La stessa acqua che tempra l'uovo, indebolisce il tubero

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Il giorno in cui suo fratello era partito per l'accademia, aveva esitato. Nell'atrio della casa dove erano cresciuti insieme, i suoi averi già caricati sulla navetta e sulle labbra un ultimo arrivederci che sapeva di addio, aveva esitato a varcare le porte abbagliate da un sole brillante come il suo futuro. Aveva esitato, sotto gli occhi di un uomo la cui terra non conservava più tracce, di cui la Terra sussurrava ancora il nome come una madre reverente. Aveva esitato, in presenza di un uomo a cui non era servito discendere da una stella per averne i lustri. Aveva esitato, davanti al peso di portarne il nome.

«Spero di renderti orgoglioso», aveva sussurrato, con occhi tremanti, «spero di essere come te».

Generazioni di navigatori delle stelle avevano solcato quella soglia, sotto lo stesso augurio. Ma Aykari non era una Lange.

«Io non sono come te», aveva confessato la notte in cui aveva abbandonato quel luogo, «non me lo hanno permesso». Strinse la cinghia dello zaino, pieno di pochi ricordi e troppi castelli di carta. «Per cui non prendertela con me». Il silenzio non era così dissimile dalle risposte che gli altri membri della sua famiglia le avevano sempre fornito.

«Io non sono come te», aveva ripetuto, sotto le grida di un pilota e un pretendente capitano, alla sua prima esercitazione. Quest'ultimo aveva insistito affinché non prendessero "deviazioni inutili" per Saturno, decantando la sua superiorità di grado ed esperienza. Tre ore dopo si era trovata ad assistere un pilota spaventato e frustrato, mentre il suo diretto responsabile, lo studente del quarto anno di ingegneria, si chiedeva perché non si fosse imbarcato su una nave regolare. Come fossero usciti illesi da quel campo di asteroidi non lo seppe mai.

«Io non sono come te», raccontava all'ultimo bicchiere della serata, dopo aver ricevuto la notizia della promozione di suo fratello. Il suo messaggio le era arrivato dopo l'ultimo esame del suo quinto semestre, da allora ogni media ufficiale non sembrava fare altro che ricordarle l'evento. Era felice per i suoi successi, lo era davvero. E allora perché ogni suo traguardo era vissuto come una pugnalata al petto? Ricambiò un sorriso, sperando che il vuoto che l'attanagliava si colmasse, quel poco che le sarebbe bastato per resistere un altro giorno. Un solo altro giorno. Si era svegliata da sola il mattino dopo, ancora una volta. Poi mise a fuoco l'aspirina e la nota illeggibile¹ sul comodino e, per la prima volta, si chiese se non avesse già trovato quello di cui necessitava per andare avanti.

«Io non sono come te», era chiaro al suo supervisore, quando per il terzo anno di fila aveva rifiutato di unirsi a una nave della flotta regolare, optando per le missioni in singoli ristretti gruppi. Con un sospiro poco celato, aggiunse il suo nome a un equipaggio composto da soli studenti del quinto anno. Aveva sufficiente esperienza per un progetto che li avrebbe portati oltre i confini della Via Lattea. Mancava solo un posto e sperava di riuscire a persuadere Eriki a riempirlo.

«Io non sono come te», ammise, il giorno dopo la sua udienza, «io non sarò mai come te». Stesa sul letto, i palmi premuti sugli occhi nel tentativo di impedire alle lacrime di uscire. «Ma lo vorrei tanto essere».

Come nel loro primo colloquio, Gregory Lange non proferì parola alcuna. Non era forse una risposta sufficiente?


 Non era forse una risposta sufficiente?

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