Nel mezzo delle numerose domande che nella sua vita erano destinate a rimanere irrisolte, ne esisteva una in grado di risolvere l'eterno conflitto fra il suo sangue e il suo nome. Una domanda a cui solo la sua parte così selvaggia e folle da avere delle sfumature razionali era chiamata a rispondere. Una domanda per cui non sarebbero bastati dei tappi di cera o delle corde per trattenerla. Una domanda che spesso testava sulla sua stessa pelle. Una domanda che non sarebbe mai riuscita a mettere a tacere. Una domanda che in ultimo ogni amante della conoscenza si era posto. E se funzionasse? E se avessi ragione?
Una domanda che, con grande sollievo di Eriki, quel giorno sarebbe rimasta senza risposta.
«E voi cosa state facendo?». Una voce femminile interruppe Aykari, fermando la sua gamba a mezz'aria. Dall'interno del contenitore metallico, alzò il suo sguardo, incrociando quello non poco divertito di una donna in divisa bianca. Un pilota, dalle ali sul suo avambraccio.
«Non è quello che sembra», si lasciò scappare, prima di sussultare alle sue stesse parole. In sua difesa, era il tipo di persona che avrebbe avuto il coraggio di approcciare solo dopo almeno un paio di bicchieri. E, dal volto che stava facendo di tutto per non aprirsi in un sorriso, aveva il sospetto le sarebbero serviti almeno quattro. Gli occhi castani, contratti da una muscolatura ocra bruciato, stavano tracciando la scena che aveva davanti, mentre, appoggiata con una spalla alla parete, incrociava le gambe toniche all'altezza delle caviglie.
«No? E cosa sembrerebbe?». Con le mani ancorate alla superficie in alluminio, come un teppista in procinto di prevaricare una proprietà privata, e la sua complice ammutolita sotto i raggi delle torce, a reggere il coperchio e i loro comunicatori.
«Va bene, potrebbe essere come sembra», concesse, appoggiando il piede per terra. Si morse il labbro, sentendosi a disagio: non era brava nelle situazioni in cui non aveva nulla contro cui combattere.
«Un'allieva che si sta imbarcano clandestinamente?», le suggerì la donna.
Annuì, non senza un certo livello di confusione. Poi si ricordò della presenza di Eriki. «Lei non c'entra nulla!».
«Cosa? No, è colpa mia-».
«No!», la interruppe, maledicendo commossa la sua lealtà, «è solo colpa mia-».
Il pilota alzò un braccio, bloccando sul nascere quel loro imbarazzante teatrino.
«Su che nave è imbarcata allieva?».
«Nessuna... Sono stata sospesa», ammise, sentendo le unghie affondarle nei palmi.
Il pilota schioccò le dita, in uno squittio di entusiasmo.
«Lange? Tu sei Lange, vero?», chiese, senza aspettare la sua conferma. «Ma certo che sei tu! Chi altri avrebbe l'idea di imbarcarsi in questo modo?». Ottimo, la stava prendendo in giro. La beffa al danno. «Mi piacciono le persone che rischiano».
«Che cazzo?», fu la sua amica a dar voce al suo vissuto interiore. Per una volta lei ebbe una reazione pacata.
«Prego?».
«Lange, da ora considerati assegnata alla Victoria».
«Cosa?». Che stava accadendo?
«Non siete a conoscenza del fatto che il primo pilota possa scegliere un tecnico da avere a bordo?», offrì loro, ridacchiando.
«Sì, ma-».
«Niente ma, Lange. La partenza è stata tardata, ma dubito che le navicelle attenderanno ancora per più di dieci minuti. Vedi di essere sull'ultima», fece loro segno di muoversi, mentre digitava sulla sua tavoletta.
STAI LEGGENDO
Materia degenere
Fiksi Ilmiah- Quos vult Iupiter perdere - «Da cosa altro potremmo essere definiti, se non dalla nostra biologia?». L'universo aveva scelto il neo capitano Su'hahru, quel giorno, per intonare il ritornello della canzone che le aveva dedicato. L'universo aveva sc...