Angelina non prese molto bene lo scherzo che le avevo fatto. Quella mattina si fece la doccia per ben tre volte, lamentandosi del fatto che: «Quella puzza non mi uscirà più dal naso!». Al contrario, Fred e George sembravano essere più compiaciuti che irritati, e si complimentarono di questa vena malvagia che non avevano mai visto in me. Ma ancora non sapevano che io ero molto più di quanto facessi vedere. Ed era arrivato il momento di tirare fuori ogni parte di me che avevo nascosto per diventare la "Prefetta perfetta" che tanto piaceva a tutti.
Quel mattino presi un po' di tempo per me, e mi avventurai verso il Lago Nero alla ricerca di un albero dove potermi rifugiare per leggere un poco. Mi era sempre piaciuto arrampicarmi sugli alberi, anche se dall'inizio della scuola avevo perso l'abitudine, perché non ci si aspettava che una studentessa per bene si arrampicasse sugli alberi. Mi erano sempre piaciuti i posti alti, forse a causa della mia scarsa altezza. Forse per quel motivo mi piaceva talmente tanto volare a cavallo di una scopa, perché mi sembrava l'unico momento in cui ero in grado di respirare.
Avevo iniziato a volare sulla scopa all'età di cinque anni. Praticamente ancor prima di saper leggere e scrivere io scorrazzavo per il giardino della nostra casa estiva in Irlanda a cavallo di una scopa giocattolo. La maggior parte delle volte ero tenuta sott'occhio da mia madre, ma era stato mio padre ad insegnarmi a volare. Quando cadevo, spesso da mezzo metro di altezza, se non di meno, ridevo e chiamavo mia madre per farmi rimettere in sella. Non vedevo l'ora di andare ad Hogwarts per far parte della squadra di qualsiasi casa in cui fossi stata smistata.
A scuola, Bill Weasley mi aveva tenuto d'occhio dalle mie prime lezioni di volo, ma fu suo fratello Charlie a prendermi in squadra durante il mio terzo anno. Era evidente che la famiglia Weasley avesse buon gusto in fatto di giocatori di Quidditch.
Salii sul primo albero di castagne che pensavo fosse in grado di sorreggermi, per poi appoggiarmi con la schiena al tronco e lasciare che una gamba dondolasse nel vuoto. Mi ero portata con me un libro che parlava di un'epoca antica, in cui Merlino e re Artù calpestavano la loro terra coi piedi. Ma non feci in tempo ad aprirlo che sentii uno scalpiccio, e un tonfo sordo riconducibile a qualcosa che veniva lanciato nelle acque del lago Nero. Ma fu solo quando sentii un'imprecazione particolarmente colorita che riconobbi la persona che si stava divertendo a lanciare sassi dentro il lago nella speranza di colpire la Piovra Gigante in testa. E chi altri poteva essere se non mia sorella?
Per qualche secondo, valutai l'opzione "invisibilità". Far finta di non esistere e tornare a leggere il mio libro. Lasciare che Daisy si calmasse da sola, come aveva sempre fatto. Poi mi ricordai di essere una sorella maggiore, ed essere una sorella maggiore implica una serie di doveri da rispettare. Come, per esempio, prendersi cura della propria sorella minore.
Scesi dal castagno con un salto, atterrando malamente su entrambi i piedi. Per quanto mi piacesse stare in alto, cadere era sempre stato un rischio da tenere in conto.
Daisy mi fulminò con lo sguardo, spaventata dalla mia inaspettata entrata in scena. Di certo non si aspettava di trovare qualcuno in quel punto remoto del lago, soprattutto non su di un albero. Soprattutto, non sua sorella.
«Ti sei bevuta il cervello?» mi chiese a mo' di saluto, sedendosi per terra e cercando di lanciare dei sassi piatti sulla superficie del lago in modo da farli rimbalzare. Senza tanti successi.
«Nah, solo un po' di Whisky Incendiario» scherzai, sedendomi vicino a lei. «Che succede?».
Era strano che io e lei riuscissimo a parlare. Di solito, una volta toccato il terreno di Hogwarts ci evitavamo come la peste. Lei aveva i suoi amici e il suo studio. Io i miei doveri da Prefetto e da Cacciatrice. La nostra tabella degli orari era incompatibile. E, sinceramente, non facevamo particolari sforzi per trovare dei momenti da passare insieme. A malapena ci salutavamo a colazione.
«Niente che ti interessi»
«Se te l'ho chiesto vuol dire che mi interessa» incalzai, sedendomi vicino a lei. I suoi muscoli si irrigidirono, e il suo sguardo vagò verso il lago e le montagne. Qualsiasi cosa pur di non guardarmi.
«Andrai a dirlo a papà»
«Non sono una spia». C'era una punta di astio nella mia voce. Un po' per l'infantilità delle sue obiezioni, un po' perché mi riteneva capace di fare il doppio gioco, o di tradirla e voltarle le spalle. Non aveva ancora capito che non ero quel tipo di persona. Quel tipo di sorella.
«Mi manca da morire» mormorò dopo qualche secondo, e io capii immediatamente di chi stava parlando.
«Manca anche a me» sussurrai.
Speravo che tornare ad Hogwarts ed immergermi nei miei impegni da studentessa mi avrebbe aiutato ad attenuare il dolore lancinante che mi colpiva il petto nei momenti più disparati. Nel bel mezzo di una risata, oppure quando volavo, oppure ancora quando mi allenavo in qualche incantesimo. Momenti in cui avrei dovuto essere felice. E invece no. In sottofondo, come un vulcano che borbotta nelle sue profondità prima di eruttare, c'era il dolore. Ed era un dolore che non se ne sarebbe mai andato.
Perché nessuno avrebbe potuto sostituire quel vuoto che nostra nonna ci aveva lasciato nel cuore. L'unica nostra consolazione risiedeva nel fatto che se n'era andata nel sonno.
Con lei moriva una parte fondamentale della nostra famiglia, e la stirpe dei Callaghan si affievoliva sempre di più. Infatti, lei aveva avuto solo un figlio maschio, nostro padre, il quale a sua volta aveva avuto solo due figlie femmine. Il nostro cognome sarebbe morto con noi. L'unico rimpianto che nostra nonna aveva, nonostante fosse orgogliosa di me e di mia sorella per le ragazze che eravamo diventate, era quello di non aver fatto in modo che il nostro cognome proseguisse nel tempo. Ed era un rimpianto che pesava su di me come un macigno. Per questo, ero arrivata alla conclusione che nella mia vita avrei fatto qualcosa di talmente eroico o una scoperta talmente sensazionale, che il nome dei Callaghan sarebbe sopravvissuto alla nostra morte, e sarebbe rimasto in eterno, conosciuto da tutte le generazioni di maghi e streghe futuri. Sapevo che anche mia sorella sentiva il peso di questa promessa che le avevamo fatto in punto di morte. Soprattutto, perché ci metteva in competizione ancora più di quanto non fossimo mai state. E Daisy sapeva che io avevo tutte le carte in regola per tagliare la linea del traguardo prima di lei.
Rimanemmo qualche minuto sedute sulla riva del Lago Nero, in silenzio. Intrappolate nei nostri pensieri e nel nostro destino. Stavamo comunicando anche senza proferire parola.
Quando fu ora di pranzo ci avviammo insieme verso il castello. Tra di noi era presente un silenzio assordante. Quando ci dividemmo, io per raggiungere i miei amici, lei i suoi, comprendemmo che stavamo prendendo due strade separate. E sarebbero rimaste separate per molto, molto tempo.
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Headgirl - Fred Weasley ff
FanfictionPossa il suono di una musica leggiadra e l'eco di una risata irlandese, riempirti il cuore di felicità, che duri e si rinnovi nel tempo. Possano i cardini su cui poggia la nostra amicizia mai potersi arrugginire. Maeve Callaghan, diciassette anni...