15º Capitolo

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"Ne ho abbastanza di questa situazione. Andiamo via Cass!"
Un Alexander infuriato, col volto cupo e malvagio, si fece avanti e mi prese sotto braccio pronto ad andare via.
"Non sono cose che ti riguardano, pezzente!"
Disse Spencer con tono sprezzante nei confronti del mio amico.
Fu una frazione di pochi secondi, sentii la presa di Alex allentarsi e poi con la stessa mano mi spinse all'indietro facendomi calpestare Kim. Neanche il tempo di capire cosa stesse per succedere che vidi un pugno volare sul volto del moro. Si scatenò l'inferno.
I due ragazzi si presero violentemente gettandosi a terra, volavano pugni fortissimi. Mi gettai subito su di loro cercando di dividerli ed evitare che quella testa calda di Alexander finisse nei guai. Troppo tardi. Sentii una mano stringermi i capelli e l'attimo dopo tirarmeli così forte da farmi urlare, inutile dire che fu un totale macello. Fu poi Kimberly e qualche professore intervenuto per via delle forti urla a sciogliere quel groviglio di ragazzacci, compresa me, che si rotolavano fra i corridoi della scuola facendosi del male.
"Come diamine vi è saltato in mente!"
Urlò uno dei professori, per fortuna non uno che mi conoscesse. Nessuno di noi rispose.
"Vi voglio subito fuori di qui, al più presto chiameremo i vostri genitori. Ora fuori!"
Ebbi solo il coraggio di guardare Kim, quella poverina era tremendamente spaventata e suppongo anche alquanto delusa.
Con le poche forze che avevo aiutai Alexander, ancora steso sul pavimento anch'egli privo di forza.
"Non finisce qui"
Continuò Spencer. Incredibile quanto un mio rifiuto abbia offeso quel ragazzino, inutile dire che nella sua vita non era mai stato abituato ad un "no" categorico.
"La smetta e vada via!"
Urlò ancora il professore stanco di quella sceneggiata.
Presi Alexander, lo strinsi a me e ci avviamo verso la macchina.
Andammo a casa sua, la stessa casa in cui avevo giurato di non metterci più piede. Sarebbe stato un suicidio tornare a casa mia in quelle condizioni e dare spiegazioni a mia madre.
Andai in bagno per controllare la mia situazione; i capelli erano spennati e ancora mi faceva male il punto in cui quella maledetta me li aveva tirati, avevo il labbro superiore spaccato e una guancia gonfia. Come mi ero ridotta io a fare quelle cose? Non era neanche nei miei più lontani progetti fare a botte nella scuola, e soprattuto senza un valido motivo. Lasciai perdere quello che era successo a me e spostai la mia attenzione sul riccioluto.
"Vieni qui, siediti."
Si accomodò sul letto senza neanche dire una parole e senza mai guardarmi negli occhi.
Era malridotto anche lui, un occhio viola, le nocche delle mani spaccate e un graffio poco profondo, ma da cui usciva parecchio sangue, sul lato destro della fronte.
"Ora cerchiamo un po' di sistemare questa situazione"
Frugai fra i mobili del suo bagno cercando disperatamente delle medicazioni, ovviamente non trovai nulla.
"Be' lasciamo perdere, vieni qui che ti disinfetto."
Mi sedetti affianco a lui, gli presi il volto e lo pulii. Con delicatezza lavai via tutto il sangue.
Sai Alex, in quel preciso istante, quando poi mi sono ricordata dei tuoi occhi che non la smettevano di starmi addosso e ti ho guardato, ho sentito il mio cuore rompersi in tanti piccoli pezzettini. Come erano tristi quegli occhietti da felino che avevi, quanto male fece poi vederli riempirsi di calde lacrime. Erano calde sì, le ho sentite sulla mia faccia quando ti ho abbracciato, ti ho stretto così forte e ho sperato con tutta me stessa che tutto quel male che avevi dentro passasse a me. Perché tu non lo meritavi.

"Ehi, che succede?"
Chiesi sperando che quel pianto fosse solo uno sfogo per via della tensione creatasi poco prima.
"Perché non lo capisci?"
"Capire cosa?"
"Che ti amo."
Ferma, immobile.
Il tempo si era fermato, attorno a noi silenzio tombale. Dovevo essere felice o triste? Ero felice o triste? Questo mi sono domandata per il resto dei miei giorni fino ad arrivare ad una risposta definitiva , quella che purtroppo non ti ho mai detto. Ero felice di sentirti dire quelle parole, felice perché ti amavo anch'io inconsapevolmente.
"Odio dovertelo dire così, fra le lacrime. Sto piangendo come un bambino difronte alla donna che dico di amare, sono così codardo?"
Ancora muta, come se fossi congelata.
"Dimmelo Cassandra, io sono un codardo?"
"Come puoi definirti codardo dopo tutto ciò che hai affrontato nella tua breve vita? Dopo aver rischiato la pelle per me, dopo aver avuto il coraggio di dirmi che mi ami tu osi dire che sei un uomo senza palle?"
Gli occhietti neri come la pece mi fissarono, poi si strinse a me poggiando la testa sul mio petto.
Come potevo io restare impassibile? Lo strinsi anch'io con la stessa forza, fin dal primo istante avevo promesso di prendermi cura di lui e non ero riuscita nella mia missione, era stato forse l'amore che provavamo entrambi a sviarmi?
Passata la tempesta lo feci stendere sul letto e poi mi misi di fianco a lui, lo strinsi a me e aspettai che i suoi singhiozzi si placassero.
"Ho bisogno di te."
Disse sotto voce.
"Sono qui".

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