Il rischio del riporre il proprio destino nel cinque

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«Allieva Lange, si faccia avanti».

In cinque misere parole la sua condanna aveva avuto inizio. Avanzò a passo lento per l'auditorium, la protezione dei seggi più rada a ogni metro, cessando all'improvviso, come un padre amorevole che accompagna il figlio al suo primo giro in bici. Non vi sarebbe stato nulla di amorevole nella strada che si accingeva a percorrere.

Aveva sempre immaginato il suo patibolo in modo diverso, in un foro all'aperto, sotto un cielo a cui non avrebbe avuto la grazia di rivolgere le sue ultime preghiere. Pugni esultanti avrebbero sfiorato la sua figura, pronti a scattare per accaparrarsi la sua testa, privata del suo corpo da un boia macchiato dal sangue delle sue precedenti vittime.

Il club cine-ludico aveva esagerato con i film sui pirati quel mese. Un sistema così barbaro e selvaggio non veniva adottato da secoli: non dubitava che il suo cognome avrebbe richiamato alla violenza, ma i modi non ne sarebbero valsi l'impresa. Il codice civile non aveva nulla da invidiare in quanto a crudeltà e senza versare una goccia di sangue.

Per iniziare, non era presente alcuna folla, obbligando la sua attenzione a essere rivolta al gruppo più folto, composto da una giuria di cinque professori, quattro di loro seduti nelle loro tuniche rigide dietro a una scrivania ricurva. Un abbraccio che nascondeva qualcosa di più pericoloso di un pugnale nella schiena. Il suo palco era in legno, ma privo di un una tavola su cui inginocchiarsi, sostituita da un leggio, gemello a quello a disposizione del suo boia. Non celava il suo volto e aveva rinunciato all'ascia: perché usarla, quando disponeva del taglio delle sue parole?

Tastò la superficie in legno, seguendo i consigli di Sun Tzu e familiarizzando con il terreno di battaglia. Deglutì, rivolgendosi al suo unico alleato. Avrebbe potuto affrontare un buco nero, con la certezza che Eriki le avrebbe coperto le spalle. Sguardo spaventato e braccia incrociate sotto al petto. Le sorrise, in un tentativo di infonderle un coraggio che non sentiva proprio. Riuscì solo in una smorfia tirata. Le tornò alla mente un vecchio detto, mentre analizzava coloro che avrebbero decretato la sua sorte. Fingi finché non ce la fai. Ricompose il suo volto nella migliore delle sue espressioni neutre, quella che meno istigava nel prossimo il desiderio irrefrenabile di prenderla a schiaffi, e portò indietro le spalle. Era pronta a difendersi. Sempre che glielo avrebbero concesso.

«Eccomi, professor Ingunye». L'uomo al centro era vestito di rosso, un colore dalle stesse caratteristiche calde e passionali che si potevano trovare nel suo sguardo ambrato. Non era in grado di complimentare la sua carnagione scura, che meglio si sarebbe sposata con la divisa senape che portava in occasioni meno ufficiali, ma gli donava un'aria regale smorzata solo dall'assenza di una corona.

«Immagino si stia domandando il perché di questa convocazione». Alla sua destra, la professoressa Frink si riscosse dal suo stato di torpore, in una scossa che minacciò la stabilità della cuffietta verde, nella quale aveva raccolto i capelli. Portò in tempo una mano in suo soccorso, non impedendo che una ciocca ramata solitaria le scappasse, atterrando sulle lenti polarizzate, in cui regnava ancora il riflesso dell'articolo con cui aveva ingannato l'attesa. Nel suo campo era fondamentale rimanere aggiornati e la professoressa aveva con gioia accettato la sfida, nel suo cervello annebbiato dal costante uso di sostanze. Una cavia volontaria per il progredire della scienza, almeno dai racconti della sua compagna di stanza. Fisiologia non era nel suo curriculum di studi.

«È corretto, professore».

«È stata portata alla nostra attenzione una grave infrazione del nostro regolamento, allieva. Ha qualcosa da dire, in merito?». "Disapprovazione" sarebbe stato un termine troppo riduttivo per esprimere ciò che il suo tono comunicava. Ignorò il brivido che le percorse la schiena.

«Mi piacerebbe conoscere l'accusa, professore, e su quali presupposti sia essa fondata, prima di giustificare azioni che potrei non aver commesso». Innocente fino a prova contraria, così dettavano le leggi umane.

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