Il ronzio acuto non sembrava voler cessare, risalendo presto dalle tempie alla sua fronte. In cerca di conforto, strusciò il viso sulla superficie fredda e immobile, prima che le sue funzioni superiori potessero registrare la stranezza contenuta in quel gesto. Lei si trovava su una nave: perché non ne percepiva il moto?
Impose alle sue palpebre di aprirsi, trovando la stessa stanza che aveva lasciato. Eppure, le pareva uscita da una dimensione alternativa del terrore. Urla e il rumore di colpi secchi sostituivano il familiare brusio dei motori, rimbombando in uno spazio lontano da quello immacolato della loro partenza. Analizzò con orrore la chiazza di sangue nella quale la sua mano era immersa, trovando poco sollievo nel fatto che non fosse il suo.
Non era più seduta alla console, ma stesa supina alcuni metri più dietro. Si abbandonò alla parete, osservando la scena che aveva davanti, cercando di assestare la situazione e comprendere cosa stesse accadendo. Poplaw stava urlando contro Holchbergu, asciugandosi il liquido rosso che colava da un sopracciglio e indicando i motori con un unico movimento del braccio, mentre l'altro negava col capo. Davanti a loro corse una ragazza con in mano un estintore, scagliandosi contro l'unica porta della stanza, nella quale era rimasta incastrata una sedia. Un tecnico aveva preso la cassetta rossa del pronto soccorso e cercava di prestare soccorso a una figura prona, assistito da un altro ragazzo in divisa blu. Dallo scambio di sguardi, dedusse che i loro tentativi non stessero dando risultati. Li raggiunse un uomo tremante, dal volto ricoperto di sfregi e bruciature. Dall'altro lato della console, altri scalavano la ringhiera, sostenendosi a vicenda. Lì, trovo due occhi limpidi provi di ogni residuo di luce al loro interno.
Deglutì. Non era nemmeno riuscita a capire come si chiamasse. Non era nemmeno riuscita a capire come si chiamasse.
Si voltò, cercando di evitare la vista, quando una sensazione di vertigine la colpì. No, non era il momento. Stinse i denti e portò la sua attenzione verso la sala. Quali erano le emergenze? Feriti. Porta bloccata. Console spenta. Motori inattivi.
Ignorando il dolore lancinante alla sua spalla sinistra, si alzò in piedi, costeggiando l'area per potersi reggere alla parete. Si aggrappò al tubo in metallo e guardò in basso.
Non avevano riportato danni strutturali. Qualsiasi cosa li avesse colpiti, non era stata in grado di superare i loro scudi. La gravità artificiale era ancora attiva, così come le luci e la distribuzione di ossigeno. I protocolli di emergenza erano entrati in funzione, ma non erano progettati per durare in eterno.
Tornò alla sua postazione, chinandosi per terra. Tastò la base del bancone, aiutandosi con un cacciavite per aprire il pannello. Il circuito al suo interno era intatto, ma l'interruttore era spento, come da protocollo dopo un urto. Lo attivò manualmente, sicura che la situazione avrebbe giustificato la sua dimenticanza nell'usare guanti. I comandi presero vita, in una sinfonia di sconcertata urgenza. Nessun reparto rispondeva, lasciando ogni area della nave isolata.
Si rivolse ai due litiganti.
«Ufficiale?», chiamò, non ottenendo alcuna risposta. «Ufficiale!». I due uomini si voltarono nella sua direzione.
«Signorina?». Fu Poplaw a rispondere.
«Sto riattivando le comunicazioni, dando precedenza all'area medica», li informò, «tutto questo sarà però inutile senza potenza». Col capo, fece cenno verso i motori. Holchbergu corrugò le sopracciglia, prima di spalancare gli occhi e annuire vigorosamente. L'altro scosse il capo, marciando deciso verso la scaletta e chiamando a sé due uomini illesi con un fischio.
Aykari tornò al suo compito, ignorando come quegli occhi di ghiaccio controllassero ogni sua mossa.
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Materia degenere
Science Fiction- Quos vult Iupiter perdere - «Da cosa altro potremmo essere definiti, se non dalla nostra biologia?». L'universo aveva scelto il neo capitano Su'hahru, quel giorno, per intonare il ritornello della canzone che le aveva dedicato. L'universo aveva sc...