Capitolo 2 - London.

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"Una brutta giornata a Londra è comunque meglio di una bella giornata altrove"

Walter Besant.

Presi tra le mani un altro cappotto, era color camoscio, ma era impreziosito da un collettone di pelliccia che gli dava quel qualcosa in più.

<<Non male>>, disse Victoria guardandomi.

<<Sì>>, risposi con poca convinzione.

Quel giorno, a differenza di molti altri, non ero in vena di fare shopping. Avevo guardato e riguardato almeno venti capi diversi di quel piccolo negozio di abiti vintage sotterraneo, ma nessuno mi aveva colpito granché.

Non era stato lo stesso per Victoria ovviamente, faceva oscillare a destra e a manca il suo caschetto biondo provando qualsiasi cosa avesse la sua taglia e acquistandone la metà.

Ethan aveva scelto subito per sè una camicia che probabilmente gli avrei rubato e poi aveva deciso di appollaiarsi su una poltrona ritmando con le dita sui braccioli, i lunghi capelli corvini che gli ricadevano sulle spalle dritte sembravano più lucidi del solito.

Per Thomas invece era una giornata di chiacchiere, se n'era stato tutto il tempo a parlottare con Marika, la manager del nostro gruppo, e Giovanni, il nostro direttore artistico.

Mi lascia cadere sulla poltrona vicina a quella di Ethan, che, immerso nel suo mondo, non si accorse neanche di me.

Chiusi gli occhi e sospirai. Partire in tour per l'intera Europa era stata una cosa pazzesca, a dir poco, ma dopo aver girato già almeno quattro diverse città nel giro di pochi giorni, la stanchezza iniziava seriamente a farsi sentire.  

Il mio riposino fu interrotto da qualcosa al piano di sopra, dalla piccola scala a chiocciola infatti provenivano delle parole confuse pronunciate da una voce femminile in un inglese decisamente italianizzato.

<<Dam? Che è?>>, chiese Victoria dall'altra parte della stanza.

<<E io che ne so?>>, mi avvicinai alla scala e cercai di capire cosa la ragazza al piano di sopra cercasse di dire.

La voce era tremante, le parole balbettate, sembrava volesse un telefono.

La commessa le disse, in un inglese ben più definito, che non riusciva a capire, così decisi di salire per poter dare una mano.

La donna alla cassa mi apparve  subito confusa, lo sguardo imbarazzato, mi diede un'occhiata come per scusarsi del chiasso che l'altra stava facendo. 

La ragazza che parlava con lei mi dava le spalle, statura e corporatura nella media, senza cappotto, il che mi parse strano visto il freddo, i capelli ricci seguivano i movimenti concitati della sua testa e delle mani che, seppur tremanti, cercavano di gesticolare qualcosa.

<<Tutto bene?>>, chiesi d'impeto.

La ragazza si voltò e due enormi occhi color cioccolato nascosti sotto una frangia disordinata mi si pararono di fronte lacrimanti.

<<Sei italiano!>>, disse.

<<Sì, stai bene? Hai bisogno di aiuto?>>

<<Mi hanno derubato, ho perso tutto, devo tornare ad Harlow, non so come fare...>>, disse d'un fiato.

<<Ok, non preoccuparti, posso farti fare una telefonata se vuoi>>, nel frattempo tutti gli altri erano saliti a vedere cosa stesse succedendo.

<<Sì, grazie!>>, rispose lei sorridendomi grata.

Quando le passai il telefono toccai accidentalmente le sue dita, erano gelate.

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