Il sospetto che Lovro non avesse torto e che il capitano non fosse il mostro che dipingevano in accademia iniziava a farsi strada nella mente di Aykari. O forse era solo in uno stato confusionale, dovuto all'aver assistito alla distruzione di un popolo: un evento simile avrebbe dovuto far breccia anche nel cuore di uno yomita. O cuori, non era mai stata in grado di ricordare quali specie avessero più del suo numero di organi. Per quella, e mille altre ragioni, girava con Eriki.
Anche se avrebbe volentieri passato il testimone, quando si trattava di finire sotto le sue grinfie. Non appena il capitano aveva notato la sua condizione, l'aveva infatti spedita nella sala medica. Se avesse voluto accompagnarlo sulla nave vidane, avrebbe prima dovuto rimettersi in sesto, altrimenti avrebbero dovuto trovare un altro modo per accedere al sistema a base bepsialiana.
Midah si sarebbe occupato del loro accesso: anche senza globo avrebbe potuto aggiustare sufficientemente i loro sistemi per trasportarli dal nemico. Il problema sarebbe stato avvicinarsi senza farsi notare, al quale Okeke aveva sbuffato e con un "io che ci starei a fare?" si era presa l'incarico. In quel momento non era l'unica in procinto di inginocchiarsi e chiederle la mano, ma sarebbe stata l'unica a non riuscire a rialzarsi.
«Dopo questa giornata», sbottò Ata, dal lettino accanto al suo, «avrò bisogno di alcol», finì di abbottonarsi i pantaloni della divisa regolare, «tanto alcol». Si scostò un ciuffo ribelle caduto davanti agli occhi scuri, prima di concentrarsi sull'ultimo indumento rimastogli: casacca o maglietta? Su'hahru aveva rispedito ogni sua protesta, guadagnando dieci punti di approvazione da parte del futuro medico, quando aveva minacciato di chiudere un occhio nel caso avessero dovuto sedarlo per fargli indossare dei pantaloni.
«Riserva una bottiglia anche per me», strappò l'ultimo nodo della sua garza, sfilando il lembo esterno nella più triste e scoordinata spirale mai registrata nella storia della ginnastica ritmica. La porzione di pelle che nascondeva era il degno finale, che avrebbe portato che i più supportivi genitori a lasciare il pubblico.
Prese un respiro profondo. Forse era una fortuna non aver incontrato alcuno specchio.
L'altro si schiarì la voce, attirando la sua attenzione.
«Mettiamo una cosa in chiaro: questo», descrisse con l'indice la distanza che li separava, «non potrà mai accadere». Aykari si trovò a imitare un gufo disturbato dalla luce del giorno.
«Oh», le sfuggì, in un misto di confusione e delusione. «Va bene». Fece spallucce.
Alla sua reazione, l'altro trattenne un urlo, prima di trascinarsi la pelle del volto con le mani, mostrando l'incavo degli occhi.
«Nel senso che non funzionerebbe».
«Va bene», ripetè.
«Una botta te la darei pure», sbottò, provocandole un sussulto, «ma io sono un disastro umano e te non sembri messa meglio». Fece correre le dita fra le ciocche corte, «insomma, non reggerebbe», strinse le mani in pugni, abbassandoli lentamente fino a sfiorare il cuoio sintetico su cui era seduto, «che è un sacrificio e un peccato, lo so, perché ho visto solo due immagini sfocate di Nanufaru, ma posso dire che i geni dei Lange hanno fatto il loro lavoro», disegnò un cerchio che incorporasse la sua figura, «posso disprezzarli in tutto come famiglia, ma non nell'aspetto, bastardi fortunati». Lei si morse un labbro, per non scoppiare a ridere.
«Porgerò anche a mio fratello i tuoi complimenti».
«Fratello?».
«Non ci pensare neanche». Midah alzò le braccia.
Si rilassò troppo presto, dopo aver difeso lo scarso onore del suo consanguineo. Eriki approfittò di quel momento per piantarle un altro ago nel collo.
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Materia degenere
Science Fiction- Quos vult Iupiter perdere - «Da cosa altro potremmo essere definiti, se non dalla nostra biologia?». L'universo aveva scelto il neo capitano Su'hahru, quel giorno, per intonare il ritornello della canzone che le aveva dedicato. L'universo aveva sc...