Capitolo 6.

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«Allora? Me lo dici dove andiamo si o no?» Ormai è da un po' che stiamo in macchina, andando non so dove, mentre lui continua ogni tanto a picchiettare le dita sul volante.

«Certo che rompi poco le palle eh.» Lo fulmino con lo sguardo, rilassandomi poi quando lo vedo posare un attimo gli occhi sui miei e sorridere.
«E pure permalosa.» Dice, gesticolando con una mano e tenendo il volante con l'altra.

«Almeno non sono una narcisista.» Incrocio le braccia al letto mentre guardo fuori dal finestrino.
«Ogni riferimento a Briga è puramente casuale, sia chiaro.» Aggiungo poi, accennando un sorriso.
«Io non sono narcisista.» Aggrotta le sopracciglia.
«Aha.»

Continuo a guardare fuori dal finestrino, abbiamo preso una strada che non avevo mai visto, e stiamo andando praticamente in mezzo al nulla. Finalmente ci fermiamo, lui scende e io faccio lo stesso.
«E ora? Dove vai?» Chiedo, mentre chiudo lo sportello.
«Vieni dai.» Torna indietro di qualche passo, prendendomi la mano, a questo punto non ho molte opzioni, così non dico nulla e lo seguo.

Percorriamo il sentiero, qui è tutto così silenzioso, non ci sono macchine, persone o altro. Si sentono solo le foglie scricchiolare sotto i nostri piedi, passo dopo passo. È buio, e se devo proprio ammetterlo è un po' paura.

Guardiamo il lato positivo delle cose però, se dovesse spuntare fuori una qualche specie di animale, potrei sempre usare Briga come scudo umano e lasciare che mangino prima lui, avendo così il tempo di scappare.

Mi scappa una risata a pensarci.
«Che c'è?» Si volta lui.
«No.. niente. Quanto manca?» Cerco di cambiare discorso, ma non credo ci sia bisogno di una risposta.

Siamo davanti a una specie di casa, se così vogliamo dire, sembra fatta di legno, e ha delle grandi, enormi finestre che lasciano vedere la cucina e il salotto all'interno. Per il piano superiore le finestre sono più piccole, è davvero bellissima. Circondata da tutti questi alberi poi, è un qualcosa di stupendo.

Anche se così, mi intimorisce un po'. Insomma, è notte. E io non sono proprio una persona coraggiosa, affatto. Forse guardo troppi film horror.

«Dove siamo?» Chiedo, guardandomi un po' intorno, almeno per quanto riesco a vedere. Non risponde. Odio quando non risponde.

«Benvenuta nel mio rifugio.» Dice non appena entriamo mentre preme l'interruttore della luce.
«Wow. Quindi questo posto ha anche la corrente, ne dubitavo.» Dico, sarcastica.
In realtà però, non è davvero niente male. Mi piace davvero, è un posto incredibilmente tranquillo.

«Uhm, perché mi hai portata qui?» Mi siedo sul divano mentre afferro un cuscino e porto le ginocchia al petto.
«Qui mi rilasso. Non penso a nulla. È la mia via di fuga quando ho bisogno di staccare un po' la spina.» Spiega sedendosi accanto a me.
«Secondo te ho bisogno di questo?» Chiedo ancora, il mio sguardo rivolto in basso.
«Hai bisogno di una boccata d'aria, dovresti respirare per un attimo.» Stavolta incrocio i suoi occhi, non dico nulla anche se le sue parole mi hanno stupita.

«Hai mai portato qualcuno qui?» Credo di doverla smettere con le domande.
«Nah. Venivo da piccolo con la mia famiglia, ho tanti ricordi qui ma no, non ci ho mai portato nessuno. Come ti ho detto, è la mia di fuga da tutto e tutti.»

«E allora perché mi hai portata qui?»
«Questo l'hai già chiesto, sei ripetitiva, Marika.» Porto il mio sguardo verso il basso ancora una volta, poi torno a guardare lui.
«Si ma.. Insomma perché proprio io? Insomma ci conosciamo da si e no un paio di giorni.»
Si alza andando verso il frigorifero, prende una bottiglia di birra, la stappa e fa un sorso. Poi si appoggia al bancone della cucina.
«Non so perché. Me la sono sentita, tutto qui.» Alza le spalle.

«È tardi.» Merda. Tutto quello che è successo mi ha fatto perdere la cognizione del tempo, sono le due di notte e domani ho il turno di mattina. Sintesi: sono nella merda più totale.

«Puoi dormire di sopra.» Indica con la mano con la quale tiene la bottiglia, il piano superiore. Poi fa un'altro sorso.
Ancora non capisco come cazzo mi è venuto in mente di salire in macchina con lui.
«La tua auto è ancora fuori al locale.» Gli faccio notare.
«La prenderò domani.» Alza di nuovo le spalle.
«I ragazzi se ne accorgeranno.»
«Tu pensi troppo.»

«Ho sonno. Vado sopra allora, non ho scelta. Mi hai incastrata ormai.» Dico alzandomi dal divano.
«Nell'armadio ci devono essere i miei vestiti, nel caso vuoi metterti qualcosa di più comodo.» Annuisco e comincio a salire le scale, poi mi fermo un attimo.
«Briga.» Lo chiamo, e lui si volta.
«Grazie.» Sorrido e lui fa lo stesso, poi continuo a salire.

La camera non è molto grande, ma è carina. Tolgo le scarpe poggiandole in un angolo e apro l'armadio, ci sono un po' di magliette e qualche pantaloncino. Prendo le prime cose che mi capitano, una t-shirt nera e dei pantaloncini rossi, poi mi infilo sotto le coperte.

Dopo dieci minuti continuo a rigirarmi nel letto, ho tanti, troppi pensieri per la testa.

"Non ti voglio vedere." È vero, abbiamo litigato molto questo periodo, ma eravamo sempre tornati insieme dopo nemmeno un'ora, massimo due. A volte è capitato di non parlarci per mezza giornata, ma mai di più.
Forse Simone ha ragione, forse abbiamo bisogno di una pausa, o forse non stiamo più bene insieme.

Il fatto è che ho sopportato tutto per tanto tempo. Lui, le sue gelosie insensate, i suoi attacchi di rabbia che, nella maggior parte dei casi, tirava fuori dal nulla e il suo modo odioso di rendere anche la più piccola stronzata un'altra guerra mondiale. È come se vuole tenermi costantemente sotto controllo, ventiquattr'ore su ventiquattro.

E solo ora mi rendo conto, di aver rinunciato a troppe cose per causa sua.

Solo per renderlo felice.

Per non litigare ancora.

Ero all'ultimo anno di superiori quando la nostra storia è cominciata, avevo tanti amici, soprattutto maschi. Non dico di essere troia, è solo che mi ci trovo meglio. All'inizio era tutto così perfetto, ma è sempre così.

Col passare del tempo cominci a conoscerle veramente, le persone.

Il problema è che a me non importava di nessuno all'infuori di Simone.
Ho dovuto abbandonare amicizie, distaccarmi da tutti, solo per la sua stupida, immensa gelosia. Per paura di perderlo. E piano piano, Marika c'era sempre di meno. Si è preso tanti piccoli pezzetti di me, un po' alla volta. E non posso più permetterlo.

Credo che questo posto tipo sia un qualcosa di magico. È come se tira fuori tutto quello che non hai mai voluto affrontare. E ci sei solo tu, con i tuoi pensieri. Nessun altro. Forse perchè è così distaccato da tutto il resto, che fa sentire te stesso in un altro mondo. O forse ho solo sonno e sto delirando. In ogni caso, non riesco a dormire. Ma devo, domani devo alzarmi presto, o meglio, oggi.

Niente. Zero proprio. Decido di scendere in cucina, di solito quando sono preoccupata, ansiosa, triste, oppure ho qualche problema che mi frulla nella testa, mangio.

La mia fortuna? Non ingrasso facilmente. Eppure sembro un pozzo senza fondo, soprattutto se si tratta di cioccolato, gelato e quelle cose lì. Meglio ancora, gelato al cioccolato. Sì, è la soluzione a tutti i problemi direi.

Mi sorprendo quando trovo ancora la luce accesa, e Briga ancora seduto sul divano con carta e penna fra le mani. Guardo l'orologio attaccato alla parete, segna le tre e mezza.

«Ancora in piedi?» Chiedo mentre scendo l'ultimo gradino. Dalla sua faccia credo di averlo spaventato.
«A quanto pare non sono l'unico.»
«Avevo fame.»
«Alle quattro del mattino?»
«Sono le tre e mezza.»
«Ah bhe, scusa.» Alza le mani ed io sbuffo.

«Ci sono i biscotti nella credenza.» Vado dove mi ha indicato e tiro fuori i biscotti, ne prendo uno e lo porto alla bocca, poi vado a mettermi vicino a lui.
«Allora, che scrivi?» Chiedo.
«Ho buttato giù un nuovo pezzo.»
«Fammi leggere dai.» Mi porge il foglio.

Rainbow. | BrigaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora