17. Eternamente forse

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È nella separazione che si sente
e si capisce la forza con cui si ama
Dostoevskij

C'era stato un tempo, non molti mesi prima, in cui desideravo svegliarmi in un'altra vita. In cui volevo ardentemente aprire gli occhi e scoprire che niente era cambiato: che papà non era mai andato via, che Ellen non era morta, che l'infanzia non era finita e che l'adolescenza non si stava affrettando a seguirla.

Ma quelli erano solo sogni, sogni di una ragazza che non riusciva ad accettare l'idea di crescere perché a quel punto non avrebbe più potuto trovare scuse o giustificazioni con sé stessa.

Il futuro terrorizza i giovani, ma anche e soprattutto gli ambiziosi e i sognatori. Non c'è niente che spaventi di più che diventare grandi.

Ed era così che io mi sentivo ogni giorno: assolutamente e completamente terrorizzata dal tempo che scorreva. E ogni ticchettio dell'orologio mi ricordava che stavano passando i giorni e io non avevo ancora trovato il mio posto.

Alcune volte avrei voluto tapparmi le orecchie e chiudere gli occhi per non vedere e non sentire, per fingere e illudermi. Ma non potevo. Dovevo vivere
.
Dovevo vivere per me stessa e per lei.
Così ogni mattina prendevo la mia bella maschera di perfezione e indifferenza, la indossavo a testa alta e con eleganza, per mascherare quanto in realtà mi sentissi stremata. A quel punto vivevo. Semplicemente vivevo, perché l'unica cosa che ho sempre saputo è che il mondo non si sarebbe mai fermato ad aspettarmi.

E così feci anche quella mattina, come tutte le altre: misi i piedi a terra e cominciai a vivere, mi vestii e continuai a vivere.

Quando scesi in cucina la mamma non mi guardò neanche. Non aveva approvato minimamente la mia iniziativa di tingermi i capelli, la trovava un capriccio inutile e frivolo di cui mi sarei pentita. Nonostante questo, però, non mi aveva rimproverata, solo ignorata, il che era il suo modo di farmi sentire in colpa.

Presi l'autobus e vissi, perché non potevo fare altro.
Arrivata a scuola cercai immediatamente Sarah, che a dire la verità non aveva preso troppo male il mio nuovo look quando alcuni giorni fa gliel'avevo mostrato. Mi ha osservato per qualche secondo, ha inclinato la testa da un lato come gli uccelli e poi ha esordito con un "Sembri una regina" e dopo qualche secondo aveva detto "Una regina della notte"

Non sapevo come interpretare la cosa dato che non ne avevamo mai parlato, ma comunque non aveva mai smesso di scrutarmi quando credeva di non essere vista. Nel suo sguardo vedevo qualcosa di completamente diverso dal solito. Sembrava soddisfazione, quasi come se lo aspettasse.

A Livermore splendeva il sole, segno che il piovoso autunno stava lasciando il posto all'inverno freddo. I fili d'erba splendevano e il cielo era limpido e azzurro. Le uniche nuvole bianche sembravano placide e immobili in quella giornata, quasi a formare un quadro.

Trovai Sarah alla solita panchina che parlava, come al solito, con Lucas e Will. E sempre come al solito, quando mi videro salutarono Sarah e andarono via lanciandomi solo uno strano sguardo indagatore.

Dalla messa per Mason Lucas non mi aveva più rivolto parola, e nemmeno Aster, ormai erano alcuni giorni che non si vedeva da nessuna parte. Solo Will mi aveva dato l'impressione di volermi parlare, ma probabilmente non lo aveva fatto per rispettare i suoi amici. Non vedevo niente di sensato in questo ma ero troppo sommersa da pensieri e preoccupazioni per curarmene.

"Buongiorno" biascicò Sarah non appena mi sedetti al suo fianco. Profumava di menta e shampoo. I ricci solitamente lasciati sciolti sulle spalle ora erano legati in una rigida coda di cavallo.

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