XII

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I miei incubi continuarono e a volte mi pareva che volessero divorarmi vivo, faticavo a svegliarmi e aprivo gli occhi coperto di sudore. Distinguere realtà e illusioni era talvolta difficile, mi immergevo in quegli incubi pieni di sangue e sapevo che fossi colpevole di qualcosa di orribile. Sognavo sempre di aprire gli occhi in un mondo desolato e c'era una puzza mista tra carne bruciata e cenere. C'era confusione, urla, esplosioni e risate crudeli. Io mi sentivo... triste.

Triste era riduttivo. Il mio cuore era spezzato nel profondo, era pieno di rancore, disprezzo e angoscia pura. Mi era stato strappato un pezzo importante e non riuscivo a capire cosa fosse, l'incertezza mi tormentava. Il mio viso era bagnato e dal cielo piovevano scintille brillanti, i fulmini incombevano oltre le nuvole e, distanti, due gigantesche creature vagavano alla ricerca delle ultime vittime. Piangevano e anche io. Avrei voluto dire loro di smettere, la mia bocca però restò serrata e la mia mente si spense.

Sentii uno strappo netto e una fitta lancinante al petto, si propagò infine alla testa e si spaccò a metà. Fu così veloce e doloroso che non riuscii a proferire alcun suono.

Aprii gli occhi ansimando. Ero nel mio letto. Come prima cosa inquadrai lo specchio al soffitto e me, steso con la fronte imperlata di sudore, gli occhi umidi e il viso rosso. Provai a riordinare i pensieri, capire che fosse tutto falso e che stessi bene, quando notai una figura appollaiata in un angolo del letto.

Lanciai un urlo e rotolai giù dal materasso, sbattendo la faccia a terra. Afferrai la lampada sul comò e la impugnai come un'arma letale, pronto ad usarla per spaccare il naso all'intruso.

«Hai tre secondi per dirmi chi sei, poi ti uccido» gli intimai.

Lo sconosciuto aveva una carnagione strana, grigiastra, come se fosse morto da molto tempo. I suoi capelli erano ricciuti, bigi, nonostante il suo aspetto fosse giovanile e avesse un ghigno di schermo stampato in faccia. Indossava una toga rossa con una pelliccia sul collo e sulla cintura bianca e giocherellava con una piccola pallina scura tra le dita.

Mi avvicinai con fare brutale e lui alzò le mani.

«Io sono Hypnos. Sono un amico, principino» mi adulò con voce falsa. Il tono era acuto, simile a quello che si usava per approcciarsi ad un animaletto selvatico prima di rompergli il collo. «Io e te siamo ottimi amici.»

«Oh, ma col cazzo» sbottai e gli saltai addosso.

Hypnos gridò eccitato e scomparve nel nulla. Atterrai sul materasso e mi rivoltai dall'altra parte, rimanendo appeso a metà. Mi alzai agitato e corsi ad accendere la luce. Era ancora notte fonda, oltre la vetrata non si vedeva nulla. C'era pochissimo inquinamento luminoso, perciò l'oblio dei boschi e del ghiacciaio segnava sovrano, insieme alle pallide stelle.

La luce accecò entrambi e Hypnos comparve dall'altro lato della camera, coprendosi gli occhi. «Ti prego! Spegni quel lurido arnese!» mi implorò e io fui troppo gentile a concedergli della pietà. Si afflosciò di nuovo sul mio letto e si accoccolò sul cuscino in un sospiro stanco. «I tuoi incubi sono davvero spietati, principino. Sono felice di aiutarti.»

Sbattei gli occhi per abituarmi di nuovo all'ambiente scuro. Accesi la fila di LED oltre il letto, in modo tale da avere almeno un'idea di dove fosse quello strambo personaggio.

«Chi diamine sei?» ripetei guardingo.

«Hypnos. Il Demone dei sogni» mi informò. «Te l'ho detto prima. Sei sordo?»

«Un Demone dei sogni. Non ho mai sentito una stronzata più grossa. Pensi sia scemo?»

Hypnos mi rivolse uno sguardo assonnato e inclinò il capo. Mi venne immediatamente sonno e mi curvai in avanti, vedendo dei puntini neri vorticarmi negli occhi. Persi il controllo e tornai lucido in poco, lanciando uno sguardo tagliente al Demone.

La leggenda di Kiral - Il cupido di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora