Capitolo 25

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Se c'era una cosa che odiava Marinette e che non tollerava affatto, era l'essere derisa o screditata davanti a qualcuno di importante, specialmente se si trattava del suo capo e del figlio del suddetto.

Nonostante Lila Rossi fosse stata asfaltata e se n'era andata con la coda tra le gambe grugnendo qualcosa di incomprensibile mentre chiudeva, o meglio, sbatteva la porta con somma maleducazione, Marinette tremava ancora, non era abituata a certi tipi di affronti, di solito era un tipo che evitava quelle situazioni per non parere agli occhi degli altri quello che in realtà non era.

Ma era stato necessario fare così, non poteva fare la parte di quella che non sapeva difendersi e Lila Rossi doveva essere messa al suo posto subito, per evitare spiacevoli situazioni dopo.

Per quanto non le piacesse, dipendeva da Gabriel e in un certo senso anche Marinette era un suo superiore essendo la seconda stilista e braccio destro della Casa di moda Agreste.

Adrien si era poi complimentato per come era riuscita a tenerle testa e di non preoccuparsi affatto per quella foto, anche se sarebbe trapelata qualche indiscrezione, gli avvocati avrebbero sistemato tutto.

"Stronza viziata!" Berciò mentre strappava con forza quelle quattro erbacce cresciute indisturbate nei suoi preziosi vasi di fiori, soprattutto quella che stava deturpando la rosa che le aveva donato parecchie sere prima Chat Noir e che aveva appena perso un petalo.

Se l'avesse messa sotto una teca di vetro, avrebbe potuto essere scambiata per quella della favola de "La Bella e la Bestia", un po' come erano loro.

Un amore proibito e non per questo meno puro di altri.

Sospirò quando tolse della rugiada da un suo petalo.

Le mancava molto quel gattone, ma era anche consapevole del fatto che non lo avrebbe rivisto mai più.

L'aveva avvisata che forse le sue visite non sarebbero più avvenute, eppure, Marinette in cuor suo sperava di rivederlo appollaiato alla ringhiera della sua terrazza, magari di spalle mentre scruta le stelle e che con sorpresa si girava verso di lei quando i suoi sensi felini lo avvisavano che lei gli stava andando incontro puntando sul suo volto quei bellissimi occhi verdi e quel sorriso sghembo, era questo che la obbligava ad uscire ogni sera per scrutare i tetti e scorgere qualsiasi movimento potesse ricordare che lui era nei paraggi.

Niente.

Calma piatta.

L'unica (magra) consolazione era leggere nei giornali di qualche suo trionfante aiuto alla giustizia, almeno sapeva che era ancora in città.

Senza nessuna foto, nessuno era mai stato in grado di immortalarlo in nessuna posa, tranne una volta più di sette anni fa, quando Alya era riuscita a scattargli una foto sopra il tetto dell'università.

Nero come la pece, sfuggente come il vento.

Gettò le erbacce in un secchio di plastica arancione lì vicino e si pulì le mani dal terriccio, prima sfregandole per togliere l'eccesso, poi con un po' d'acqua corrente del rubinetto lì sulla vasca di marmo.

Alcuni schizzi d'acqua le bagnarono la sottoveste di seta rossa lunga fino a metà coscia quando agitò le mani nel tentativo di asciugarle più velocemente.

Si voltò e lo vide davanti a lei.

Rimase impietrita qualche secondo, chiuse gli occhi e li riaprì velocemente per assicurarsi che quello non fosse frutto della sua immaginazione e che l'alito di vento che le aveva smosso i capelli qualche secondo prima fosse realmente lui.

"Chat..." Le uscì in un sussurro mentre il cuore pompava sangue velocemente dentro le sue vene e la vista le si stava annebbiando.

Chat Noir la osservò in tutta la sua bellezza dalla punta dei piedi nudi con le unghie laccate di nero, soffermandosi poi sulle gambe sinuose e semplicemente perfette, fino ad arrivare al suo volto incorniciato dai capelli neri lasciati sciolti e liberi di ricadere sulle spalle fino ad arrivare un po' sopra al seno racchiuso in un delicato ricamo di pizzo.

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