Louis venne a trovarmi, come sempre, nella pausa tra una serie di concerti e l’altra e trascorremmo una giornata spensierata giocando con Luc nei dintorni del Pilot, finché una pioggia improvvisa ed insistente ci costrinse a rifugiarci nell’Inn.
La mia famiglia non sembrò contenta che Louis si fermasse a cena con noi, ma nessuno osò obiettare alla richiesta di mio figlio che a tavola pretese di sedere accanto a lui e terminò le sue verdure senza fiatare per dimostrargli che era un ometto e non un bambino piagnucoloso. Dopo mangiato salimmo nella mia stanza e Luc propose di giocare agli orsi polosi.
-Orsi che?- chiese Tommo quasi spaventato.
-Polosi. Po-la-ri- mi corressi, lanciando un’occhiataccia a Luc- devi toglierti le scarpe, salire sul letto e scavare tunnel sotto le coperte fingendoti un orso.
Temevo che Louis avrebbe commentato con qualche frase poco felice considerando una cavolata la proposta di mio figlio, invece nel giro di un secondo c’erano due sagome sotto le lenzuola del mio letto e strane grida animalesche riempivano la stanza.
-Vieni anche tu Elise- disse Louis riemergendo dalle coperte, rosso in viso e sudatissimo- è divertente.
Mi unii a loro, ma là sotto si soffocava e non c’era sufficiente spazio per giocare in tre e Louis ed io finivamo l’uno addosso all’altra in continuazione in un pericoloso gioco di contatti e sfioramenti più o meno involontari. Era una tortura a cui decisi di porre fine in fretta.
-Chi vuole che mamma orsa vada al fiume a pescarvi dei salmoni?
-Io!- strillò Luc, poi spiegò a Louis che si trattava di cioccolata calda con i marshmallows.
Scendemmo dal letto; andai in cucina, mentre mio figlio e Tommo si accingevano a giocare alla Playstation. Tornai in camera, detti loro le tazze e mi sedetti in un angolo a guardarli senza capire chi dei due fosse il più piccolo e chi si stesse divertendo di più.
Louis aveva un sorriso meraviglioso che non gli avevo mai visto nelle foto sui giornali, ogni tanto si voltava a guardarmi e dovevo nascondere il mio sguardo imbarazzato nel libro che fingevo di leggere: non volevo che capisse il disperato bisogno che avevo di lui.
-Sei una schiappa anche ai videogiochi- disse Luc all’improvviso, spengendo la Playstation, poi si rivolse a me- posso andare in camera del bisnonno a guardare un po’ di tv prima di dormire?
La sua mi sembrò una richiesta strana, possibile che, così piccolo, avesse già capito che era meglio che ci lasciasse soli?
Gli diedi il permesso, ma nel salutarci rovesciò la cioccolata sia sulla mia maglia sia sul braccio di Louis.
-Vai in bagno a lavarti, mentre mi cambio- gli dissi, quando mio figlio fu uscito.
Una volta dentro lo sentii ridere forte, probabilmente aveva visto la dentiera che mio nonno teneva in bella vista in un bicchiere appoggiato sul lavabo.
-Questa è la piccola bottega degli orrori!- esclamò, poi uscì dalla stanza ridendo, prima che avessi avuto il tempo di rivestirmi.
Rimase piantato sulla soglia non appena si accorse che non mi ero ancora messa la maglietta pulita.
-Non guardarmi!- dissi spaventata cercando disperatamente qualcosa con cui coprirmi.
Lui mi si avvicinò lentamente, mentre tentavo di nascondere la pancia con un peluche. Louis me lo tolse provocando le mie flebili proteste.
-Sono orrenda, non guardarmi!
Mi pizzicò con le dita l’impercettibile piega che si formava appena sotto l’ombelico ogni volta che mi chinavo e mi disse:
-Ti vergogni di questa? Dovresti andarne fiera: è segno che hai messo al mondo una vita, è il legame che hai con Luc. Per una donna ogni parto significa nuovi centimetri intorno alla sua vita, ogni figlio le segnerà il viso di preoccupazioni, ma si arricchirà di una gioia che niente al mondo potrà darle.
Mi cinse la vita con una mano, mentre con l’altra mi slacciava il reggipetto, sfilandomelo fino a lasciarmi nuda di fronte al suo sguardo; cercai di coprirmi con le braccia, ma me le abbassò, mi prese il seno tra le mani e me lo palpò: cominciai a sentire davvero caldo.
-Ti vergogni anche di questo? Di come si è svuotato, mentre stabilivi un legame unico con tuo figlio? Per quanto tempo lo hai allattato?
-Quasi tre anni- riuscii a dire a malapena: il seno era il mio punto debole, mi piaceva moltissimo che me lo toccassero.
-Tre anni guardandolo negli occhi, non è stato bello Elise? Non è stato migliore che avere un seno da pubblicità?
Si sfilò la maglia mostrandomi un filo di pancetta, sorridendomi.
-Questa invece è dovuta alla troppa birra- non sono perfetto come credi.
-Lo sei- gli dissi abbracciandolo, i miei capezzoli reagirono al contatto con la sua pelle inturgidendosi contro il suo petto nudo. Per lui fu troppo, probabilmente aveva desiderato quel momento troppo a lungo, come me. Si chinò a baciarmi il seno, io sospirai, sentendo che mi mancava il fiato a causa del tocco di quella bocca ansiosa. Le sue mani iniziarono ad accarezzarmi la schiena, si intrufolarono nei jeans per poi fermarsi a giocare per un attimo con l’elastico dei miei slip, gli sganciai i pantaloni, poi gli baciai il torace con delicatezza.
Ebbi la netta sensazione che il cuore mi stesse per uscire dal petto e una scarica di adrenalina percorse il mio corpo da cima a fondo. Ci guardammo per un istante e vidi nei suoi occhi lo stesso desiderio che albergava nei miei, eravamo pelle contro pelle: era una sensazione indescrivibile, stavolta oltre alla nostra affinità spirituale era in gioco il piacere fisico. Ero eccitata come non lo ero mai stata in vita mia.
Louis mi abbassò i pantaloni e mi appoggiò una mano su una coscia facendola scivolare lentamente verso l’alto, lo sentì quasi gemere quando si accorse che la stoffa delle mie mutandine era leggermente umida e allargai le gambe affinché potesse toccarmi meglio. Vedevo chiaramente che aveva un gran voglia di fare l’amore, dalla dilatazione delle sue pupille, dalle sue labbra turgide, dal rigonfiamento all’altezza del cavallo dei pantaloni, dal suo respiro affannoso; il suo bisogno era anche il mio, così gli infilai una mano nei boxer e mi accorsi con sorpresa che le mie dita faticavano a chiudersi intorno al suo membro che in quel momento sembrava essere duro come la roccia.
-Elise, Elise, Elise…- mormorò, poi mi spinse via con decisione- non dobbiamo innamorarci, ricordi la regola?
Lo diceva a me per rammentarlo a se stesso, ma la voce che gli tremava, le mani incrociate sul davanti, incapaci di coprire l’incipiente erezione e lo sguardo implorante, la dicevano lunga sullo sforzo che aveva dovuto fare per respingermi.
-Hai ragione, se facessimo sesso sarebbe una tragedia.
-La vera tragedia è che io voglio fare l’amore con te, non semplicemente andare a letto insieme- le parole di Louis erano dolorosamente sincere.
Il rumore delle pioggia che batteva sempre più forte sul tetto del Pilot riempì il silenzio scavato dalle nostre inconfessabili verità. Louis fu il primo a parlare.
-Forse è meglio che me ne vada- disse, chinandosi a raccogliere i suoi indumenti, mentre anch’io mi rivestivo.
Lo lasciai solo in camera mia e andai nella stanza del nonno a prendere Luc che si era addormentato accanto a lui, mentre guardavano la televisione. Presi mio figlio in braccio, muovendomi con cautela per non svegliarlo, ma nel momento in cui mi trovai davanti al suo lettino, mi accorsi che era pieno di automobiline, così lo passai a Louis per togliere i giocattoli.
Non appena fu in collo a Louis, Luc mormorò qualcosa in francese:
-Papa.
Ci scambiammo uno sguardo stupefatto, dalle lacrime di commozione che mi salirono agli occhi, lui capì cosa significava quella parola e iniziò a tremare, cercai di sgomberare il lettino in fretta, poi gli presi il bambino dalle braccia e lo misi a dormire.
Tra il sonno e la veglia, Luc mi chiese di una canzone, così gli canticchiai “Don’t Cry” accarezzandogli i capelli finché i suoi occhi non furono nuovamente chiusi, infine tirai la tenda che divideva in due la nostra camera in modo da non disturbarlo.
Louis stava guardando preoccupato fuori dalla finestra: la pioggia scrosciava incessantemente e il sottopasso che collegava Greenwich al resto di Londra era probabilmente allagato.
Gli misi le mani sulle spalle.
-Non è prudente mettersi alla guida con questo tempo, rimani a dormire qua, io andrò in camera con mia cugina.
-E se Luc si sveglia e ti cerca?
Aveva ragione.
-Pensi di farcela a dormire con me senza provarci?
-Dobbiamo riuscirci.
Andai nella stanza di Jean a recuperare un pigiama per Louis, mio fratello intuì cosa stava accadendo, ma per fortuna non mi fece domande.
Ci infilammo sotto le coperte cercando di stare il più lontano possibile l’uno dall’altra.
-La canzone che hai cantato a Luc, è dei Guns and Roses, vero?
-Sì, s’intitola “Don’t cry”. È molto triste: parla di due persone che si amano, ma che non possono stare insieme e lui piange perché sono costrette a separarsi.
Louis sospirò, gli lessi negli occhi che anche lui sapeva che avrebbe potuto essere benissimo la nostra storia.
-Sarebbe fantastico coccolarsi mentre l’ascoltiamo- si lasciò sfuggire.
-Sarebbe bellissimo coccolarsi e basta, ma sai che non possiamo.
-Già.
Presi il cellulare da sopra il comodino e feci partire la canzone: l’ultima cosa che vidi prima di addormentarmi furono due bellissimi occhi chiari e un dolce sorriso, illuminati dalla luce dello schermo e prima di crollare definitivamente, serena come una bambina, cullata dalla voce roca di Axl Rose e dalle carezze di Louis, sentii sussurrare:
-Non pensavo che si potesse raggiungere un tale livello di intimità con i vestiti addosso, je t’aime Chérie.
-Je t’aime, moi aussi- mormorai, ma non ricordo se lo dissi davvero o nel bellissimo sogno che feci quella notte.
STAI LEGGENDO
A Letter to Elise (Ita)
Fanfiction-Da bambina immaginavo il futuro come un immenso foglio bianco su cui disegnare la vita. Poi, a diciassette anni, mi sono ritrovata in mano un test di gravidanza positivo e quel foglio si è improvvisamente trasformato in un modulo prestampato cui ri...