18ºCapitolo

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La corsa in ospedale fu un'altra batosta, era una lotta contro il tempo. Raggiunsi l'ospedale con la mia auto e ebbi il tempo di mandare un messaggio veloce a mia madre dicendole di raggiungermi lì. Seguii l'ambulanza correndo al massimo, dovevano a tutti i costi salvarti, la tua vita era appesa ad un filo. Riuscii a vedere Alexander  di sfuggito solo qualche secondo poi la sua vita passò nelle mani dei medici.
L'attesa fu interminabile; nel mentre che l'aspettavo arrivò anche la mamma, e fu molto dura dirle cosa i miei occhi avevano visto. Oltre che ad un grande dolore fu per me anche una delusione, sapevo che in realtà quella promessa non l'avevo mai mantenuta, sin dal primo momento.
Oh Alex, sapessi quanta paura che ho avuto. Avevo appena confessato a me stessa l'amore che provavo per te e stavo per perderti, almeno prima di andare via volevo che tu sapessi che ti amavo anche io.
Passarono un paio d'ore, poi lo stesso medico che ti aveva portato via era tornato per darmi tue notizie.

"Per fortuna siamo riusciti a salvarlo, ma questo ragazzo ha bisogno di una disintossicazione."
-Io e la mamma lo ascoltavamo in silenzio, sapevamo entrambe dell'enorme problema di Alexander.
"Voi non siete parenti giusto?"
-Chiese.
"No Dottore.."
-Nel mentre che la mamma spiegava come conoscesse Alex e l'aiuto che gli dava io ebbi finalmente il consenso per vederlo.

Corsi lungo il corridoio rischiando di far volare qualche infermiere, poi finalmente arrivai alla stanza numero 113. Prima che io entrassi, uscì un'infermiera.
"Sei Cassandra?"
-Chiese lei, lo sguardo severo.
"Ehm sì, ma lei come fa a saperlo?"
"Questo ragazzo non ha smesso un attimo di chiamarti"
-Mi fece cenno col capo di entrare, poi un sorriso le illuminò il volto stanco per via del duro lavoro.
"Grazie, grazie!"
-Entusiasta, non me lo feci dire due volte ed entrai.

A me non era mai piaciuto l'ospedale, prima di conoscere Alex non ci ero mai andata; mi mettevano così tanta malinconia quei lunghi corridoi cupi e poi quei colori così spenti, odiavo essere lì, soprattutto perché ero lì a sperare che il riccioluto non mi lasciasse prima del dovuto. Era deprimente vederti in quel letto attaccato ai lavaggi, il grigio di quella stanza sembrava così ingombrante, sembrava ti divorasse. Il corpo esile che ormai ti ritrovavi, la pelle pallida, spenta e senza luce, e poi il tuo viso, scavato e triste. Nel complesso, era tutto molto triste, non eri di certo uno bello spettacolo. Ma l'importante era averti ancora con me.
Quando misi piede nella stanza eri già crollato, l'effetto dei farmaci era in corso, così per paura di svegliarti feci tutto con la massima attenzione, quindi presi una sedia e mi sedetti accanto al tuo letto.
In così poco tempo Alex era diventato per me qualcosa di inspiegabile, era proprio vero che in amore il tempo contava poco, era bensì la chimica che si creava fra due persone ad essere importante. Prima di te non avevo mai provato questi sentimenti, questo famoso amore, e detto sinceramente neanche ci pensavo, ma poi dopo il tuo ingresso improvviso nella mia vita, qualcosa è cambiato. Le mie giornate sono cambiate, ti ho completamente assorbito e accolto nel mio cuore e nella mia mente: "dove sarà Alex?" "Cosa starà facendo?" "Speriamo stia bene". Pensavo a te continuamente, facevi troppo rumore per essere solo un pensiero però. E allora è arrivato poi il primo bacio, e poi il secondo, il rapporto è diventato quello di due amici inseparabili. Ma in segreto tu mi amavi, perché non me lo hai mai detto?

"Cass..sei tu?"
-Finalmente sentivo la tua voce, che sollievo.
"Sono io, sono qui per te"
-Mi affrettai a prenderti le mani e a stringerle forte. Volevo sentirti il più possibile vicino a me.
"Mi dispiace"
"Alex, ne riparleremo, ora devi riposare"
-Non apristi neanche gli occhi tanto che eri debole, ma riusciti con tutte le forze che avevi a ricambiare la stretta delle mie mani.
"Ti amo"
"Ti amo anch'io."

Quello fu il primo "ti amo" non sofferto che ci eravamo detti.
Per il resto della giornata fui io a tenere compagnia ad Alex, i medici lo avrebbero dimesso qualche giorno dopo e quindi io e la mamma ci eravamo divise i compiti: nel pomeriggio ci sarei stata io, durante la notte lo avrebbe accudito lei, in mattinata per fortuna era un via vai di infermieri e medici e quindi non era mai solo.
Nei giorni a seguire notai in me un cambiamento radicale, nonostante Alexander fosse in ospedale sapevo che era ormai fuori pericolo, ed ero particolarmente felice. Ero felice perché sapevo che quando saresti uscito avremmo passato intere giornate insieme, ero felice perché forse quella sarebbe stata la volta buona per smettere con la droga e infine, ero felice perché ti amavo e finalmente lo sapevi.

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