«Dimmi che non stiamo rischiando la nostra carriera affinché tu possa tentare un esame». Il tono stanco di Eriki era velato di preoccupazione, nascosta dall'insistente ticchettio dato dai tasti del computer. «Esame di cui, sottolineo, non te ne frega niente», continuò la sua protesta, ignorata dalla sua compagna di stanza.
«La porta», si limitò a rispondere quest'ultima, liberando una mano dal suo matto digitare e usandola per indicare il corridoio. Scosse il capo.
«Lo so, lo so», ribadì, stizzita. «Ti ricordo che io qui manco ci volevo venire», puntualizzò, per quella che le sembrò essere la milionesima volta, quella sera. Non che Aykari l'avrebbe ascoltata, quella zucca vuota. «Non capisco nemmeno perché tu lo stia facendo». A combattere contro i mulini a vento si otteneva ben poco, ma la sua istruzione classica aveva sempre fallito nel persuadere l'altra.
«È il principio della cosa», non tardò la spiegazione. Sullo schermo, come un astro che muore, una finestra scomparve, lasciando spazio all'arrivo di un'infinità di icone dai mille colori. Non aveva l'ambizione di comprendere su quale di esse l'altra si stesse concentrando: conoscendola, su tutte. «L'accademia non vuole che si possa accedere a una posizione di comando, senza la loro approvazione? Domani avranno una brutta sorpresa», ridacchiò.
«Lo chiamano impossibile per un motivo, Ay», le ricordò. Che fosse lei il Don Chisciotte della situazione? In uno scontro tramutato in guerra contro le convinzioni dell'altra?
Click.
Allo scatto di una porta, ogni suo pensiero si bloccò. Seguì un rumore secco di tacchi contro il pavimento. Trattenne il respiro, avanzando con circospezione verso l'entrata della stanza. Gli occhi vigili di Aykari tracciarono i suoi movimenti, con le dita sospese che appena sfioravano la tastiera. Un cenno di assenso e azzardò un'occhiata furtiva nel corridoio. Non vi era nessuno in vista. Si concesse di rilassare la muscolatura solo quando il rumore si fece più lontano, fino a sparire del tutto.
Tirarono un respiro di sollievo collettivo, prima che il silenzio tornasse a essere infranto dalle azioni criminali dell'altra. Dopo pochi minuti, spense lo schermo e si spinse indietro con la sedia.
«Esame che io passerò», canticchiò, recuperando un blocco scarabocchiato di fogli, tenuto insieme da una buona dose di speranza e una molletta arrugginita.
«Credo che portarsi degli appunti non sia consentito». Fece ballare lo sguardo dalla carta alla sua amica un paio di volte. «Anche se su un mezzo così obsoleto». Arricciò il labbro superiore in finto disgusto, prima di lasciare che gli angoli della bocca si allargassero in un sorriso, alla comparsa di un broncio di protesta sul viso abbronzato dell'altra. «Non che servirebbero a qualcosa, se vogliamo dircela tutta», aggiunge infine, alzando le spalle. La sua amica sporse il busto, toccando con i gomiti le ginocchia, guardandola con un sopracciglio alzato dall'alto in basso. Nella fioca illuminazione offerta dagli spiragli della porta, il blu dei suoi occhi era così intenso da sembrare finto. Si chiese, non per la prima volta, quale mutazione potesse rendere quelle due pozze così luminose, le stesse che avevano terrorizzato l'Alleanza, poco più di vent'anni prima. L'uomo nato da una supernova, lo chiamavano, ne porta ancora i segni nell'animo.
«Questi, mia cara, non sono appunti qualsiasi». I fogli entrarono nella sua visuale, distraendola dal ricordo delle parole di sua nonna. «Questa è la soluzione». Il sorriso sghembo, che rivolgeva a chiunque osasse sfidarla a un gioco di carte, era tutto di Aykari: l'aveva vista perfezionarlo nel corso degli anni, adattandolo al tipo di avversario e spesso combinandolo con l'espressione più innocente che riuscisse a evocare. O seducente.
«Pensavo che la soluzione fosse entrare nel sistema e modificare il calcolatore di punteggi».
«Con questa chiave». Protese le braccia al cielo, unendo al movimento il suo intero corpo, inarcando la schiena fino a che un meritato pop le diede il permesso di cedere alla gravità. Una ciocca di capelli scuri le cadde sul volto, catturando le sue risorse cognitive in una serie di pigri soffi nella sua direzione.
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Materia degenere
Science Fiction- Quos vult Iupiter perdere - «Da cosa altro potremmo essere definiti, se non dalla nostra biologia?». L'universo aveva scelto il neo capitano Su'hahru, quel giorno, per intonare il ritornello della canzone che le aveva dedicato. L'universo aveva sc...