A posteriori, Su'hahru si chiese come avesse fatto a non capire la vera identità di Aykari Lange. Uno come lui, che si vantava di essere in grado di leggere ogni situazione. Uno come lui, amante della poesia degli umani e delle loro leggende.
Nanufaru, colui che veniva da una supernova. Indistruttibile, inamovibile, pericoloso e imprevedibile. Figlio della stessa esplosione che conservava nei suoi occhi. Gli stessi occhi che si stavano prendendo gioco di lui, all'altro capo del tavolo. Che non erano in grado di nascondere il tumulto di emozioni che li attraversava, in ogni momento.
Forse era davvero nata dall'esplosione di una stella, non aveva altre ipotesi per spiegare l'enigma che aveva scelto di avere al suo fianco.
Aykari avanzò nell'hangar. Non aveva l'autorizzazione per trovarsi al Porto, soprattutto in un'area riservata come quella dove erano ancorate le navi della flotta. Ma come avrebbe potuto resistere?
La Victoria era lì, in tutto il suo splendore. Ed era sua. Quasi sua. In piccola parte sua. Avrebbe aiutato ad amministrarla.
Ma non importava il livello della sua mansione, quanto il fatto che in poco meno di tre mesi vi avrebbe messo piede e viaggiato a bordo. Con una torcia, si avvicinò, illuminando la scritta laterale. La sfiorò, tracciando l'inchiostro nero.
«Se ha intenzione di rubarla», saltò all'indietro, «spero abbia con lei almeno un pilota». Si voltò, accecando Duarte.
«Ammiraglio», deglutì, «salve». L'uomo le fece segno di abbassare la luce.
«Si rilassi Lange, sono qui in via non ufficiale», percorse la distanza che li separava, «non l'ho mai ringraziata per avermi salvato la vita».
«Credo sia più merito del capitano». Non sapeva per quale motivo fosse così nervosa. Lo aveva visto sputare il suo stesso sangue e aveva evitato sbattesse ripetutamente il cranio, verso morte certa. Ed era in pigiama.
«Non faccia la modesta».
«Ho solo fatto quello che chiunque altro avrebbe fatto». La sua risposta venne accolta da una smorfia.
«Per qualche ragione, ne dubito», la superò, procedendo verso la piattaforma di accesso. «Mi hanno detto che ha accettato la proposta di Su'hahru».
«Già».
«Bene», annuì fra sé, «c'è bisogno di qualcuno come lei».
«Lei è d'accordo?», si stupì. Un conto era chiederle di lanciarsi su un pianeta per le sue conoscenze, un altro era accettare che fosse il vice della sua ultima nave.
«Credi possa accadere qualcosa sulla Victoria senza che io lo abbia approvato?».
«Lei può accedere ai miei file», obiettò, «a tutti i miei file», anche quelli sepolti dalla Trenner, «lei sa chi sono».
«La seconda Lange che si imbarca infrangendo ordini diretti?», estrasse delle chiavi dalla sua tasca.
«Non intendevo quello». L'ultimo viaggio di sua madre. I suoi genitori si erano davvero trovati.
«Ma è tutto quello che ho bisogno di sapere». Alzò lo sguardo, trovando l'espressione comprensiva dell'ammiraglio. Forse c'era più di una persona che credeva in lei al comando e non sapeva come ciò la facesse sentire.
«Grazie, ammiraglio».
«Bene», batté le mani fra loro, premendo il pulsante per aprire la nave, «ora che ci siamo chiariti, lei mi potrà spiegare perché il suo amico ha sentito la necessità di rivoluzionare i miei sistemi di difesa».
Chiuse gli occhi. Dannato Ata, gli aveva chiesto di aspettare.
«Ay, io ti adoro, davvero», Eriki le afferrò i polsi, «ma se sento ancora uscire dalla tua bocca la parola "Victoria", credo che potrei avere un crollo nervoso».
Forse Aykari aveva esagerato. Ma come avrebbe potuto essere altrimenti?
Le ultime settimane della sua vita le aveva trascorse a discutere progetti su progetti e la lista delle cose da ultimare sembrava non avere mai fine. Di giorno aveva preso l'abitudine di svegliarsi all'alba, per raggiungere il capitano e lavorare sulle priorità, come la scelta dei responsabili o l'arrivo degli strumenti per i laboratori. Di notte stazionava in biblioteca, pensando con Midah nuovi modi per affrontare ogni tipo di emergenza, simulando gli scenari peggiori e aggiustando i loro parametri in termini di efficacia. Non era sicura di aver toccato il suo letto per più di due ore di fila, eppure non era stanca. Non era stanca per nulla.
Era la sua amica a non condividere il suo entusiasmo.
«Condivido il tuo entusiasmo», sbottò il medico, «no, non lo hai detto ad alta voce, ho solo immaginato cosa potesse frullare in quel cervellino», dondolò il capo, «è solo che ci laureiamo fra un paio di ore e vorrei che il discorso celebrativo avesse aspirazioni più astratte».
«Potresti avere ragione». Erano state scelte come rappresentanti per il loro anno, insieme ad altri tre studenti di altri indirizzi. «Potrei parlare di una nave, che potrebbe o non potrebbe prendere il suo nome da quella di uno dei più famosi esploratori-».
«Ay!». La donna afferrò una penna dalla scrivania.
«Ah!», la fermò, «Hai giurato tre giorni fa!». Abbassò l'arma, puntandole un dito contro.
«Un giorno ti farai male, Aykari Lange», sussurrò, «e quel giorno sarò io a doverti curare». Avanzò verso la tunica verde, appesa all'anta dell'armadio. «Ricorda le mie parole».
Sospirò, felice. Sarebbero potuti passare gli anni, ma il loro rapporto non sarebbe mai cambiato. Erano rimaste quelle due ragazzine scappate di casa, nella speranza di sfiorare il loro sogno.
E quelle ragazzine si stavano per laureare. Si stavano per laureare.
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Materia degenere
Ciencia Ficción- Quos vult Iupiter perdere - «Da cosa altro potremmo essere definiti, se non dalla nostra biologia?». L'universo aveva scelto il neo capitano Su'hahru, quel giorno, per intonare il ritornello della canzone che le aveva dedicato. L'universo aveva sc...