Capitolo 23 - Lontano

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"Che l'errore tuo è stato amarmi

Come se domani

Il mondo fosse uguale

A com'era ieri"

Guardavo fuori dal finestrino del passeggero le stesse immagini che mi passavano davanti da quando ero bambina, mentre mio padre guidava per tornare a casa dall'ospedale.

Mia madre sembrava davvero stare bene, ma di lei non ci si poteva poi fidare più di tanto. Infondo credo di non averla mai vista stare male davvero, non perchè non lo sia mai stata, è semplicemente molto brava a nasconderlo, a differenza mia.

<<Ti lascio a casa, io vado a fare un pò di spesa>>, disse mio padre mentre facevamo ingresso in paese.

Annuii distrattamente, sentivo ancora l'acre odore di ospedale sotto al naso e non volevo altro che farmi una doccia per poterlo mandare via in qualche modo, anche se ormai avevo il sospetto che fosse più nella mia testa che nei miei vestiti.

Scesi dall'auto quando questa si fermò in prossimità della viuzza senza sbocchi, i soliti quattro vecchi seduti all'ingresso del bar della piazza mi fissarono da capo a piedi, come fissavano qualsiasi faccia per loro nuova, anche se poi tanto nuova non potevo essere, visto che ero cresciuta lì. Forse il fatto che restavo chiusa in casa da sempre e che non avevo perso tempo per scappare via da quel posto, mi aveva fatta cadere nel dimenticatoio. La cosa non mi disturbava affatto, anzi, mi rassicurava quasi.

Girai la chiave nella serratura del solito portoncino verde ed entrai, percorsi il corridoio, gettai uno sguardo in cucina dove mia nonna guardava la tv, la salutai, ma lei non sentì. 

Continuai a camminare distrattamente, quando, sollevando lo sguardo, vidi la porta della mia camera aperta.

Era strano, molto. 

Chiudevo sempre la porta della mia camera, a volte anche a chiave.

Poi una figura alta, con un capello nero e i capelli lunghi fino alla nuca si rese visibile avanzando verso la porta aperta.

Restai immobile, come pietrificata.

Mi ricordai di quando a scuola, parecchi anni prima, avevo partecipato alle olimpiadi di logica organizzate dalla provincia. C'era un gioco in cui dover capire, in una serie di immagine, se c'era qualcosa di sbagliato. 

Ecco, nel quadro che avevo davanti agli occhi, c'era qualcosa di sbagliato, qualcosa che stonava con tutto il resto.

Damiano, dall'alto della sua perfezione, mi guardava stringendo tra le dita della mano destra un foglio di carta.

Perchè sembrava tutto così strano? Così sbagliato?

Forse era perchè l'incredulità aveva preso il posto della coscienza, o forse perchè non mi ero mai immaginata il suo volto nel disordine della mia stanza, o meglio nel disordine di quella vita che stavo cercando, e che avrei voluto tanto, abbandonare.

Mi venne il dubbio che fossi uscita fuori di testa, magari stavo avendo un'allucinazione, ma poi la mia allucinazione parlò.

<<Ciao>>, sussurrò appena, sembrava essersi pietrificato anche lui, io non lo stavo ascoltando.

<<Che ci fai qui?>>, chiesi senza pensare.

Lui sollevò le sopracciglia sorpreso.

<<Io volevo...volevo sapere...>>, sembrava confuso, calò lo sguardo sul foglio che teneva ancora in mano, poi lo porse nella mia direzione.

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