in grado di sostenerti, ma non ti accorgi che è una parete fragile e quando crollerà l’unica a ferirsi sarai tu. Elise non avete un futuro insieme, vuoi capirlo? Smetti di frequentarlo finché sei in tempo. Vuole solo divertirsi con un tipo di ragazza che non ha mai avuto, per lui rappresenti una novità: una volta ottenuto il suo scopo, ti lascerà e ti sentirai ancora più sola perché tu hai investito tutto nel vostro rapporto.
-Zia, per favore, non ti ci mettere anche tu. Louis ed io siamo benissimo in grado di gestire la nostra amicizia.
-Per quanto ti ostinerai a definirla “amicizia” anziché chiamarla col suo vero nome, “amore”? Fai come vuoi, sei testarda come tuo nonno, ma poi non lamentarti se andrà male.
-Non lo farò.
Scesi al pub e mi presi una bella lavata di testa da Jean perché avevo dimenticato di pagare un fornitore.
-Hai sempre la testa tra le nuvole, non fai che pensare a Louis!- mi urlò contro.
Fu troppo per i miei nervi, così finsi di stare male e mi infilai sotto le coperte a guardare apaticamente la tv. La prima cosa che vidi accendendo l’apparecchio, fu la pubblicità di una nota marca di biscotti in cui sembravano tutti felici e innamorati; avrei potuto esserlo anch’io se avessi scelto di donare il mio cuore a qualcun altro che non fosse Louis, ma che amore avrebbe potuto essere con un misero surrogato? Poi trasmisero Love Story, un polpettone romantico che parlava di una storia d’amore, di quelle vere, come non ci sarebbe mai stata tra me e Tommo perché, per quanto odiassi ammetterlo, un fondo di verità nelle parole di mia zia c’era. La vita non è un film, lo sapevo bene, ma avrei preferito morire giovane come la protagonista se fosse stato il prezzo da pagare pur di trascorrere momenti felici e veramente importanti con chi amavo davvero.
Poi si fece strada il solito scrupolo. Come avevo potuto anche solo farmi sfiorare dal pensiero della morte, quando avevo un figlio da crescere? Ultimamente ero così presa da me stessa e dalle emozioni che avevo represso per troppo tempo, da dimenticare che qualunque mia decisione avrebbe finito con il coinvolgere anche Luc. All’improvviso mi sentii piombare addosso  tutte le critiche dei miei famigliari, ma stavolta il loro peso non era in grado di schiacciarmi: a farmi da scudo c’era tutta la forza che l’amore per Louis riusciva a darmi, un amore in grado di rendere fuori dal comune persino un gesto banale che avevo compiuto migliaia di volte, come un bacio sulla guancia, un sentimento in grado di far sentire speciale persino una come me.

A Letter to Elise (Ita)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora