Qualcuno no

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Chiudo la testa di Peter tra le mie braccia e mi stringo a lui, ho un occhio socchiuso, ha la pelle d'oca, lo sa anche lui.
Afferra i miei glutei, si alza con me in braccio e  fulmineamente cerca di scappare verso più lontano possibile da quelle enormi vetrate nere; penso stia andando verso al bancone del bar, non lo so, non vedo davanti a lui. Tengo una mano retta davanti a me e con l'altra mi stringo a lui.
Mentre salta oltre al bancone si sente un rumore sordo e dopodiché una raffica di vetri vola per tutta la sala, tengo la mano davanti a me, non posso fare altro che distruggere quello che mi capita a tiro. Le emozioni, le cazzo di emozioni, Diana fallo per proteggere Peter, distruggili.
So cosa mi aspetta.

All'improvviso il vuoto più totale, solo io a terra e ferita su braccia e viso; mi siedo.
« Mostrati. » ringhio quasi,
« Ti avevo detto di allenarti. » sento solo la sua voce.
« L'ho fatto. »
« Non abbastanza, sei qui a giocare. » è davanti a me.
« Non sto giocando, sto aiutando. »
« Già, aiutare, tu. » la sua voce si dissolve in una risata terribilmente fastidiosa.
« Serviva fare tutta questa scena? Qualcuno potrebbe anche essere morto! » gesticolo come un'imbecille, sto per perdere il senno.
« Tutti. »
« Cosa c'entrano loro? Sono persone comuni, non c'entrano niente con me. »
« Sono puttane e bastardi, lo pensi anche tu che sarebbe meglio fossero morti. »
« Non provare a far finta di conoscermi di nuovo. Non puoi fare andare di mezzo altra gente così. »
« Ti avevo avvertita. Te l'ho detto, » si avvicina accarezzandomi la guancia tagliata « l'unica che conta qui sei tu. »
Le tolgo la mano bruscamente, « Chi cazzo ti credi di essere?! E poi perché spacchi quei minchia di vetri? Non dovevi fare solo le illusioni tu? » sto urlando e quasi per piangere.
« Non ti ho mentito, creo illusioni, talvolta tanto realistiche da convincere uno a piazzare una bomba a vetro. »
« Sei un mostro, un rifiuto umano. » tremo.
« Senti chi parla, non ricordi quando di sono state dette esattamente queste parole? »

Certo che me lo ricordo, Peter, è stato uno dei nostri primi incontri, ma già ci conoscevamo il giusto da essere in confidenza. La sera peggiore della mia vita forse, o la seconda peggiore; avevo appena ucciso quell'uomo, Peter mi ha trovata e mi ha guardata in un modo che ho ancora impresso nella mente. Mi ha dato del rifiuto umano, me lo meritavo, mi sentivo così e probabilmente mi sento così tutt'ora. Solo che quando lui me l'ha detto alla fine non lo pensava nemmeno, non è mai riuscito a pensare così di me purtroppo, sarebbe stato tutto più facile.

« Ci saranno state almeno 50 persone all'interno della sala! Non puoi dirmi che puoi fregartene così facilmente. »
« Se ti fossi allenata saresti riuscita a disintegrarli sul momento. »
« Menti. »
« Beh, un po' l'hai fatto, » appare una sorta di finestra dalla quale vedo me e Peter sdraiati a terra, io sopra di lui e lui fortunatamente privo di tagli.
« Non sarei riuscita più di così. L'ho fatto solo per lui. »
« Comunque sei stata fortunata. »
« Cosa intendi? »
« Il tuo ragazzo li ha salvati tutti. » guardo attraverso alla finestra, è riuscito a coprire tutti di ragnatele, in modo che non potessero essere colpiti.
« Peter... ma quando... » accenno un sorriso.
« Non essere così felice, qualcuno non si è salvato. Allenati o arriverà il peggio. »
Scompare tutto, torno nel mio corpo.

Spalanco gli occhi, mi guardo le mani, il corpo, Peter. Ho solo le braccia ferite e un po' le tibie, lui è pulito. Mi scrollo i vetri di dosso e corro a controllare le altre persone nella sala, sono tutti coperti. Scosto i vetri da sopra ai "bozzoli" e ne disintegro una parte, sono la cosa più difficile che abbia mai distrutto. Controllo che tutti respirino, sono vivi.

Corro verso ai camerini, quella donna aveva detto che qualcuno non si era salvato.
Una pozza di sangue ed il suo odore mi accolgono prima del cadavere. Spalanco la porta e trovo Georgia sdraiata a terra vicino alla finestrella dello spogliatoio con il viso totalmente lacerato.
Corro verso di lei e scoppio in un pianto isterico, le prendo la testa e estraggo tutti i vetri che riesco. Non c'è possibilità sia viva, la pozza di sangue è almeno due metri e i suoi occhi vitrei. La sua parrucca rosa è colma di sangue, gliela tolgo, ha i capelli corti, praticamente rasati, le stanno quasi meglio.

La porta degli spogliatoi si riapre, lo si sente dal suo cigolio, mi volto.
« Diana. »
Annuisco singhiozzando e tornando a piangere sopra quel corpo privo dell'energia che emanava prima. Peter mi corre in contro e lentamente mi fa appoggiare Georgia a terra. Tempo di asciugarmi le lacrime è già vestito da Spiderman e prende in braccio la ragazza portandola fuori.
« Tu va, » tiene la testa china prima di uscire, « mi spiace. » sussurro prima di prendere la giacca e scappare.
Torno a casa, la mia casa vicino all'università, non voglio tornare nell'altra grande e vuota. Mi faccio una doccia per lavarmi via le emozioni che ho provato, lo schifo che mi faccio.
Diamine, non ne faccio mai una giusta e ora un'altra persona è morta per colpa mia. Accendo il telefono e chiamo Fede:
« Pronto? »
« Pronti, sono Diana. »
« Hey, come va? È un po' che non ti fai sentire. »
« Lo so, scusa. Posso chiederti un favore? »
« Certo. »
« Mi alleni, cioè mi aiuti ad allenarmi? »
« E me lo chiedi anche? Prima o poi avrei dovuto restituirti il favore! »
« Grazie mille. »
« Ma tutto bene? Non mi sembri- »
« Ci vediamo domani sera allora. Ti voglio bene. »
Sospira « Anche io, ciao. »
Attacco, « Grazie di tutto. » , ma questo chiaramente non lo può sentire.

Mi metto la tuta e sprofondo nelle pieghe del divano, può una sola persona essere così distruttiva?
E poi cos'ho fatto di buono nella vita? Niente assolutamente. Avere una coscienza è la cosa peggiore che si può desiderare.

Chiamo Carla, non ho intenzione di dirle nulla, ma ho bisogno di sentirla, di sentire la sua voce dolce e squillante sempre entusiasta e osservante. Mi parla della scuola, di come si trova lei, Luke...

Suona il campanello, « Ci sentiamo dopo, qualcuno sta suonando. »
« Certo Dia, ti voglio bene. »
Attacco « Anche io. » , vado ad aprire col telefono ancora in mano: è Peter. Ha delle occhiaie spaventose e lo sguardo perso.
« Non ti aspettavo qua. » rimango sulla porta.
« Lo so. »
« Perché non hai suonato il citofono giù? »
« Era aperto. »
« In tutti i palazzi che vado è sempre ap- »
« Posso entrare? » mi interrompe, « Sí. » apro del tutto la porta e mi scosto.
Si va a sedere sul divano, alza la testa verso di me davanti a lui « Diana, so che ne sai più di me, ti prego dimmi cosa è successo. » mi sta implorando con lo sguardo.
« Peter, veramente non ne ho idea, mi sono svegliata e tu eri ancora stordito così sono andata a controllare che stessero tutti bene. » mento, non vorrei farlo, ma se lo coinvolgessi non potrebbe comunque fare nulla.
« Sei strana ultimamente, questi attacchi, le vetrine che esplodono, accadono solo quando ci sei te. Ed era un bel po' che non succedeva più; il problema è che chi oltre a noi sapeva che eri lì? »
« Non lo so Peter, io non l'ho detto a nessuno, secondo te vado a dire in giro che faccio la prostituta per finta? »
« Non ti sto accusando di aver detto nulla; prima o poi mi dirai cosa nascondi. » conclude, non rispondo e rimaniamo un attimo in silenzio mentre lo raggiungo sul divano.
« Quella ragazza... la conoscevi? » si volta di nuovo verso di me, « Non proprio, ci avevo parlato un paio di volte. »
« Mi spiace. » abbassa il capo.
Gattono velocemente sul divano verso di lui « Se provi a prenderti la colpa giuro che, che non sai cosa ti faccio. » gli punto il dito.
« Sei tu che stai piangendo Diana. »
Mi porto le mani agli occhi, mi pulisco in fretta le lacrime con le maniche della felpa. « Diamine, questo non significa che quello che ho appena detto abbia meno significato. » cerco di fermare queste stramaledette lacrime.
« No tranquilla. » accenna un sorriso dolce e mi passa una mano dietro alla schiena.
« Sei subito venuto qui vero? » rialzo la testa.
« Da cosa l'hai notato? » si indica la tuta.
« Sí, » rido « ho fatto una domanda stupida, vado a prenderti qualcosa. » mi alzo per andare in camera.
Apro l'armadio e mi siedo a terra per cercare qualcosa nei cassetti, sono stanchissima e non riesco a non pensare a Georgia.
Dio santo è colpa mia, se avessi fatto quello che mi aveva detto non sarebbe successo niente di tutto questo ed ora Georgia è morta. Una volta riuscivo a trattenermi dal piangere così disperatamente, ora è impossibile.
« Diana, guarda che non ce n'è bis- » Peter è sulla porta della camera, mi vede rannicchiata davanti al cassetto, « no,no,no, vieni qui. » cammina velocemente verso di me abbassandosi per abbracciarmi « va tutto bene, domani starai già meglio, » mi pettina i capelli con le dita.
« Su, alziamoci, così per terra prendi freddo. » dice a bassa e tenera voce, non faccio segno di muovermi, per lui non è un problema, mi alza ugualmente prendendomi in braccio.
Si siede sul letto e mi appoggia con le gambe sopra alle sue « Diana dimmi che è tutto ok. »
« Sí. »
« Lo sai che puoi dirmi tutto. »
« Lo so. »
Mi alza il mento con un dito costringendomi a guardarlo « Ne sei sicura? » dice.
Annuisco, mi stringe tra le sue braccia mentre appoggio la testa sul suo petto, oramai è coinvolto.

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