"Siamo in errore quando crediamo di essere nel vero e viceversa. La via dell'assurdo è la sola praticabile."
Thomas Bernhard.
Avevo insistito più volte affinché quei ragazzi mi lasciassero prendere un taxi, ma niente da fare. Avevo restituito i soldi che mi avevano dato per il biglietto del treno, così mi lasciai convincere che la cosa migliore fosse salire su un bus con dei semi-sconosciuti. Tanto cos'altro poteva capitarmi ormai? Infondo quei ragazzi mi avevano aiutata come potevano, era ingiusto pensar male di loro, anzi non avrei mai dovuto smettere di ringraziarli. Sperai solo che Giulia mi aspettasse ancora in stazione e che non si lasciasse beccare da zia Clara, non avevo per niente bisogno di altri problemi.
Parte di quel piccolo viaggio trascorse tranquillo, tra qualche parola occasionale e il mio racconto, finalmente senza la voce tremante, di ciò che mi era accaduto quel pomeriggio.
<<Dove ti portiamo?>>, chiese il "barbuto" alla guida dopo circa dieci minuti di strada.
Avevo sempre avuto una discreta memoria associativa, non ero male nell'abbinare i volti ai nomi, eppure, forse per il momento che stavo vivendo quando ho sentito come si chiamavano, non riuscivo proprio a rammentare nessuno di loro.
Così avevo deciso di dare ad ognuno dei sei un soprannome diverso.
Il tizio alla guida era il "barbuto", portava gli occhiali e aveva una corporatura nella media, nessun tratto distintivo se non una folta barba nera, lo avrei confuso facilmente tra la folla.
Poi c'era la "gentile", una donna che sembrava avere il doppio degli anni rispetto a tutti gli altri, i capelli leonini biondi e un sorriso dolce rendevano il suo aspetto tutto sommato particolare.
Il "ragazzino" invece aveva dei capelli biondi con uno strano taglio alla Paul McCartney, ma era il suo viso che mi indusse a dargli quel nomignolo nella mia mente, il naso adunco, il volto tondo e gli angoli esterni degli occhi inclinati verso il basso lo facevano sembrare proprio un bambino un po' troppo alto.
L'altra ragazza di quell'assortito gruppetto era senza dubbi l'"angelo", aveva un caschetto biondo e un viso da copertina, era di una bellezza disarmante, sembrava uscita da un catalogo di moda, nonostante la statura minuta, la sua energia sprizzava da ogni poro, era incontenibile.
L'"indiano" invece aveva guadagnato quel soprannome grazie ai suoi lunghi capelli corvini, la sua carnagione scura, i pochi muscoli sul corpo perfettamente asciutto e la sua aria di estrema, perenne tranquillità.
<<Te senti bene?>>, la voce del "serpente" interruppe i miei pensieri. Il ragazzo che per primo era venuto a darmi soccorso in quel negozio sperduto aveva i capelli lunghi fino alle spalle, rasati ai lati, il viso più particolare che avessi mai visto. Era bello, senza alcun dubbio, ma non era questo che mi aveva colpito. Non era semplicemente bello, era molto di più. C'era qualcosa di inspiegabile in lui, nel suo sguardo, nel suo modo di parlare, nel suo modo di muoversi. Quasi come una calamita o, ancor più azzeccato, appunto come un serpente. Sì, lui era come un serpente che abbindolava le proprie prede attraverso il gioco di pupille, i movimenti sinuosi, attraverso le vibrazioni prodotte dal suo stesso sibilo. A caccia non di semplici donne, bensì ogni cosa intorno a lui sembrava esserne catturata. Ma, per quanto tutto ciò potesse sembrare crudele, lui era gentile. Un predatore gentiluomo forse, ne esistevano?
<<S-sì>>, risposi destandomi.
<<Dove possiamo lasciarti? Così impostiamo il navigatore>>, mi chiese il "serpente".
<<Alla stazione dei treni di Harlow va bene, grazie>>, il "barbuto" annuì.
<<Sei sicura di star bene?>>, chiese l'"indiano" a voce bassa, forse era disagio, sembrava molto timido.
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L'altra dimensione
FanfictionMargherita, giovane e confusa, cresciuta in un piccolo paese della Sardegna, incontra un gruppo di musicisti in tour per l'Europa. La sua vita tranquilla e insoddisfatta verrà capovolta, si renderà conto che ha sempre vissuto a metà rinnegando il su...