Capitolo 8: Se dici donna, dici ...

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Essere Isabella. Forse non era un'idea poi così malvagia, dopotutto cosa aveva da perdere? Magari Silvia avrebbe smesso di farle la predica a ogni occasione utile e Lavinia non avrebbe più provato ad appiopparle qualcuno che non avrebbe mai potuto fare al caso suo. C'erano troppe cose che Lav non sapeva di lei, particolari più che altro, ma essenziali per comprendere che erano davvero poche le caratteristiche che cercava in uomo: passione, rispetto e perseveranza, in un ordine gerarchico variabile a seconda delle situazioni e delle circostanze. Essere Isabella. Non fu poi così difficile trovare il punto da cui ripartire. Isabella Giovini non avrebbe mai provato sensi di colpa per una notte di sesso, tantomeno avrebbe evitato un luogo solo perché frequentato dall'amante occasionale di turno. Isabella Giovini era perfettamente in grado di dare il giusto peso e spazio ai vari aspetti e avvenimenti della sua vita: il lavoro era lavoro, il sesso era sesso, l'amicizia era amicizia e l'amore era Thomas; fu così che Isabella decise di tornare in palestra. Terminò di intrecciare i capelli, fermandoli con un elastico all'altezza del seno, dedicò un istante a controllare la sua immagine nello specchio: era buffo come top e corsari tagliassero a metà i suoi tatuaggi, lasciandoli, entrambi, scoperti solo per metà. Inspirò profondamente, fino a riempire i polmoni d'aria e si lasciò andare a un sospiro "Un passo dopo l'altro" ripeté in un sussurro e finalmente uscì dallo spogliatoio.

Appoggiato alle corde del ring, come sempre, alla fine di ogni allenamento, Emanuele si fermò a chiacchierare con gli altri ragazzi, poco più in là un gruppetto di liceali, a giudicare dai tratti del viso, ridacchiava, lanciando, nella loro direzione, occhiate per niente discrete. La notò immediatamente, non era di certo un tipo che passava inosservato, ma, in tutta onestà, non si aspettava di rivederla lì così presto, aveva già pensato a un paio di scuse per tornare in ufficio da lei e ... Più la guardava, più non riusciva a credere che fosse madre, non che per lui fosse un problema ma ... Insomma, la sua di mamma era una mamma: vestiti comodi, sguardo amorevole e comprensivo, quell'aria leggermente trasandata di chi ha cose più importanti da fare che preoccuparsi del suo riflesso nello specchio, Isabella, invece, era così ... così arrapante! Il modo in cui camminava, sorrideva, gesticolava, quello in cui baciava, graffiava, scopava ... I ragazzi avevano smesso di parlare e lo fissavano, probabilmente in attesa di una qualche risposta da parte sua, Emanuele sorrise: "Scusatemi un attimo" batté una pacca sulla spalla a lui più vicina e si allontanò, lasciandoli basiti. Isabella stava camminando sul nastro per prendere velocità quando si parò davanti a lei, cogliendola alla sprovvista: "Mi concedi la rivincita?" propose, offrendole un paio di guantoni.

Spalle al muro, chiuse gli occhi, un sorriso sfuggì alle sue labbra, quando quelle di lui scesero sul suo collo: avevano rischiato di dare spettacolo su quel ring; affondò i polpastrelli nel suo bicipite tatuato mentre gli incisivi stuzzicavano il seno, sgusciato dal top. "Sicuro che non arriverà nessuno?" sussurrò, afferrandolo per i capelli.
"Sicurissimo" la rassicurò, chiudendole la bocca con un bacio, mentre le mani le avvolgevano i glutei.
"Quante volte lo hai già fatto?" chiese, mordendogli il labbro.
Quel pensiero non la infastidiva, anzi e a Emanuele non sfuggì: "Qualche volta" mentì per assecondarla. I ragazzi gli avevano raccontato tante di quelle storie sull'utilità di quel piccolo magazzino, rimasto, fino a quel momento, fuori dal suo raggio d'azione più per scelta che per mancanza di opportunità.
Isabella sorrise, strusciando il bacino contro il suo: era esattamente la risposta che voleva sentire. Tutto quello che venne dopo, fu semplice sesso.

Una spirale di fumo fluttuava nell'aria, si godeva quegli ultimi istanti di prolungato piacere. Seguendola con lo sguardo per la stanza, portò la sigaretta alla bocca, lentamente, mentre lei scivolava dentro i pantaloni del suo formale completo; raccolse la giacca ai piedi del letto e cominciò a guardarsi intorno, alla ricerca della t-shirt blu Tiffany, unico pezzo mancante per rientrare nei suoi panni di perfetta donna in carriera. Emanuele fece un'altra boccata, trovava divertente la frenesia con cui ogni volta si rivestiva, pari solo a quella con cui si lasciava spogliare; la prima ricerca non diede alcun frutto e Isabella, sospirando, portò le mani ai fianchi, pronta a scandagliare di nuovo ogni centimetro di superficie. Emanuele sapeva già che sarebbe stato inutile: la maglietta penzolava dal cassetto semiaperto del comodino alla sua destra, tra la stecca di sigarette e la scatola mezza vuota di preservativi "Cercavi questa?" sorrise, mostrando il suo ritrovamento come si trattasse di una vittoria personale.
Isabella dirottò lo sguardo su di lui e non riuscì a non sorridere: erano così antitetici! Ema, la schiena comodamente adagiata contro la testiera del letto, il lenzuolo a coprirgli morbidamente il pube, la osservava divertito con la sigaretta tra due dita mentre nell'altra mano stringeva la maglia che, più facile da togliere e meno incline a stropicciarsi, aveva rimpiazzato la consueta camicia. Fece due passi verso il letto, roteò gli occhi quando capì che non aveva alcuna intenzione di restituirgliela; Ema era in vena di scherzi quella mattina e, invece di tenderle il braccio, lo allungò per allontanarlo da lei, che dovette puntare entrambe le ginocchia sul materasso per sporgersi verso di lui, il seno fasciato in un pizzo nero e fine a pochi centimetri dal suo viso. Probabilmente era banale, ma era la parte del suo corpo che più lo faceva impazzire, ne adorava la naturale abbondanza, quei piccoli e impercettibili difetti che lo rendevano vero. La sua prima fidanzatina aveva un seno prosperoso ma lui era troppo inesperto per coglierne appieno il fascino, troppo ansioso riguardo durata ed esito della penetrazione per comprendere che il sesso era molto altro; in seguito era stato un semplice susseguirsi di modelle a coppa di champagne o plasmate dalla mano, più o meno abile, di un chirurgo. Non resistette alla tentazione di poggiarvi le labbra, di nuovo, il contatto con la sua pelle tiepida era stimolante, il suo profumo inebriante, quel grazioso neo, a dividerle i seni, faceva il paio con quello sotto il suo occhio destro, come se fossero parte di uno stesso disegno. Le labbra si ricongiunsero, un bacio alla nicotina che a Isabella non diede fastidio, anzi, la fece tornare indietro nel tempo, a quei mesi di liceale incazzata e ribelle, quando quel sapore era anche nella sua di bocca. La mano di Ema le avvolse il fianco, aveva i sensi così recettivi da riuscire a percepire il filtro della sigaretta sfiorarle a malapena la pelle e il bacio si fece profondo, troppo "Devo essere al lavoro tra dieci minuti" gli ricordò.
"Me ne bastano cinque ..."
"Bugiardo ..." lo canzonò lei: non poteva rischiare di fare tardi, sarebbe stata la quinta volta negli ultimi quindici giorni.
Emanuele non protestò oltre, nonostante avesse ancora voglia di lei. Quella volta, non c'era stato bisogno di mettere delle regole, dei confini: zero rischio di coinvolgimento, si vedevano quando avevano voglia di scopare, punto. Per Isabella era un altro appuntamento da incastrare nell'agenda e non ci vedeva nulla di strano: prendeva appuntamenti con il parrucchiere, con i clienti, con le amiche, perché non per fare sesso? Lo salutò con un bacio rapido e scese dal letto, finendo di vestirsi; Emanuele la osservò scomparire giù dalle scale del soppalco, la sigaretta ormai bruciata, ancora tra le dita, si lasciò scivolare lungo il materasso.

Scherzi del destino - la storia continuaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora