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Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quello glaciale di Daniel. Capivo di essere stata stupida a non dirgli prima di averlo baciato, ma non riuscivo a sopportare l'idea della delusione che gli leggevo in faccia. Mi guardava come se l'ultima persona da cui se lo sarebbe mai aspettato lo avesse tradito, e quella persona ero io. Mi sentivo in colpa perché sapevo di averlo privato di qualcosa di importante, mi sarei sentita allo stesso modo se lui lo avesse fatto con me. Tentai di sfiorargli il volto con la punta delle dita, cercando le parole giuste per scusarmi, ma Daniel afferrò il mio polso prima che arrivassi anche solo minimamente vicino ai peli della sua barba, in viso l'espressione più dura che gli avessi mai visto. Per un attimo avrei voluto che fosse impassibile come lo era con tutti gli altri. Per un attimo incolpai lui di non riuscire a nascondere le proprie emozioni proprio con me, nonostante l'unica nel torto fossi io.

«I-io...» balbettai. «Te lo avrei detto.»

«Quando, Abigail?» La sua voce non ammetteva scuse: era profonda e tagliente, come rovine acuminate di un relitto nascosto tra le profondità degli abissi, pronte a trafiggere il primo sub che si fosse avvicinato imprudente. «Hai avuto due giorni per farlo. Abbiamo passato la serata insieme, ma non mi sembra che tu abbia mai accennato a dirmelo.»

Sbattei più volte le palpebre, spostando lo sguardo alla base della sua gola, ormai diventata incapace di sostenere il suo sguardo. «Mi dispiace, Daniel» sussurrai.

«Sai cosa mi dà più fastidio, Abigail?» Ogni volta che ripeteva il mio nome era una maggiore pugnalata al petto, perché significava che ci teneva a specificare di avercela con me in particolare. Che era tutta colpa mia, che avevo sbagliato e che lui non aveva la minima intenzione di essere comprensivo, senza che io potessi nemmeno biasimarlo. «Che tu parli sempre di uguaglianza, di ciò che è giusto o meno quando si tratta di diritti delle donne. Se io lo avessi fatto a te, avresti sciorinato una lista infinita di motivi per essere infuriata con me. Eppure non ti è passato nemmeno per l'anticamera del cervello che non fosse giusto baciarmi da ubriaco, o magari dirmelo! Se predichi l'uguaglianza, Abigail, devi sostenerla anche quando è a vantaggio di un uomo.»

Sobbalzai non appena alzò di scatto il volume della voce, premendo le palpebre le une contro le altre. Avevamo già avuto delle discussioni, in passato, ma eravamo sempre riusciti a mantenere un tono civile; al contrario, Daniel adesso era arrabbiato come non lo avevo mai visto e mi stava investendo con la propria collera come uno tsunami. E la cosa peggiore era che me lo meritavo.

«Mi dispiace» ripetei, scossa dai singhiozzi. Non riuscivo nemmeno a piangere, non sarebbe stato giusto. Non ero io, la vittima. Tremavo dalla rabbia verso me stessa e dal senso di colpa, il respiro mi si mozzava in fondo al palato, ma non riuscivo a versare una lacrima.

Mi lasciò andare il polso, quindi aprì la porta alle mie spalle e fece per andarsene.

«Tu mi avresti mai raccontato di Rose?» sbottai, ma me ne pentii non appena ebbi concluso la frase. Non era il momento giusto per tirare fuori l'argomento, non sapevo nemmeno come mi fosse uscito. Solo, io avevo ammesso di essere stata una spogliarellista, gli avevo parlato del mio ex ragazzo in più occasioni, gli avevo esternato la mia "verità", come avrebbe detto lui, mentre io, di lui, sapevo poco o niente.

Daniel si voltò con estrema lentezza, come se stesse cercando di trattenere la rabbia. «Cos'hai detto?»

«Parli proprio tu, di parità,» dissi con non so quale coraggio, «ma io ti ho detto la mia verità. Tu saresti mai stato disposto a raccontarmi la tua?»

Indietreggiai di scatto, quando lui mi raggiunse a grandi falcate per prendermi il volto tra le grandi e calde mani. Mi maledissi, perché ogni santissima volta non riuscivo a stare zitta, dovevo per forza aprire quella mia boccaccia. Avevo già imparato che, con lui, giungevo troppo presto alle conclusioni, che poi si rivelavano terribilmente sbagliate. Eppure, non riuscivo a non ripetere l'errore. Mi sentii ancora peggio quando mi ringhiò in faccia, le punte dei nostri nasi che quasi si sfioravano. Era come un toro rabbioso, che dilatava le proprie narici per respirare pesantemente alla ricerca della calma.

𝑺𝑶𝑳𝑶 𝑫𝑼𝑬 𝑺𝑨𝑻𝑬𝑳𝑳𝑰𝑻𝑰Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora