16 How beautiful you are

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Arrivai in aeroporto e la prima cosa che feci fu cercare Louis con lo sguardo, ma lui e Zayn stavano aspettando nella saletta Vip della British Airlines, così mi misi seduta aspettando di imbarcarmi, fissando il cellulare in attesa degli sms scherzosi di Tommo che mi facevano sempre sorridere.
“La tua frangia stamani è un disastro, ma tu sei bellissima lo stesso!”
Che bugiardo che era! Io non potevo vederlo, ma lui, a quanto pare, sì. Ero piuttosto imbarazzata all’idea di incontrare Zayn dopo quello che era successo tra noi e non sapevo se avrei avuto la disinvoltura necessaria per salutarlo come se nulla fosse.
Chiamarono il nostro volo. Un paio di ragazzine riconobbero Louis e Zayn che si prestarono alle foto di rito senza scomporsi troppo. In aereo non eravamo seduti vicini, così ficcai il naso nel libro che mi ero portata e non lo rialzai finché non fummo atterrati. Da quando stavo con Louis non avevo più avuto attacchi di panico, non ero ancora riuscita a trovare la forza necessaria per mettermi al volante e anche volare mi metteva una certa ansia, ma la situazione era decisamente migliorata, come tutta la mia vita in generale ed il merito era di quel ragazzo con la maglietta bianca seduto qualche fila più avanti della mia.
Arrivati all’aeroporto di Orly un altro sms mi avvisò che fuori c’era un’auto dell’albergo che mi aspettava per portarmi a destinazione.
-Le dispiace se metto un po’ di musica?- mi chiese l’autista in un pessimo inglese.
-Può parlarmi in francese, se vuole, e metta pure la musica che preferisce.
Accese la radio e la prima canzone che passarono fu una degli One Direction, mi misi a ridere.
-Era in Inghilterra per lavoro?- mi chiese lui.
-Sono inglese- risposi e colsi il suo sguardo stupito dallo specchietto retrovisore.
Mio padre aveva sempre insistito perché tra noi fratelli parlassimo francese, in qualche modo ci teneva che non perdessimo le nostre radici, ma a me non interessava e avevo chiamato mio figlio Luc anziché Luke solo per fargli piacere. La Francia per me era una nazione come un’altra e non capivo il suo ostinato patriottismo, dato che era letteralmente fuggito dal suo amato paese perché gli ricordava mia madre e quanto era successo.
La mia auto arrivò all’hotel assieme al taxi di Louis, lui scese, la macchina con Zayn a bordo proseguì la corsa verso un altro hotel.
-Va da Perrie- mi spiegò Tommo prendendomi la borsa dalle mani e sussurrandomi:
-Il bacio dopo, Chérie, lontano da occhi indiscreti.
Lasciò che fossi io a sbrigare tutte le pratiche del check in perché “adorava sentirmi parlare francese”, poi finalmente, ci dettero la chiave e potemmo andare in camera. Una volta dentro, Louis si gettò pesantemente su uno dei due letti, io sistemai le mie cose, poi lo sollecitai:
-Dai pigrone, andiamo a vedere Parigi!
La vista del letto mi aveva reso nervosa e non vedevo l’ora di uscire da quella stanza, nella testa mi rimbombavano le parole di mio padre e di mia zia che mi dicevano che l’unico scopo di Louis era portarmi a letto.
-Mi sono alzato prestissimo per prendere il volo delle 6,50, non infierire!- si lamentò esattamente come avrebbe fatto mio figlio.
Uscii sul terrazzino per guardare il panorama: ero già stata a Parigi diverse volte con la mia famiglia, ma non mi era sembrata una città così speciale come la dipingevano,  forse si trattava di visitarla con la persona giusta. Il solo pensiero di Louis e me, mano nella mano, tra i sentieri, le statue e i ruscelli di Parc Monceau, era sufficiente a farmi battere fortissimo il cuore.
Lui avrebbe voluto portarmi al Ritz dove alloggiavano le star, ma era chiuso per ristrutturazione; l’hotel che aveva scelto, il 123 Sebastopol, era ugualmente meraviglioso e in più era originale. Ogni piano portava il nome di una personalità del cinema contemporaneo che aveva partecipato all'arredamento delle camere: la nostra si trovava al sesto e ultimo piano, dedicato alla stella del cinema francese, Jean-Paul Belmondo, che aveva iniziato la sua carriera nel pugilato. E difatti la nostra stanza aveva una spalliera sulla parete, un paio di guantoni di cuoio rossi e un sacco da boxe; i cuscini erano in velluto rosso con una palma d’oro ricamata al centro.
Gli asciugamani erano di spugna morbidissima, non come quelli del Pilot che mio fratello definiva di carta vetrata. Improvvisamente il mio pensiero volò dalla mia famiglia e mi generò ansia: ormai avrebbero dovuto essersi accorti della mia assenza; fissai preoccupata lo schermo del cellulare quasi mi aspettassi da un momento all’altro, una chiamata da parte di mio padre infuriato.
-Che c’è Chérie? Sembri preoccupata- mi chiese Louis, abbracciandomi da dietro e appoggiando il mento nell’incavo della mia spalla.
-Non ho niente: sono solo una diciassettenne scappata da casa.
-Vuoi dire che tuo padre non sa che sei qui?
-Lui non voleva, ma io sono partita lo stesso.
Lui sbiancò, si portò una mano all’inguine ed esclamò:
-Questa volta mi ucciderà, o come minimo mi castrerà.
Mi raccontò del poco piacevole incontro avuto nel cortile del Pilot e mi scusai con lui, dal momento che avevo dimenticato di metterlo in guardia dalla pessima abitudine di mio padre di prendere per le palle chiunque non gli piacesse.
Louis mi abbracciò e mi infilò una mano sotto la maglia, ma io mi ritrassi; sbuffò e disse che era stanco di tutto quel logorarsi, non sopportava più che io mi esponessi un poco e poi mi tirassi indietro.
-Tu fai lo stesso- lo rimproverai, quel tira e molla dava fastidio anche a me, non ero abituata all’incertezza, da quando era nato Luc la mia vita era scandita da una routine di ferro. Guardai Louis fisso negli occhi, implorandolo dentro di me di dirmi cosa pensasse davvero di noi, chiedendogli di decidersi una buona volta.
Il mio sguardo avrebbe voluto comunicargli tante altre cose, ma lui mise a tacere il mio monologo interiore dicendomi:
-Voglio solo il bacio che non ci siamo scambiati nella hall.
Unimmo le nostre labbra e ci scambiammo, non uno, ma decine di baci; e diventai incapace di parlare, muovermi e persino di pensare, ma questo era positivo, perché se mi fossi fermata a ragionare avrei potuto sentirmi in colpa dal momento che stavo baciando il fidanzato di un’altra.
-Forse è meglio se usciamo- mi disse all’improvviso, senza accorgersi che anche lui faceva uscire allo scoperto i suoi sentimenti per un attimo, per poi nasconderli di nuovo.
Cercammo di evitare i luoghi troppo frequentati, faceva caldo e Louis sbuffava a causa della maglia a maniche lunghe che era stato costretto ad indossare affinché i suoi tatuaggi non lo rendessero facilmente riconoscibile.
Era davvero malato di shopping come scrivevano i giornali: fosse stato per lui avrebbe saccheggiato tutti i negozi di Parigi, ma alla fine andammo solo da Abercrombie. Osservavo le sue belle mani toccare curiose gli indumenti esposti e pensavo che sarebbe stato fantastico condividere con lui persino le piccole incombenze della vita quotidiana come fare la spesa, svuotare gli armadi, pulire i vetri o lavare l’auto, solo per il gusto di guardare le sue mani indaffarate per poi farle riposare, imprigionandole tra le mie.
Su un manichino era esposto un top dalla fantasia vivace che attirò l’attenzione di Louis.
-Questo è perfetto per te- mi disse, io non volevo nemmeno provarlo, certa che avrei fatto una magra figura, ma lui insistette e mi spinse nel camerino tirandomi anche una longuette nera dallo spacco vertiginoso.
-Una Small? Ma sei impazzito?- gli gridai al di là della tenda, invece notai con stupore che la cerniera si chiudeva perfettamente e che quel top mi stava benissimo, molto più della mia anonima maglietta nera che lasciai senza rimpianto nel camerino assieme ai dozzinali bermuda che indossavo.
Grazie a Louis avevo trovato il coraggio di buttare via i miei vecchi abiti esattamente come stavo facendo con la vita che avevo avuto fino a quel momento. Io ero pronta a cambiare, ma avrei potuto dire lo stesso di Tommo?
Trascorremmo una giornata indimenticabile: senza Luc intorno, riuscimmo finalmente a parlare.
Quella sera decidemmo di cenare al ristorante del Palais de Tokyo e poi uscimmo in uno dei giardini del museo per ammirare la Tour Eiffel da un angolo diverso e meno trafficato, lontano dalla marea dei turisti.
C’erano poche persone, ci sdraiammo sull’erba a fissare il cielo stellato e il panorama, senza che nessuno ci disturbasse, c’era un silenzio inusuale per essere in centro a Parigi.
Il cellulare di Louis gli segnalò che aveva ricevuto un messaggio, lo aprì e mi mostrò la foto di Zayn e Perrie sorridenti.
-Sono una bella coppia- osservai- e lei mi sembra davvero una brava fidanzata, molto innamorata, non capisco perché lui la tradisca.
-Non è un cattivo ragazzo e le vuole davvero bene, sta cambiando in meglio poco a poco per lei. Gli piace molto fare del buon sesso, ecco perché a volte la tradisce, ma non capita più così di frequente, solo quando trova qualche ragazza birichina che gliela serve su un piatto d’argento.
La sua frecciata colpì dritta nel segno.
-Ti ho già spiegato il motivo per cui ci sono andata a letto. E poi, se non fosse stato per fare dispetto a Liam, probabilmente la serata si sarebbe conclusa con un nulla di fatto.
-E com’è stato?
-Niente di che.
-Quanto sei perfida! Per fortuna non hai provato il mini leprechaun di Niall, o forse sì, tanto tempo fa.
Cominciai a pensare che quel viaggio fosse stato una pessima idea: adesso che eravamo soli sembrava avesse intenzione di tirar fuori tutti i miei scheletri nell’armadio. Prima aveva rinvangato la mia notte con Zayn e adesso calcava la mano sull’ipotesi che Niall fosse il padre di mio figlio. Lo vedevo benissimo anch’io che erano identici e il fatto che che fossi rimasta incinta in Irlanda non giocava a mio favore, ma era una congettura troppo assurda per essere vera e mi dette fastidio che quell’idea avesse potuto solo sfiorarlo.
-Dove vuoi arrivare con tutte queste cattiverie?
-Non sono cattiverie, voglio solo dirti che non mi importa chi sei stata, cosa hai fatto e con chi, prima di conoscere me, mi interessa solo quello che sei adesso e quello che saremo.
Quella frase sottintendeva un futuro insieme, non ero sicura che Louis capisse bene la portata delle sue parole, perciò cercai di aprirgli gli occhi.
-Che cosa vuoi davvero da me?
-E tu, Elise, cosa desideri dalla vita?
-Vorrei lasciare il segno nel cuore di qualcuno capace di amarmi veramente, non che me lo dica soltanto, perché amare è molto più di una carezza o di un bacio. Vorrei qualcuno con cui condividere la vita, facile o difficile che sia, che mi incoraggi quando non ce la faccio più e che mi aiuti a crescere Luc nel migliore dei modi perché ha bisogno anche di un padre.
-Niente è facile, ma è altrettanto vero che nulla è impossibile. Basta volerlo.
Alzai lo sguardo verso il cielo.
-Le vedi le stelle Tommo?
Lui annuì.
-Sono lo specchio dei nostri sogni: irraggiungibili ma capaci di illuminare la notte.
-E il tuo sogno qual è?
-Tu- confessai.
-Ma io non sono irraggiungibile, sono qui- mi disse avvicinando il suo viso al mio.
Mi diede un bacio sulla guancia, poi un altro più vicino alla bocca, finché le sue labbra sfiorarono le mie. Feci scivolare il suo labbro superiore tra i denti, mordendolo con delicatezza e poi riservai lo stesso trattamento a quello inferiore. A quel punto mi prese tra le braccia e il bacio si fece appassionato, senza controllo, come le nostre mani che toccavano il corpo dell’altro da ogni parte.
Di fronte a noi c’era uno dei monumenti più ammirati al mondo; la torre Eiffel ci resse il gioco distraendo la gente, intenta a scattarle fotografie: nessuno badò a noi, alla nostra crescente passione.
E mentre ci baciavamo mi fu ben chiaro il motivo per cui mio padre non fosse d’accordo su quel viaggio: eravamo a Parigi, la Ville Lumière, ma nessuna delle sue luci era più bella e brillante di quella che riluceva negli occhi pieni di desiderio di Louis.

A Letter to Elise (Ita)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora