3 - Brutta cosa, il matrimonio.

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- Zia, ti dirò la verità. Sono estremamente, estremamente, davvero tanto nervoso.

- Ohh il mio adorato nipotino spaventato dalla gente. Suvvia, Chuuya non preoccuparti capisco, alla peggio saluti un paio di persone giusto per fare bella figura poi scappi via.

Commentò la zia con un sorrisino mentre gli sistemava la chioma rossa spettinata dal vento che infuriava fuori dalla casa del nobildonna e che aveva scompigliato il marchese mentre si dirigeva nel luogo della festa.

- Grazie zia, va bene così. Credo che ora siano a posto i capelli. Non preoccuparti.

- Prego, caro.

Cantilenò la zia aprendogli la porta che dava in un salone pieno di gente. Chuuya al vedere tutta quella folla deglutì nel panico. Panico più totale. Poi sospirò e precedette la zia in mezzo alle persone. Per l'occasione il marchese indossava un adorabile completo azzurro cobalto che aveva acquistato in America, quando sua zia aveva detto che era uno schianto aveva ragione e lui ne era consapevole.

Evitò una vecchia donna con un'enorme parrucca sulla testa, fortunatamente quei terribili capelli finti stavano lentamente passando di moda e solo gli essere umani legati alla tradizione tendevano ad usarle ostinatamente ancora (con grande rammarico di Chuuya).

Si ritrovò a parlare con un uomo sulla cinquantina o forse sulla sessantina (difficile da capire per colpa dello strato esagerato di trucco che aveva applicato sul viso, disgustoso). Il signore si presentò come conte e dopo nemmeno dieci secondi di conversazione cercò di combinare sua figlia con il marchese.

Al sentire la parola "matrimonio", Chuuya si defilò più rapidamente che poté. Aveva ventitré anni e poteva fortunatamente autogestire la sua vita, quindi prevedeva che avrebbe seguito le orme della zia e non si sarebbe sposato.

Dopo poco una giovane coppia lo fermò per presentarsi, si trattava di (a quanto dicevano i due sposi) vicini di casa. Vivevano solo ad un chilometro di distanza e desideravano da quando lo avevano visto arrivare di presentarsi e dargli il benvenuto. Chuuya ringraziò e dopo in secondo si ritrovò a parlare con una signora che lo riempì di complimenti, un secondo dopo parlava di affari con due signori baffuti, e dopo ancora si ritrovò a palare di moda con un giovane dall'aria snob, dopo l'eccentrico giovanotto passò a chiacchierare con due belle ragazze che ridevano ad ogni sua parola, poi si ritrovò a discutere con...

Basta.

Era troppo. Assolutamente troppo. Non ci stava capendo più un accidenti. Gli girava la testa, respirare si faceva sempre più faticoso, come se qualcosa gli stesse schiacciando la cassa toracica, sudava ma aveva i brividi. Conclusione: non era piacevole.

Si allontanò da una vecchia signora imparruccata con la scusa della toilette (al che la signora lo guardò ammiccando). Chuuya uscì dalla folla e poi dalla stanza.
Aveva bisogno di prendere un po' d'aria. Assolutamente. Il poco vino che era riuscito a bere in tutto quel via vai gli stava arrivando al cervello e rendeva tutto più difficile e le sensazioni più forti. Trovò una scalinata e vi si avviò sopra, forse avrebbe trovato un balcone un po' riparato dal vento gelido.

Si ritrovò a vagare smarrito attraverso i corridoi immersi nella penombra, aprendo di tanto in tanto delle porte a caso. Alcune le trovava chiuse a chiave, altre davano su anonime stanze senza balcone. Ad un certo punto dietro una porta trovò un luogo inaspettato.

A metà di un corridoio una porta in legno diverso dalle altre, forse si trattava di legno d'acero, attirò l'attenzione di Chuuya, che la aprì senza esitazione, al di là da essa c'era il tanto agognato balcone, solo che a differenza di dare sul giardino come sperava, quel balcone si affacciava sul salone che aveva appena lasciato. Il balcone correva tutto attorno alla parete abbracciando completamente il ricevimento.

Chuuya da sotto non si era accorto della sua esistenza.

Il marchese provò un certo sollievo nel sentirsi separato e più in alto rispetto alla folla che fino ad un attimo prima sembrava farlo soffocare. La cacofonia di suoni, che riempiva il salone, da là su era solo un brusio confuso e l'odore di troppi esseri umani insieme solo un ricordo sbiadito. Sospirò sollevato e si appoggiò alla balaustra facendo scorrere lo sguardo un po' sul soffitto e un po' tra la folla.

- È imbarazzante.

Una voce dietro di lui lo fece quasi morire di infarto. Tirò un gridolino e si girò di scatto con la mano sul cuore, alla sua reazione esagerata il proprietario della voce ghignò divertito. Si trattava di un giovane, sembrava ad una prima occhiata della stessa età del marchese, aveva occhi e capelli castani, un altezza considerevole rispetto al povero Chuuya e abiti eleganti e scuri che ben si addicevano al suo fisico magro e alla tonalità chiara e calda della sua pelle.

Per via della penombra e dell'alcool Chuuya ci mise qualche secondo per collegare l'uomo che aveva davanti al ragazzo che nel giardino, che diversi anni prima lo aveva affascinato con le sue parole.

- Cosa? Scusi?

- È imbarazzante vedere questo grumo di gente da nulla, ricchi di periferia, che si comportano da nobili come se vivessero alla corte della regina o Dio solo sa dove cinquecento anni fa.

Spiegò il giovane accenando con la testa alle persone all'interno della sala.

- Ah sì, fa un po' senso in effetti.

- Non ti ho mai visto qui, devi essere il nuovo arrivato.

- Già. Sono io.

- Piacere, mi chiamo Osamu Dazai.

Il giovane, Dazai Osamu, si sporse in avanti e gli tese la mano. Chuuya la soppesò un istante prima di stringerla. Il ragazzo non indossava anelli a differenza di tutti gli altri nobili.

- Piacere, Chuuya Nakahara.

- Oh... Capisco. Siete nipote di madame Kōyō e quindi il motivo di questa festa.

- Purtroppo. Anche voi vi siete rifugiato quassù per stare un po' in pace?

- E per scappare dai miei genitori che cercano disperatamente una ragazza da farmi sposare.

- E dalla gente che continua a parlare e parlare.

Aggiunse Chuuya annuendo.

- Brutta cosa, la gente.
Commentò Osamu Dazai.

- Brutta cosa, il matrimonio.
Commentò il marchese Nakahara.

Dopo un istante di silenzio i due scoppiarono a ridere all'unisono. Chuuya osservò l'uomo che aveva davanti con un sorriso e una punta di ansia, non aveva avuto molte occasioni di parlare con un suo coetaneo in quel modo. Lontano dalla gente, come se fossero complici di qualcosa di più grande di una fuga dalla folla e dai loro doveri.

- Dove abiti, Chuuya-Kun?

Chuuya-Kun? Il signor Dazai si era preso forse un po' troppa confidenza dato le poche parole che si erano scambiati fino a quel momento. Ma dopo un attimo di smarrimento Chuuya provò un certo piacere nel farsi chiamare così, sembravano veramente complici. Senza esitazione gli diede l'indirizzo.

- Oh, abito solo a poche miglia da te. Più vicino al paese. Non penso sia più di una decina di minuti a cavallo.

Di cosa stava parlando ora, il signor Osamu Dazai? Non stava mica pensando di andarlo a trovare, vero? Va bene essere complici e tutto, ma quello forse era davvero un po' troppo. Nonostante Chuuya cominciava seriamente a preoccuparsi continuò a sorridere e annuì con finto entusiasmo.

- Davvero poco.

- Un giorno dovresti venire a trovarmi, Chuuya-Kun.

No... Okay. Quello era davvero troppo.

A. A.
Devo dire che mi fanno già molto ridere questi due.
Arriverà presto un nuovo capitolo (spero), Maggio è sempre un brutto mese a scuola.
Bye.

Abisso - SoukokuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora