13. Liam: solo uno sfigato

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Corsi di lato, nel tentativo di scansare una palla che altrimenti avrei dovuto cercare di afferrare

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Corsi di lato, nel tentativo di scansare una palla che altrimenti avrei dovuto cercare di afferrare. Tuttavia il mio geniale piano (si fa per dire) fallì, e la palla mi colpì in testa. Risero tutti, soprattutto colui che aveva tirato la palla: Andrew. Mi puntó un dito contro, mentre rideva, e disse: «Guardate lo sfigato!»

I suoi amici risero con lui, assecondando i suoi insulti crudeli. Come al solito, il coach non intervenne in alcun modo per fermarli. Andrew mi si avvicinò per prendere la palla e, poco prima di andarsene, sfoderò un sorriso. «Non sai proprio fare nulla».

In seguito mi lasciò lì, da solo, circondato dalle prese in giro e dalle risate.

Abbassai lo sguardo, umiliato.

Avresti dovuto prendere la palla, mi rimproverò Billy, ma io ero troppo ferito per risponderle. Perché Andrew si era trasformato in quel modo? Era la centesima volta che mi ponevo quella domanda, dopo quel giorno in infermeria.

Lui... cominciò Billy, tuttavia non avevo la forza di ascoltare le sciocchezze che avrebbe pronunciato e perciò la zittii. Fu una delle rare volte in cui Billy mi diede ascolto. Probabilmente, scoprii tempo dopo, l'unica volta in cui non avrebbe dovuto farlo. L'attività ricominciò e, dopo altre tre figuracce simili alla prima, e altrettante prese in giro da parte di Andrew e il suo gruppo, la giornata di lezioni si concluse. Come al solito, mi cambiai nel bagno. Provai un enorme sollievo a sfilarmi quegli abiti che mi facevano sentire così inadatto e a rindossare i soliti jeans troppo grandi e la maglietta con le scritte sbiadite. Mi guardai allo specchio e incontrai i miei occhi azzurri, che avevo sempre odiato. Erano solo l'ennesima conferma della mia diversità, della barriera che separava me dal resto della mia famiglia, dal resto del mondo. Feci per voltarmi ed andarmene, ma qualcosa mi fece fermare. Un tonfo. Qualcosa era caduto a terra. Non avevo motivo di preoccuparmi, ma il mio istinto mi diceva che sarebbe accaduto qualcosa. Strinsi le mani a pugno e tentai di arretrare, ma mi resi conto di essere già appoggiato alla parete. L'uscita era proprio il punto da cui era provenuto il rumore. Che fare? Sentii le mie unghie affondare nel palmo della mano, tuttavia me ne resi conto a malapena.

«C-chi siete?» riuscii a domandare con voce tremante.

La squadra di basket fece capolino da destra. C'erano tutti, tranne che Andrew, ed erano capitanati da Mirko Lerdal. Quello stronzo senza sentimenti.

«Ehilà, sfigato» disse Mirko.

Mi raggiunse in pochi passi, mi afferrò per i capelli e mi fece sbattere la testa contro il muro. Gemetti e crollai a terra, girava tutto, sentivo la voce di Billy, ma era come in lontananza e non riuscii a comprendere che cosa stesse dicendo.

«B-Billy...» mi ritrovai a chiamare.

«Billy?» rise Mirko. «Chi è, la tua ragazza

Gli altri si unirono alle sue risate. Mirko tornò presto, però, a concentrarsi su di me.

«Non sei altro che uno sfigato».

Ha ragione, commentò Billy.

Non sei d'aiuto, ribattei io.

In seguito, mi feci coraggio e alzai lo sguardo. Il ragazzo mi osservava divertito, aveva una strana scintilla negli occhi. Sembrava chiedermi di reagire, o di pregare per essere lasciato stare. Non gli avrei dato quella soddisfazione neanche se avessi voluto. Billy me lo avrebbe ovviamente impedito.

Quando capì che non ero intenzionato a fare nulla, Mirko si voltò verso i suoi amici.

«Allora, che dite? Che ne facciamo di lui?»

«Potremmo mettergli la testa nel water!» propose allegro Kevin.

«Potremmo gettarlo nello spogliatoio delle ragazze! Loro non reagirebbero tanto bene!» suggerì Oliver.

Mirko si atteggiava come essendo il capo anche se non lo era affatto, stava soltanto prendendo in prestito il ruolo di Andrew. Sperai che lui gli avrebbe fatto pagare quell'affronto. Per il momento, tuttavia, avrei subito ciò che lui aveva in serbo per me. Sfoderò un sorriso malvagio. «Io avevo in mente qualcos'altro...»

Oh-oh, sospirò Billy.

Mi risparmiai dal dirle quanto non fosse utile, specialmente perché Mirko mi tirò un pugno in faccia, facendomi cadere a terra. Non ebbi neanche il tempo di riprendere a respirare, dopo il colpo, perché il bullo mi prese per la maglietta e mi costrinse nuovamente in piedi. La squadra lo guardava non con ammirazione, come lui si aspettava, ma con paura, probabilmente delle conseguenze di quel gesto. Solo altri tre ragazzi di cui non conoscevo i nomi si unirono a lui. Mi tirarono tutti e tre un pugno, mentre Mirko continuava a tenermi in piedi a forza. Dopo il terzo pugno mi lasciò cadere a terra. Sperai che avessero finito, tuttavia non fu così; una fitta alle costole mi fece aprire gli occhi, anche se non ricordavo di averli chiusi. Mirko mi osservava soddisfatto e, quando capì che lo stavo guardando, tirò un secondo calcio. «Forza!» esortò anche gli altri a fare la stessa cosa, e quelli non se lo fecero ripetere, forse più che altro perché temevano la reazione di Mirko se si fossero rifiutati. Il resto della squadra fissava la scena in silenzio. Erano tutti immobili, ma dalle loro espressioni compresi che anche loro, come me, speravano solo finisse tutto quanto il prima possibile. Non so con esattezza quanti colpi dovetti sopportare. L'ultima cosa che ricordo, prima del buio assoluto, è una voce.

«Finitela!»

Sembrava quella di Andrew, ma non potevo esserne certo e non volevo... illudermi? Prima che potessi comprendere, il buio si impossessò di me.

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