Ogni situazione poteva essere vista in una chiave di tasti negativi e positivi. Quando i primi superavano i secondi, il pianoforte non avrebbe composto una melodia di successo, ma Aykari era esperta nel rifinirla e renderla un disastro spacca timpani.
I vidane l'avevano lasciata in una cella con l'ammiraglio Duarte. Aveva gioito, prima di accertarsi del suo stato. Respirava a fatica e sputava del liquido nero ogni volta provasse a dire qualcosa. Non era un medico e temeva di peggiorare solo la situazione se avesse provato a fermare l'emorragia. Era davvero un'emorragia, poi? Non era abbastanza viscoso al tatto per essere sangue, ma la presenza di acqua poteva indicare fosse troppo tardi. Sempre che non si fosse trattato di qualche altro liquido. Maledisse la scarsa luminosità, decidendo di concentrare le sue energie verso un ambito di cui aveva più esperienza.
Non avendo armi in vista, avevano evitato di perquisirla, pensando che delle sbarre avrebbero potuto neutralizzare ogni suo tentativo di fuga. Dilettanti. Iniziò a smontare la parete, rivelando le venature e le terminazioni nervose di quella creatura di metallo e carburante. Confermò l'ipotesi che i rikhu avessero finanziato quella pazzia, riconoscendo al tatto il sistema di circuiti delle loro navi. E se si fosse sbagliata, dubitava che quel giorno una scossa in più o in meno avrebbe fatto molta differenza.
«Scusi, ammiraglio», gli passò un braccio sotto l'ascella, percorrendo orizzontalmente la sua schiena e ancorando la mano al fianco opposto del busto, trascinandolo verso la loro ritrovata libertà. Muoverlo lo avrebbe potuto condurre alla morte, ma anche abbandonarlo in quell'angolo lo avrebbe portato alla stessa destinazione.
Avanzò piano nel magazzino adiacente, dove conservavano l'estrattore di kentamonio. Una pila di cilindri collegati fra loro da ganci e catene. La piattaforma, sulla quale era atterrata appena poche ore prima, era posata parallela al pavimento e non vi erano tracce del suo passaggio: il quadro era stato chiuso, indicando che fosse pronta per essere utilizzata. Rabbrividì al solo pensiero.
Adagiò Duarte contro la superficie ricurva dei tubi, avendo cura che potesse tenere una posizione retta. L'uomo provò a mugugnare qualcosa, ma lo zittì.
«Mi aspetti qui», contrasse le labbra alla sua stessa uscita, «devo solo recuperare un globo e poi torneremo sulla Victoria, va bene?». Non aspettò una risposta, cercando nei suoi dintorni un qualche tipo di equipaggiamento: non avrebbe commesso per la seconda volta lo stesso errore. Lei non era più dispensabile.
Avrebbe avuto bisogno di un'armatura, ma avrebbe preferito evitare uno scontro diretto con quegli alieni sociopatici. Ponderò le alternative a sua disposizione, con un sottofondo di battiti metallici dati dallo stesso ammiraglio. Lo ammonì. Voleva forse attirare l'intero equipaggio?
Fece appena in tempo a voltarsi, quando venne colpita al fianco destro e cadde a terra. La pelle bruciava, ma la divisa sembrava aver attutito gran parte del danno. Si girò sulla schiena, trovando la canna di un fazer puntata nello spazio fra i suoi occhi. Aggiungere dei caschi alle loro divise non sarebbe stata una brutta idea, fornì il suo cervello, in bagliore di follia da panico.
Chiuse gli occhi al boato, sentendo il suo corpo volare in alto, sempre più in alto. Era così la morte? Sembrava quasi pacifica come sensazione.
Poi precipitò, sulla dura realtà, battendo con forza l'area appena danneggiata. Impiegò più tempo di quanto il suo orgoglio le avrebbe concesso di ammettere per riuscire a rialzarsi. Quella giornata non le stava concedendo un attimo di tregua.
«Lange!», la voce di Su'hahru rimbombò nell'area, «Ammiraglio!», anche il vidane responsabile della sua ultima ferita se ne accorse, disteso a pochi passi da lei. Non riuscì a precederlo verso l'arma che gli era sfuggita, ma lo yomita saltò atterrandogli sul polso. Poi afferrò la sua figura sotto l'elmo, ribaltandola in un sinistro quanto sonoro crepitio. Le mancò il fiato, ricordando in quel momento quanto la gravità del pianeta ghiacciato fosse superiore a quella terrestre. «State bene?».
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Materia degenere
Science Fiction- Quos vult Iupiter perdere - «Da cosa altro potremmo essere definiti, se non dalla nostra biologia?». L'universo aveva scelto il neo capitano Su'hahru, quel giorno, per intonare il ritornello della canzone che le aveva dedicato. L'universo aveva sc...