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Nei giorni seguenti, io e Daniel non avevamo più parlato. Mi era sembrato di essere tornati all'inizio di tutto, quando, per un motivo o per un altro, ci evitavamo come la peste. Pensavo che avessimo fatto un passo avanti, dopo che mi ero presentata a casa sua, invece lui pareva avercela ancora con me. Non sapevo cosa diavolo fare perché mi perdonasse: per quanto lo volessi, non potevo certo tornare indietro nel tempo e cancellare ciò che avevo detto e fatto. Prima o poi avrebbe pur dovuto metterci una pietra sopra, non avrebbe potuto evitarmi per sempre. Avevamo degli amici in comune, due dei quali stavano per sposarsi e ci avevano scelto come damigella e testimone. L'occasione infatti arrivò quel fine settimana, quando decidemmo di riprendere la nostra abitudine di ritrovarci al Trick Dog per l'aperitivo. Mi aspettavo quasi che Daniel non si presentasse; invece arrivò persino prima di me, con la sua camicia bianca dal colletto rigido ed i pantaloni aderenti neri, due bretelle che stringevano sui suoi pettorali.

Quando ebbi salutato tutti gli altri, mi avvicinai a lui, esitante. Non sapevo nemmeno se volesse salutarmi o meno, ma rammentai che Daniel, di fronte agli altri, aveva sempre una faccia di bronzo: la sua espressione era serenamente impenetrabile, come se facesse finta che tutto andasse bene anche quando stava andando tutto a rotoli. Ed io ero un'idiota perché da quella faccia falsa mi lasciavo sempre abbindolare e credevo che l'arrabbiatura gli fosse passata e calavo le mie stesse difese.

Daniel, infatti, mi sfiorò il fianco con una mano, al di sotto della camicetta azzurra che avevo indossato aperta sopra una maglietta a righe bianca e nera, e mi salutò con un sorriso che sembrava così vero da farmici quasi cascare.

«Ciao» mormorò al mio orecchio, prima di lasciarmi un bacio sulla guancia.

«Ciao» risposi, il ghigno più forzato di sempre sul mio volto.

Nada mi prese sotto braccio per sussurrarmi, mentre andavamo verso il nostro solito tavolo: «Che diavolo era, quello?»

Scossi il capo. «Non capisco, davvero. Non so cosa devo fare, per farmi perdonare da lui.»

«Ma sei andata a casa sua, sì?»

«Sì» confermai.

«E gli hai chiesto scusa?»

«Almeno tre volte, da quando lo ha scoperto. Non credo di essermi mai esposta così, per un uomo. Nemmeno per Nicholas.» Sospirai, quindi mi sedetti al fianco della mia amica, esasperata. «Non so perché lo stia facendo. Mi pare ovvio che non abbia intenzione di passare oltre a questa storia.»

«Per me, lo fai perché ti piace.»

«Affatto. Lo faccio per te e Ben, perché non credo vi faccia piacere vedere il testimone e la damigella d'onore che non si parlano neanche per sbaglio.»

«Sai cosa ricongiunge sempre me e Benjamin?»

«Cosa?»

«Il sesso.»

Sbuffai una risata; avrei dovuto aspettarmi una risposta del genere. «Peccato che la situazione sia leggermente diversa, Nada.»

«Di che si parla, splendori?» si intromise Julian.

«Quando tu e la tua ragazza litigate, cosa fai per fargliela passare?» gli chiese Nada.

«Dipende: è colpa mia?»

«Decisamente.»

«Be', allora...» Si portò due dita ai lati della bocca e mosse la lingua, quindi io mi passai una mano sulla faccia per non vedere lo "spettacolo", mentre l'altra se la rideva di gusto.

«Non mi farò certo dare consigli da te, Jules» gli dissi con un'alzata di spalle. «Senza offesa, ma tu non riesci a tenerti una ragazza per più di un mese. Oltretutto, non si parla di un fidanzato. Nemmeno di un amico, credo. Un... conoscente, ecco.»

𝑺𝑶𝑳𝑶 𝑫𝑼𝑬 𝑺𝑨𝑻𝑬𝑳𝑳𝑰𝑻𝑰Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora