1983: Sulla punta del naso

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"L'unica cosa che ti chiedo, Gavin, è di non dimenticarti di me

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"L'unica cosa che ti chiedo, Gavin, è di non dimenticarti di me. Non portarmi al collo come una collana, né al dito come un anello; custodiscimi, gelosamente ed avidamente, nel buio della tua mente, fin quando non riuscirai a toccare qualcosa senza che le tue dita rendano l'oggetto di marmo" erano le parole iniziali del racconto di Adela, una mutante tredicenne che, alle otto e dieci di quel giovedì, si ritrovava nella classe di T/N McCoy.

La ventenne aveva assegnato agli studenti di scrivere un racconto, e la traccia era ai limiti della sua fantasia: "Inventa il finale di una storia dove uno dei protagonisti è un mutante. Analizza il lato psicologico di un personaggio presente in quel momento, mettendo in risalto, se necessario, i suoi pensieri" avevano trascritto i giovanissimi sul loro foglio bianco a righe.

La piccola McCoy aveva il viso pallido, simboleggiante il non sentirsi bene: quella mattina si era svegliata con le mestruazioni, ma non poteva assentarsi in classe. Chi l'avrebbe sostituita?

Peter entrò nella classe della mora, sorridendo ed esclamando: «Buongiorno McCoy!». Attirò l'attenzione di tutta la classe, ma la maggior parte si rimise a lavoro subito per non perdere il segno. Qualcun altro, invece, era rimasto ad osservare il grigio mentre si avvicinava alla ragazza seduta dietro la cattedra. Lei non era appariscente, l'outfit totalmente nero composto da pantalone largo della tuta, canotta a bretelle e felpa con zip rigorosamente aperta la rendeva quasi invisibile. Il velocista si rese subito conto che qualcosa non andasse, notando poi mani che pressavano sul basso ventre.

«Buongiorno, Maximoff. Non gridare, i ragazzi stanno scrivendo» riferì, indicando i tredicenni seduto nei rispettivi banchi. Peter dedicò loro uno sguardo fugace, tornando sulla ragazza.

«Ti senti bene?» le chiese, inclinando la testa verso sinistra, scrutandola da capo a piede.

«Un po'. Sono stata meglio» ridacchiò debolmente, mentre il dolore forte iniziava a provocarle una sensazione di nausea.

«Cosa ti senti? È quel periodo del mese?» lui si accovacciò di fronte a lei, mettendo la sua mano sopra una della McCoy, che sorrise ampiamente.

«Mi sento come se il mio utero fosse stato tagliando a metà ed ora si stia stringendo lentamente. — Peter sgranò gli occhi, mentre il suo sguardo passava dal volto dolorante della mora al suo basso ventre, tornando subito dopo al volto di lei, la quale ridacchiava. — Perché sei qui?» gli chiese con innocenza.

La presenza di Peter nella sua classe significava solo una cosa: l'aveva perdonata per davvero, come aveva scritto sul bigliettino.

«Ah, non so. — disse vagamente Peter, rivolgendo uno sguardo agli alunni. — Ho trovato delle rose in camera mia ieri sera, mi domandavo se tu conoscessi il mandante» sussurrò, tornando a guardarla e sorridendo complice. Lei arricciò il naso, creando un piccolo sorriso a labbra chiuse.

«Potrei» rispose lei debolmente. I loro occhi erano incastonati uno nell'altro, senza smuoversi, così per secondi interi. Sentivano gli sguardi di vari alunni su di loro, chissà in quanti avrebbero trascritto la scena nel loro racconto, o in quanti avrebbero detto
che quei due si frequentavano romanticamente, diffondendo il rumor.

UNA TIPICA STORIA SU PETER MAXIMOFFDove le storie prendono vita. Scoprilo ora