CAPITOLO 18

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Jungkook guidò fino alla centrale facendo molta attenzione, rispettando il codice stradale in ogni punto. Osservò gli altri conducenti, prendendo nota di tutte le violazioni che notava. Non aveva la minima intenzione di fermare qualcuno. Doveva solo tenere occupata la mente, lontana da quell’angolino remoto in cui aveva la sensazione di stare per impazzire. Che cosa aveva fatto? Che cosa ho fatto!
Aveva agito d’istinto tutta la mattina. Si era portato al lavoro l’album di Sandy con la vaga idea di chiamare Jimin per dargli i numeri delle foto e suggerirgli di usarle come prova a suo favore. Aveva contattato il tribunale per sapere a che ora si sarebbe tenuta l’udienza. Il tempo era passato senza che facesse quella chiamata.
In pausa pranzo, si era ritrovato a portare l’album in tribunale, alla ricerca dell’aula giusta. L’udienza era già iniziata. Aveva mostrato il distintivo all’usciere e aveva osservato dal fondo perché era interessato… preoccupato. Aveva udito la giudice incastrare Jimin con quella domanda e si era fatto avanti. Poi le parole erano uscite da sole dalla sua bocca.
Era stata la cosa giusta. Giusta. Ben sarebbe stato al sicuro con Jimin e non avrebbe sofferto con quei nonni ipocriti che gli avrebbero con ogni probabilità insegnato a odiare i suoi genitori e alla fine anche se stesso.
Aveva fatto la cosa giusta. Ma doveva ammettere di sentirsi spaventato a morte.
Jimin aveva detto che magari nessuno ne sarebbe venuto a conoscenza.
Ma jungkook sapeva come funzionavano davvero le cose. Non c’era tamtam al mondo come quello delle forze dell’ordine. L’usciere conosceva probabilmente una dozzina di persone nella polizia. E il passaparola sarebbe iniziato. I poliziotti che solo il giorno prima erano stati amici e colleghi avrebbero cominciato a trattarlo con freddezza, spostandosi dall’altra parte

della stanza per evitarlo, se non peggio. Ne aveva viste tante. Ma prima che iniziasse tutto quello, doveva avvertire yoongi . Prima o poi. Più prima che poi.
La sala operativa era in fermento quando arrivò, colma del brusio di una decina di conversazioni diverse. Il suo partner era alla scrivania. Stava parlando al telefono con qualcuno, ma gli fece cenno di avvicinarsi quando lo vide.
«D’accordo,» disse al ricevitore appena jungkook gli fu accanto. «Sì, le cinque in punto.» Riattaccò e lo guardò. «Si può sapere dove diavolo eri? Abbiamo del lavoro da fare.» «Mi sono preso un permesso per motivi personali,» disse in modo blando.
«Per fare cosa?» Fu sul punto di dire non sono affari tuoi. Era questo che significava “personale”. Ma conoscendolo non gli sarebbe bastata come spiegazione.
Perciò disse: «Sono stato in tribunale per accertarmi che Park jimin la spuntasse con la custodia del bambino, Ben Serrano. I nonni si erano opposti, ma il bambino appartiene a jimin.» «Che schifo!» disse la voce di Loes alle sue spalle.
Jungkook si voltò. «Prego?» Il suo stomaco si serrò. È già iniziata?
«Hai aiutato quel frocio a ottenere la custodia di un bambino,» disse l’altro con rabbia. «Non riesco a credere che tu l’abbia fatto.» «Ehi,» sbottò lui. «jimin è stato come un padre per lui, sin da quando è nato.» «Chi può dire perché voglia davvero quel bambino,» aggiunse Loes.
«Sei tu quello malato,» ringhiò jimin «jimin è gay, non un pedofilo.» «Sono tutti strani, quelli. Non sai mai che cosa potrebbero fare. Non dovrebbero lasciare avvicinare un uomo single come lui a un bambino.» «Gesù,» disse jungkook , disgustato. «Sarebbe come dire che un uomo etero non dovrebbe crescere da solo una bambina. Credi forse che io molesti Yuna?»
«Cavolo, no, datti una calmata,» disse Loes. «Non è per niente la stessa cosa.» «È esattamente la stessa cosa.» yoongi gli mise una mano sul braccio. «Lascia perdere,  Jungkook . Loes sta facendo lo stronzo, come al solito. Non è una novità. Se dici che jimin è la persona giusta per quel bambino, sono sicuro che hai ragione.» jungkook si liberò dalla mano e si rimangiò una replica. Non poteva spuntarla; nel mondo non c’era abbastanza logica da cambiare la mente di persone come Loes. E presto avrebbe dovuto combattere la propria battaglia. Aveva avuto un assaggio.
Il suo partner si alzò. «Vieni,» gli disse. «L’agente che doveva controllare la casa di Sinclair ha detto che è tornato pochi minuti fa. Se non fossi arrivato, ci avrei portato Ramsey. Andiamo a fargli firmare quella dichiarazione, così possiamo davvero iniziare a occuparci di Anderson.» jungkook lo seguì all’auto. Aveva ancora i nervi a fior di pelle per la discussione con Loes, per le cose che avrebbe voluto dire e il pugno che avrebbe voluto sferrare contro quella faccia beffarda. Yoongi sbloccò la Taurus grigia e scivolò dentro. Avviò il motore, accese l’aria condizionata e ne uscì di nuovo, guardando jungkook da sopra il tettuccio della macchina.
Rimasero così, con il motore in moto e le portiere aperte, in attesa che lo scuro abitacolo si raffreddasse abbastanza da poter stare seduti.
«Kim jennie mi ha lasciato un messaggio per te,» lo informò yoongi
«Vuole che la richiami per programmare il prossimo incontro al centro. Ha detto che sapevi che cosa intendesse.» «Sì.» Avrebbe voluto non rivelare di più, ma poi aggiunse: «Le ho chiesto di tenere un corso di autodifesa per alcuni adolescenti al centro dove Park jimin fa volontariato. Hanno bisogno di tutto l’aiuto possibile.» «Adolescenti gay?» chiese yoongi .
«Sì. Gay, lesbiche.» jungkook esitò e poi ingoiò il rospo. Tanto avrebbe dovuto farlo, prima o poi. Ed era preferibile in quel momento invece di quando sarebbero stati intrappolati in quell’auto, sull’autostrada. «Hanno quindici, sedici anni. Per alcuni di loro è davvero dura. Non tornerei a quell’età nemmeno per tutto l’oro del mondo.»

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