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La notte la passai a giocare a Hades, proiettato sull'enorme schermo piatto davanti al letto. Non avevo chiuso occhio, ripensando alle preoccupazioni dei miei genitori e quanto io dovessi aver deluso le aspettative di Azrael. Il fatto che riuscissi a far esplodere la mia vera indole solo nei momenti di rabbia era un muro invalicabile, alimentando quel sentimento di furia perenne non sarei stato in grado di placarmi ed era questo a non farlo cedere; credeva che ci fosse qualcosa in me e, per quanto volessi che continuare a tentare, la sua costanza mi calzava stretta.

Avevo acceso il computer e perso quarantacinque minuti a capire come collegare il PC al televisore e far partire il wireless del controller. Avevo le cuffie alle orecchie ed ascoltavo Word up dei Korn nel mentre attraversavo la medesima volta i campi elisi, in attesa di battere Teseo e il Minotauro, i boss del livello. Il sole emergeva pigro dalle montagne ed illuminava la stanza, i colori LED tendenti al violetto si vedevano appena.

Azrael apparve nel salottino e, a giudicare dall'espressione, doveva essere là da un po'. Mi sfilai una cuffietta e tentai di dosare l'attenzione tra i nemici della run e il Demone con le braccia incrociate.

«Hai saltato l'allenamento. Kiral era preoccupata, pensava stessi male» mi accusò e mi guardò dall'alto in basso, steso con le lenzuola sul pavimento e gli occhi stanchi per i videogiochi. «Lo pensavo anche io.»

«Be', non lo sono. Avevo un po' di stanchezza repressa» risposi svogliato.

«Quindi non avevi voglia» tradusse. «Posso sapere perché?»

Alzai le spalle. La verità era che mi fossi stufato di farmi massacrare di botte da tutti ogni giorno, non era cambiato nulla dal liceo, solo che al rifugio era tutto una gara e io facevo schifo. Nonostante avessi le migliori intenzioni non miglioravo mai.

«Credimi, As, te lo sto chiedendo con le buone.» Mi scosse un brivido freddo e l'aria nella stanza scese di qualche grado con rapidità, toccata dalla magia di quell'uomo terrificante. Abbassò lo sguardo sui lividi che avevo sulle gambe e le mani sbucciate. «Non tutti nascono allo stesso livello.»

Feci un singhiozzo di scherno. Detto dal Principe infernale suonava ridicolo. «Farsi prendere a botte senza uno scopo non mi piace» gli dissi. Misi in pausa proprio dopo aver raccolto l'ambrosia che mi serviva. «Ci ho provato ogni giorno per settimane intere, lo giuro, e ogni giorno finivo a terra. Ti ho sentito ieri.» Azrael inclinò il capo, colpito. «Tornavo dalla palestra e per sbaglio ho ascoltato ciò che vi siete detti tu e mamma. Non importa quanto sangue assuma, rimango un essere umano. Io vorrei essere di più e... questo corpo me lo impedisce!»

Azrael non capiva come mi sentissi a stare in mezzo ad un gruppo di ragazzi pieni di talento, di magia e forza, ad essere giudicato costantemente dal vecchio consiglio di satiri e da tutto il regno infernale.

«Il potere non va al più forte o al più intelligente, va a chi è pronto a fare di tutto per prenderlo. Tua madre ha cambiato il mondo, sedici anni fa, e non ha chiesto nulla a nessuno, si è presa il suo legittimo posto. Un giorno capirai quale è il tuo e il mondo ti rispetterà.» Ne dubitavo fortemente. «Sai, anche tua madre saltava spesso gli allenamenti e scappava dal Quartiere. Prendeva Kompis e...» Fischiò forte. «Sfrecciava via. Thor era sempre incavolato nero con lei.»

«Mi metterai in punizione?» domandai cupo.

Le punizioni di Matthew di solito erano inerenti alla scuola, se andavo male ad un compito perché ero stato alzato fino a tardi per vedere l'ultimo episodio di Vikings, oppure se uscivo di casa di nascosto dopo il tramonto ed evitavo di portarmi il telefono con me.

Azrael affilò lo sguardo e calcolò i pro e i contro di mettermi agli arresti domiciliari. Forse a fargli cambiare idea fu la somiglianza con la sua adorata compagna o magari perché non voleva addossarmi altri pesi.

La leggenda di Kiral - Il cupido di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora