Capitolo XII

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Alla televisione passava l'ennesima serie tv che sia Kat che Eloise si erano ripromesse di seguire con un minimo di assiduità.

Finiva sempre però allo stesso modo, con la televisione a far da sottofondo alle loro effusioni o alle loro chiacchiere.

"Io credo di avere perso il filo anche di questo telefilm... A che puntata siamo?"chiese Eloise ridacchiando. Erano entrambe stese sul divano davanti alla televisione, abbracciate.
"Ma che importa..." rispose languida Kat e stringendosi ancora di più a lei.
D'un tratto però la sentii irrigidirsi.

"Oh no, ho dimenticato di passare dal supermercato prima di tornare dal lavoro!" fece Eloise.
"E quindi? Dai, ci andiamo domani, che problema c'è?"
"C'è che non abbiamo nulla per fare colazione domani mattina! Avanti, dai, fammi andare un secondo..."
"No, dai, non mi lasciare qui tutta sola..." disse Kat fingendo una voce bamboleggiante.
"Ehi, vieni qui."
Le diede un bacio sulle labbra, a cui poi ne seguì un altro, e ancora un altro...

"Basta Kat, fammi andare!" disse Eloise ridacchiando.
"Non andare Eloise. Rimani qui. Non farmi pentire di non avere insistito a non farti uscire. Non farmi rimpiangere questi baci perché sono gli ultimi che ci daremo."
"Cosa stai dicendo Kat? Che ti succede?"
Kat a quel punto iniziò a piangere e tra le lacrime le spiegò tutto.
"Tu uscirai di qui, andrai al market sotto casa e sarai uccisa durante una rapina. E a me non rimarrà che piangere sola in questa casa vuota, disperata per non averti convinta a restare. Non mi lasciare Eloise, non mi lasciare più..."

Kat si destò di soprassalto da quel sogno. Si guardò attorno spaesata e dopo pochi attimi si rese conto che non era casa sua quella. Era ancora in quella stanza presso il villaggio di amish.

Dentro Kat si aprì allora una voragine. Era troppo bello per essere vero poter avere una seconda occasione. Invece quello era solo un desiderio disperato del suo inconscio, materializzatosi in un sogno che le aveva restituito una Eloise così concreta da lasciarla dilaniata al risveglio.

Le venne così da piangere, le lacrime cominciarono a scendere a fiotti dai suoi occhi. Anche se quello sfogo stava sforzando la ferita, Kat non riusciva a calmarsi. Si sentiva così miserabile e inerme in quelle condizioni da non riuscire ad opporre alcuna resistenza alla marea di dolore che aveva dentro.

In quel frattempo, stava albeggiando. Rachel si era alzata, aveva appena lasciato la sua camera, adiacente a quella di Kat, e si apprestava a scendere al piano terra per preparare la colazione. I singulti di Kat giunsero alle sue orecchie e lei così entrò nella sua camera per capire cosa stesse accadendo. 
"Kat! Ti senti bene?"
Kat non le rispose nemmeno, continuò a piangere.

Rachel così si avvicinò al letto di Kat.
"Cosa è successo?"
"Sto bene..." rispose Kat singhiozzando.
"Hai fatto un brutto sogno?"
Come dirle di Eloise? Le tornò in mente l'espressione che Rachel assunse in quella caffetteria appena scoprì che lei era stata con una donna. Si sentì ancora più sola e disperata, la sua brama in quel momento di un briciolo di conforto e calore umano divenne un buco nero che la ingoiò per intero.
"Non capiresti..." disse Kat affondando ancora di più la faccia nel cuscino
"Ma se non mi dici che cos'hai non posso aiutarti!"
"Lasciami stare..."

Rachel rimase in silenzio, mentre Kat continuava a singhiozzarle davanti. Non voleva insistere con le domande, non era affatto il momento. Era però uno spettacolo così penoso vederla in quello che stato che cercò nella sua mente qualsiasi cosa - una frase, anche una semplice azione- che potesse essere di conforto a Kat in quel momento, invano.

Poi, d'un tratto, ebbe come un guizzo. Ricordò quando quei due poliziotti, uscendo dalla caffetteria, rivelarono che la sua compagna era morta. Che fosse quello il motivo di tanto dolore?

"Kat, ecco... È a proposito di quella... persona che dicevano tu hai perso?"

A quel punto il pianto di Kat si calmò per un momento, per essere sostituito però dall'aggressività.

"E quindi? Devi farmi una predica?"
"No!"
"Io non appartengo alla vostra società, non mi interessa cosa pensi di me!"
"Aspetta! Ti prego, non fraintendermi... Volevo dirti che anche io piangevo come te quando ho perso mio marito."

Questa affermazione cambiò in maniera radicale l'atteggiamento di Kat nei riguardi di Rachel. Non la stava giudicando, stava cercando un dialogo con lei.

"Tuo... marito?"
"Sì, un incidente mentre stava aiutando a costruire una stalla, poco dopo la nascita di Eliah."
"Mi dispiace..." disse Kat quasi sussurrando. Quello sfogo aveva consumato le sue giá scarse energie e il suo corpo reclamava una tregua immediata.

Rachel vide come le palpebre di Kat si stavano pian piano socchiudendo. Così avvicinò la sua mano al suo viso per accarezzarglielo.

"Coraggio, adesso calmati e riposati..." le disse.
Kat si lasciò cullare da quelle parole e da quella carezza, finchè, esausta ma rasserenata, non piombò di nuovo in un sonno profondo. Quel gesto fu la cosa migliore che le fosse capitata da mesi.
Il calore di quella carezza la raggiunse in profondità.

Rachel rimase al suo fianco ancora un altro po', nonostante i suoi doveri domestici reclamassero la sua presenza. Si mise ad osservare con attenzione i lineamenti di Kat messi in risalto dalla luce del mattino che inondò la sua camera. Si soffermò sul rilievo dei suoi zigomi, sulla forma della sua bocca e sui suoi capelli biondi sparsi per tutto il cuscino. Le tornò in mente la prima volta che la vide entrare in quella sala interrogatori.

Prima di conoscere Kat sapeva a malapena che esistessero i gay. Era un concetto avulso dalla sua realtà, in cui si vien tirati su tramandando con stretta osservanza le regole della comunità, di padre in figlio. Non esistono opzioni tra cui scegliere per gli amish, né nella vita né nell'amore. Ogni tappa dell'esistenza é inesorabile come il ciclo delle stagioni. Rachel aveva sempre vissuto in questo modo, senza porsi domande su cosa volesse o cosa le piacesse. Ad una certa età le avevano introdotto il suo futuro marito, lo aveva sposato e da lui aveva avuto Eliah. Questi avrebbe vissuto nella medesima maniera e così i suoi figli. Non c'era nessuno spazio in quella comunità per l'omosessualità, era una sordida tentazione del mondo di fuori, una scelta fatta in sfregio al dettame.

Le parole di quei poliziotti la scombussolarono. Davvero quella donna poteva essere...
Tuttavia, nonostante all'inizio provasse ostilità per Kat e ciò che rappresentava, capì che non poteva lasciarsi andare a rimostranze in quel momento. Doveva pensare a proteggere suo figlio e lei stessa, non poteva andare troppo per il sottile. Qualcuno lassù l'avrebbe aiutata ad affrontare una simile prova.

Non sapeva cosa aspettarsi da una donna omosessuale, che aspetto potesse avere o che atteggiamento avrebbe avuto con lei e suo figlio. Eppure, superato lo scoglio della prima impressione, fu stupita dal suo portamento e dai suoi modi fermi ma educati. Davvero erano così queste persone? Cosa c'era da temere in fin dei conti? A colpirla soprattutto furono i suoi occhi: per quanto Kat potesse cercare di sembrare talvolta formale talvolta più amichevole, Rachel non poteva fare a meno di notare una nota di languore nei suoi grandi occhi, un costante sostrato di malinconia.

D'un tratto un pensiero si intrufolò nella mente di Rachel: era questo dettaglio a renderla così piacevole alla sua vista? Lei però lo scacciò via subito e si allontanò da lì in fretta.

Io ti salveròDove le storie prendono vita. Scoprilo ora