Fare la differenza fra tragedia e statistica

51 3 44
                                    

«Lange, le ricordo che si trova sul ponte». Il tono neutro del capitano fu sufficiente a ridestarla dal suo disdegno per la dottoressa. Si accorse di aver raggiunto la sua destinazione, sotto gli occhi di tutti gli occupanti della sala, disposti a semicerchio attorno alla postazione di comando. Seduto al centro dell'unica roccaforte ancora pulsante di vita di quel cimitero, l'ammiraglio si voltò verso di lei. Non si sarebbe arreso alla dama con la falce.

Deglutì. Aveva letto delle imprese dell'uomo: se ci fosse stato qualcuno in grado di giocare a dadi con la morte e vincere a ogni turno, lo aveva davanti.

«Ammiraglio», optò per ricomporsi, ignorando l'energia sottopelle e il pizzicorio sul suo collo, «capitano». Erano in ballo vite, la sua diatriba con Su'hahru avrebbe potuto attendere. Si rivolse quindi al resto della stanza, «Ufficiali», con la speranza di non averla fatta sembrare una domanda, buttò un occhio verso la sedia del pilota. Okeke le sorrise, alzando un pollice. «Mi scuso per l'attesa e per il mio comportamento di poco fa. Ho il permesso di accedere al ponte?».

«Lasci perdere le formalità, Lange», intervenne Duarte, liquidando con un gesto della mano la protesta del suo capitano, in piedi alla sua destra. «Siamo in un'emergenza nell'emergenza, come può notare», sospirò, scuotendo il capo al panorama che si presentava loro. «Ha detto di avere una teoria? Al momento sono disposto ad ascoltare chiunque ne abbia una».

Premette fra loro le labbra. Non aveva motivo per sentirsi a disagio o avere paura: era una clandestina, avrebbe potuto essere più compromessa?

«È evidente che siamo stati attaccati, ammiraglio», iniziò, esaminando le reazioni degli altri membri dell'equipaggio. Solo il reparto navigazione dava cenno di ascoltare le sue parole, con i piloti solo in attesa di una conferma da ingegneria per ripartire e comunicazione nella disperata ricerca di un segnale a cui aggrapparsi.

Duarte sbuffò. «Non ho bisogno di evidenze note, Lange».

«Ammiraglio», intervenne il suo secondo, passandogli una tavoletta, prontamente rifiutata, «Lange è ancora una studentessa dell'accademia. Dovremmo concentrarci sul rispondere alla chiamata di aiuto di Ki-II», concluse, fissandola con quelle pozze scure. L'ammiraglio annuì.

«L'attacco proveniva da una nave vidane», abbandonò ogni precauzione Aykari, non tirandosi indietro alla sfida dello yomita. Dopo una breve pausa, l'uomo in comando si ricompose.

«È un'accusa grave, Lange».

«E priva di elementi», aggiunse l'altro, imitando la sua linea di difesa durante l'udienza. Sarebbe stato il suo turno di elencare i fattori.

«Potrei discutere con lei la natura del blocco informatico che ha mandato in tilt ogni nostro sistema», avanzò, mettendo piede nella stanza, «o potrei argomentare come la tecnologia per un attacco simile, ad opera di una sola nave», indicò i relitti, «sia possibile solo a chi si basi su un sistema bepsiliano». Prese fiato, per calmare l'agitazione e il pulsare del suo cuore. «Ma temo che con lei sarebbero parole sprecate, capitano». L'ammiraglio alzò le sopracciglia. «Per cui mi affiderò a qualcosa di più concreto, se me lo permette», contrariamente alle sue parole, non aspettò e identificò la postazione a cui aveva passato l'ultimo segnale. «Tu», spaventò un ragazzo, impegnato a lavorare su un pannello alle spalle della sedia centrale.

«Io?», fece capolino un volto tondo e abbronzato. Due occhiali spessi coprivano gran parte del suo viso, inforcati su un naso dalla forma a patata e in parte nascosti dalla capigliatura disordinata.

«Prima dell'attacco, alla tua postazione è stata trasmessa una stringa di comunicazione in una lingua che hai identificato come vidane». Un segnale che era sicura fosse stato captato per puro caso. «È corretto?».

Materia degenereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora