Gli yomiti non erano soliti usare metafore. A differenza degli umani, per comunicare un concetto non avevano il bisogno di ricorrere a qualcosa che gli fosse simile, ma la ragione aveva poco a che fare con il pragmatismo o una loro carenza immaginativa nel trovare associazioni. Anzi, nell'opinione di Su'hahru, il suo popolo era solito perdersi in un bicchier d'acqua per le questioni più banali. Ricordava una memorabile discussione, a cui aveva preso parte anche sua madre, della durata di due giorni, in cui le più brillanti menti diplomatiche si erano riunite per ponderare lo spostamento di una statua nella stanza dei convegni. Stanza in cui solo i partecipanti alla stessa avrebbero potuto avere accesso.
Questi non erano però i lati che gli altri popoli vedevano degli yomiti, loro assistevano a comunicazioni brevi e dirette, missioni di recupero coordinate e curate nei minimi dettagli, e poca tolleranza per i convegni o discorsi che superavano il minuto standard. Questo aveva portato alla convinzione che tale apparenza rispecchiasse anche il loro essere. E nessuno li aveva mai corretti.
La verità nascondeva altro, come il fatto che il parlato fosse un tipo di comunicazione usata di rado sul loro pianeta. Perché spendere tempo ed energie a descrivere un evento, quando lo avrebbero potuto mostrare telepaticamente?
Se i suoi genitori non avessero dovuto avere spesso a che fare con altre specie, Su'hahru era certo non avrebbe avuto occasione di usare la sua voce fino all'inizio del suo percorso scolastico. Nella sua casa era vissuta con sofferenza anche la pratica del porgere una mano per trasmettere il più breve dei messaggi. I suoi fratelli maggiori avevano avuto la fortuna di nascere all'interno di una coppia che aveva stabilito il più profondo e assoluto dei legami, per cui trascorrevano la loro esistenza in contatto con loro madre nella loro mente comune. Era un sacrificio per loro dover toccare lui o suo padre per chiedere loro qualcosa.
Però Su'hahru aveva vissuto con un'umana. E non solo, aveva stabilito un legame con un'umana. Un'umana che adorava più di quanto fosse in grado di esprimere. Un'umana che reggeva per lui la luna, il sole e l'altre stelle. Un'umana forte e tenace. Un'umana che però non possedeva le sue stesse capacità telepatiche e mal tollerava le intrusioni mentali.
I primi tempi aveva iniziato a muoversi con estrema cautela, non volendo aggravare le sue condizioni, rimanendole accanto fisicamente e distante con la coscienza. Avrebbe voluto irrorarla con il tepore dei primi raggi primaverili, ma otteneva solo di bruciarla con quelli estivi.
Chidi non era scappata e negli anni avevano trovato un equilibrio tra i loro spiriti. Lei aveva imparato a non reagire con scudi che urtavano solo la sua parte e a navigare seguendo il faro che le indicava il suo Fah'le, approdando in porti sicuri. E lui per lei aveva deciso di adattarsi e aveva imparato come tradurre le immagini in parole, un'abitudine che lo aveva sempre più diviso dai suoi pari, ma che si era rivelata una carta vincente nell'integrarsi nell'accademia terrestre e, successivamente, in un equipaggio composto per la maggior parte da umani.
Quando il vice ammiraglio Koubert aveva definito la ricollocazione dei superstiti di Ki-II "una grossa gatta da pelare", Su'hahru aveva quindi inteso alla perfezione cosa intendesse e dovette fare appello a ogni briciolo di diplomazia in suo possesso per non saltare dalla sedia e insultare il suo intero albero genealogico di raccomandati, che avevano messo piede solo su navi da crociera. Prese un respiro e contò fino a dieci.
«Le ricordo che meno di un decimo dell'intera popolazione si è salvata», quasi mugugnò, da quanto la sua mascella era contratta, «e che al momento stanno vivendo un lutto per i loro cari e la loro casa».
«La perdita del loro pianeta non è stata una nostra responsabilità, capitano», sfoggiò una fila di denti candidi, «le siamo tuttavia grati per il suo servizio e, ovviamente, le siamo vicini per la perdita dell'ammiraglio Duarte», aggiunse, portando una mano petto e socchiudendo gli occhi per un secondo. «Tuttavia, ciò che ora le è chiesto è di tornare al Porto e fare rapporto, da lì prenderemo i provvedimenti necessari». Quasi rimpiangeva i professori dell'accademia, che facevano a gara per baciare il terreno su cui camminava, ignorando ogni suo suggerimento il metro successivo. Quasi.
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Materia degenere
Science Fiction- Quos vult Iupiter perdere - «Da cosa altro potremmo essere definiti, se non dalla nostra biologia?». L'universo aveva scelto il neo capitano Su'hahru, quel giorno, per intonare il ritornello della canzone che le aveva dedicato. L'universo aveva sc...