XXI

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(Samuel Allan)

«Mamma...» la chiamai senza fiato.

I suoi occhi arsero con fare protettivo. «Lascialo.»

«Sai, Sasha, tu hai tantissimi problemi e gran parte di questi te li sei trascinati dietro con la tua umanità. Ti ricordi cosa ti consigliai di fare quella volta, quando sei venuta da me furente per chiedermi dove fosse tuo padre? Dovevi spegnere i tuoi sentimenti, lasciarti manipolare dall'ira e dalla vendetta. Ti ho vista in quelle vesti e sei divina» vantò lascivo, massimizzando la presa. «Sai chi è capace di rinunciare alle proprie emozioni? Un dio, ecco chi. Tuo padre è diverso, si nutre della paura e del rancore. Lui è un Incubo di natura.»

Mamma cominciò a sudare freddo. Sapevamo entrambi che fosse immischiato in questioni losche, ma non ci aspettavamo che stesse scoprendo le sue carte una ad una senza problemi. Non ci vedeva affatto come una minaccia e questo era un serio problema, stava pensando di eliminarci o come farci sparire senza tracce.

«Azrael non sa che sei qui, questo significa che non ti cercherà. Almeno per un po'. Mossa piuttosto stupida. Mi hai regalato tempo e al giorno d'oggi è un dono prezioso, ti ringrazio» commentò. «Me lo hai nascosto per anni e io non sono mai riuscito a vederlo per via della sua aura. Mi dicevo che fosse un mio tarlo, che As fosse come suo padre, inutile e senza talento, ma mi sbagliavo, non è così? Lui è speciale perché lo hai creato tu.»

«È solo un ragazzino, Samuel. Non c'entra con tutto questo!» si scaldò.

«Anche io lo ero a quel tempo, ma ho avuto l'ardore di prendere ciò che mi spettava» rispose, avvolse le dita tra i miei capelli e li tirò, facendomi piegare la testa verso l'alto.

Era appoggiato alla scrivania e avevo le unghie conficcate nei braccioli della poltrona.

«Sei così pieno di energie, così giovane... Mi ricordi me» borbottò l'uomo. «I Demoni si nutrono di sangue e persino tua madre ne sente il richiamo. La quantità di zuccheri e proteine che ingerisce con il cibo umano non è abbastanza per lei, tuttavia per te lo è. Ti ho visto goderti quel dolce fino all'ultima briciola. Ne sono quasi invidioso. Non hai mai bevuto del sangue» sentenziò. «Sei puro.»

Battei i denti. «Non ne ho bisogno...»

Mi lasciò andare. «Voglio vederti meglio. Togliti la maglia» ordinò secco.

Rimasi immobile, senza reagire, mentre l'espressione dell'uomo si incupì, notando il mio smarrimento generale. La prima cosa che feci fu guardare mia mamma e chiederle aiuto. Persino a lei la richiesta le parve strana, Samuel non era un tipo espansivo e odiava toccare le persone. Con me era l'opposto.

Kiral strinse i pugni. Aveva il viso rosso. «Con questo hai chiuso, ce ne andiamo.»

Un'ombra salì dal pavimento e bloccò la soglia. Il tanfo della sua aura appestò lo studio e mamma si coprì il naso con disgusto. Gage Bryce si materializzò davanti l'uscita e la oscurò con la sua presenza. L'ufficio piombò nella penombra, illuminato solamente dalle piccole lampade arancioni da scrivania e dalla fioca luce del computer.

L'Incubo ammantò ogni cosa e restò davanti alla donna, inclinandosi in avanti per farle un ampio sorriso. Kiral respirò affannosa e fece due passi indietro. Pur non entrandole nella testa riuscii a vederle con chiarezza il terrore per quell'uomo che ancora le provocava orrende visioni.

«Cosa diamine hai fatto?» gli urlò contro. «Vuoi davvero ucciderci?»

Samuel arricciò il naso. «Perché dovrei uccidervi? Mi serviva solo il ragazzino» rispose con noia. «In questo piano non ci sono telecamere. Su, non essere timido. Ti do cinque secondi e poi lo farò io stesso.»

La leggenda di Kiral - Il cupido di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora