13. Ira

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Lasciate ogni speranza voi ch'entrate.
                                                               Dante Alighieri

Per un attimo sperai che le cose si sarebbero aggiustate se avessi smesso di pensarci, che il problema sarebbe scomparso se avessi fatto semplicemente finta di niente. Ovviamente non fu così, non era mai così.

Era sabato e avrei potuto riposare, ma non riuscivo proprio a stare ferma nell'intrico di coperte che mi facevano sentire asfissiata.
Non facevo altro che pensare a tutto quello che era accaduto il giorno prima.

Il notiziario, Sarah, perfino Will con quel "sei importante per Aster" mi avevano confuso all'inverosimile.

Di sicuro lo squillo del telefono non aiutò per niente. Dopo tutte le volte che quel suono mi aveva causato problemi fui tentata di spegnerlo. A farmi cambiare idea fu il numero non registrato che apparve sullo schermo.

Aggrottai le sopracciglia, indispettita e confusa, chi diavolo poteva fare una telefonata a qualcuno alle 8 di sabato mattina?

Mi alzai a sedere e cercai di svegliarmi e compormi il più possibile prima di rispondere con un "pronto?" abbastanza incerto.

"Pronto Eden, buongiorno sono la professoressa Dorsey, spero di non averti svegliata"

oh cazzo

La voce della mia professoressa di matematica suonava decisa e imperiosa ma per niente arrogante. Era in assoluto la persona più intelligente che conoscessi, padroneggiava la sua materia come un artista che dipinge un quadro. La ammiravo molto.

E quello era proprio il motivo per cui quasi caddi dal letto sentendo la sua voce. Assunsi il tono più professionale possibile prima di risponderle.

"Buongiorno professoressa, non si preoccupi non mi ha svegliato. Mi dica" sperai che non si notasse troppo la voce impastata dal sonno. Se capì che stavo mentendo di certo non lo diede a vedere.

"Potresti venire a scuola entro un'ora? Devo parlarti di una cosa importante"

Mi chiesi perché non potesse dirmelo a telefono già che c'era, ma sicuramente non lo dissi ad alta voce.
"Ehm...certo professoressa" dissi dubbiosa e un po' incerta.

"Perfetto, ci vediamo alle 9" concluse frettolosamente e attaccò senza aspettare replica. Non ci rimasi male, infondo era fatta così, non perdeva un secondo del suo tempo. Tutti i matematici erano così.
Sperai in cuor mio di poter essere una di loro un giorno.

Scostai le coperte e scesi dal letto, passai in rassegna ogni jeans e ogni maglia per decidere cosa fosse più appropriato e alla fine optai per un paio di jeans a zampa di elefante e un maglione aderente a collo alto. Abbinai al tutto un paio di stivali con un po' di tacco.

Molti avrebbero disapprovato che una ragazza già alta facesse di tutto per farsi notare ancora di più, ma personalmente non vedevo il motivo per nascondermi. Sono sempre stata una bambina testarda e una ragazza ambiziosa, ho sempre voluto distinguermi e affermarmi, il mio motto era "sempre a testa alta, nella ragione e nel torto".

Abbandonai quelle riflessioni appena messo piede in corridoio. Mi arrivarono alle orecchie risate e schiamazzi provenienti dalla camera del mio disgraziato fratello.

Aprii la porta e vidi Christian insieme a due ragazze e tre ragazzi seduti tra bottiglie vuote di birra e un liquido non identificato.

Una ragazza dai capelli neri lunghi fino alle cosce lo accarezzava sensualmente con le unghie nere a stiletto, un ragazzo dai capelli neri e l'altra ragazza fumavano appollaiati sulla finestra e gli altri due ragazzi si baciavano appassionatamente.

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