Questo capitolo è dedicato a francy-volpe e ad un'altra carissima amica (che purtroppo non ha wattpad) che ieri hanno compiuto 13 anni!! Auguroni a voi due ed a.... Me! Esatto, oggi è il mio compleanno. Sto diventando vecchia >.<"
Grazie a tutti voi che leggete e votate questo libro, siete importantissimi per me! <3Martin e Kiara se ne andarono, e lasciarono me e Jack da soli. Poco dopo se ne andò anche lui e mi lasciò da sola nella mia stanza. Aveva deciso di non andarsene fino a quando non mi fossi calmata del tutto. Era stato davvero dolce.
Mi buttai a peso morto sul letto. Non avevo fatto niente di stancante, ma mi sentivo lo stesso eccessivamente esausta.
Non volevo dormire, ma contro la mia volontà le mie palpebre si chiusero e venni trasportata nel mondo dei sogni.-------
Ero sdraiata su un piccolo lettino, sembrava essere di un bambino di sette/otto anni. O meglio, di una bambina. La stanza in cui mi trovavo era completamente rosa, le coperte del letto, le pareti, persino il pavimento, con delle piccole stelline fluorescenti sul soffitto ed una piccola lampadina attaccata ad una presa vicino al letto. Da un lato della stanza vidi avvicinarsi a me una figura nera con i contorni di un uomo. Quando fu abbastanza vicino, riuscii a vederne i tratti più chiaramente grazie alla luce della lampadina. Era alto, un po' robusto, con una capigliatura rossa scompigliata e gli occhi azzurro ghiaccio. Sembravano penetrarti nell'anima.
«P-papà... Mi hai spaventata!» dissi, ma non ero stata io a volerlo. Forse stavo solo assistendo alla scena, stavo facendo da spettatore attraverso il corpo della bambina.
«Calma piccola. Volevo solo darti la buonanotte.» si avvicinò di più a me e mi stampò un bacio in fronte.
«Buonanotte papà.» dissi. Neanche sta volta ero stata io a volerlo.
«Buonanotte Beth.» mi disse l'uomo, che a quanto avevo capito era mio padre.
Quest'ultimo uscì dalla stanza a passo felpato e si avviò nel corridoio. Chiusi gli occhi e mi addormentai.-------
Mi svegliai di soprassalto nel mio letto. Era stato solo un sogno. O forse... Un ricordo? Doveva essere avvenuto quando mio padre era ancora vivo, nella nostra vecchia casa.
Non ricordavo niente di mio padre, se non il fatto che era un uomo meraviglioso che voleva un mondo di bene sia a me, che a mia madre. Lo shock e la confusione che avevo provato alla sua morte avevano cancellato ogni ricordo riguardante lui dalla mia memoria.
Adesso, però, i ricordi stavano lentamente riaffiorando nella mia mente, e questo non mi piaceva. Non volevo provare di nuovo la sofferenza che mi aveva colpita quando scoprii che mio padre era stato assassinato. Inoltre l'assassino ancora non era stato trovato, nonostante fossero passati anni dall'omicidio, e questo mi faceva soffrire ancora di più, perché non sapevo chi era il bastardo che aveva osato far del male ad una persona dolce, sensibile e con un grande cuore, che inoltre era anche mio padre.
Smisi di pensare e guardai la sveglia sul mio comodino. Le 6,15 di martedì. Era ancora troppo presto per andare a scuola, però decisi lo stesso di alzarmi. Scesi le scale e mi preparai un cappuccino e due fette di pane e Nutella. Quel cibo italiano era talmente buono da farmi dimenticare tutto il resto.
Finito di mangiare andai in bagno e aprii l'acqua della doccia, aspettando arrivasse la giusta temperatura per il mio corpo. Quando divenne abbastanza calda, mi spogliai ed entrai nella cabina, appoggiando la schiena contro le mattonelle bianco latte sul muro al suo interno.
Avevo bisogno di riflettere. Mentre l'acqua scivolava sulla mia pelle, nella mia testa frullavano un migliaio di domande senza risposte.
Perché Jeff si comportava così? Perché mi aveva tradita se mi voleva ancora con lui? E soprattutto, perché io ero così preoccupata per lui? Forse perché era l'unico che poteva darmi delle risposte, anche se sapevo che non me le avrebbe mai date. Chi lo avrebbe mai capito quel ragazzo?
Venni interrotta dal suono della sveglia. Erano ora le 7,00. Uscii dalla doccia e mi asciugai velocemente i capelli. Mi vestii con una maglietta con le maniche a tre quarti color crema, una gonna di jeans a vita alta lunga fino al ginocchio sopra a delle calze nere, una felpa con la zip nera e degli anfibi bianchi con i lacci neri.
Mi truccai come al solito e raccolsi i capelli in una coda di cavallo. Presi il mio zaino e mi incamminai verso la scuola. Erano le 7,45, ancora presto per entrare in classe, così decisi di sedermi su una panchina nel cortile. Piano alla volta arrivarono molti ragazzi. Alcuni li conoscevo, ma solo di vista, perché venivano in classe con me. Non sono mai stata una persona molto socievole. Tra di loro c'era anche Jeff. Stava parlando con Jane e la sua amichetta Nina. Ad un certo punto, vidi avvicinarsi a me Kiara, però oggi non era accompagnata da Martin.
«Ehi» la salutai. «Ciao» mi rispose.
«Dove l'hai lasciato Martin?» le chiesi con una nota ironica nella voce.
«Oggi non si sentiva bene, così è rimasto a casa. Piuttosto... Jack dov'è?»
Cavolo. Mi ero scordata di Jack.
«Sono partita senza di lui. Mi ero dimenticata che doveva venirmi a prendere.» sorrisi.
Decidemmo di aspettarlo, ed intanto raccontai del sogno a Kiara.Alla fine mi guardò stupita, con la bocca aperta e gli occhi spalancati.
«Chiudi la bocca, che entrano le mosche.» le dissi sarcastica.
«Ha ha ha che ridere» disse «Comunque riguardo il sogno, può essere che stai iniziando a ricordare dei momenti che hai passato con tuo padre.»
«Ma io non voglio rivivere i momenti passati con mio padre.» dissi, mentre gli occhi iniziavano a pizzicare.
Non ora.
Continuavo a ripetermi.
«Non voglio rivivere la sofferenza che ho provato quando lui è venuto a mancare.»
In quel momento vidi avvicinarsi Jack, e io feci il sorriso più falso che potessi mai fare. Mi fidavo di lui, ma non volevo che mi vedesse soffrire. Poi avrebbe sofferto anche lui per me, ed io non volevo che accadesse.
«Non dovresti raccontare tutto anche a lui?» mi chiese Kiara.
«No. Non voglio farlo preoccupare inutilmente.» esatto. Dopotutto, erano solo dei sogni. No?
«Ehi ciao piccola.» mi salutò arrivando e mi diede un bacio.
«Buongiorno.» gli risposi sorridendogli quando ci staccammo.
In quel momento suonò la campanella. Stavano per iniziare altre cinque ore di tortura in una gabbia di pazzi scatenati. Questo era la scuola per me.
Entrammo, e dovemmo subire due ore di lettere, poi geografia, aritmetica, scienze.
All'ultima ora scendemmo nella palestra della scuola per educazione fisica. Avevo portato una tuta e delle scarpe da ginnastica, così andai nello spogliatoio e la indossai. Tornai in palestra seguita da Kiara, che oggi mi stava particolarmente appiccicata. Forse le mancava il suo ragazzo.
«Avanti pappamolle, venti giri di corsa! Hop! Hop! Hop!» iniziò il prof e così iniziammo a correre. Alla fine ero stremata, e notai che anche i miei compagni lo erano, perché camminavano a fatica con il fiatone. Qualcuno si era addirittura nascosto sotto le panchine per non farsi vedere dal professore.
Quest'ultimo decise di farci fare una partita a dodgeball. Avevo molta tensione da scaricare, così presi dei palloni ed iniziai a prendere a pallonate la gente e a far fuori tutti quelli dell'altra squadra.
Alla fine rimanemmo solo io della squadra blu e Jeff della squadra rossa.
Lui prese un pallone e me lo tirò addosso, però lo schivai e lo andai a riprendere. Mi alzai e lo lanciai con tutta la forza che avevo contro di lui. Attraversò velocemente l'aria come una freccia, ed alla fine andò a colpire il viso di Jeff. Quando il pallone cadde, lui aveva il viso completamente rosso, però non capivo se per la botta o per la rabbia.
La mia squadra esultò ed alcuni compagni mi presero in braccio, ma a me serviva solo uno sfogo, non me ne poteva fregare di meno. Fino a quando Jack mi prese in braccio e mi baciò. Ci staccammo e sorrise, ed io ricambiai finalmente di buonumore.Uscimmo da scuola e ci incamminammo verso casa. Appena sotto la mia abitazione, Jack mi fermò e mi disse: «Posso sapere perché stai così male? So che volevi nascondermelo, ma sei un libro aperto per me.» sorrise, ed io arrossii e improvvisamente i miei anfibi diventarono molto interessanti.
«Non... Non è niente. Stai tranquillo.» alzai lo sguardo e gli sorrisi. Lui mi baciò e, andandosene, mi disse: «Sappi che lo scoprirò presto.» poi lo sentii ridacchiare. Risi anche io, e poi entrai in casa. Salutai mia madre e pranzai insieme a lei. Non mangiai quasi niente, ero turbata dalla mattinata appena passata. Mi alzai da tavola dicendo: «Vado di sopra...»
Mi fermò prendendomi per un braccio «Sicura di star bene?» i suoi occhi verdi mi squadravano attenti. Li avevo ereditati da lei, solo che i miei erano un po' più tendenti al grigio «Benissimo.» le risposi. Oggi mi stavano tutti addosso.
Salii di corsa le scale e mi chiusi in camera mia buttandomi a peso morto sul letto. Senza che me ne accorsi, le mie palpebre si chiusero e rimasi rinchiusa di nuovo in un ricordo.
STAI LEGGENDO
Non mi lasciare sola
Lãng mạnSaremo un unico respiro dopo infiniti attimi di apnea. *COMPLETATO* © 2015 by misjudgement