Era passato un po’ di tempo dall’ultima volta in cui Mattia aveva messo piede in quell’ospedale.
Era un posto tetro per lui, un posto che non amava particolarmente, ma che era obbligato a visitare. I suoi genitori erano decisi a farlo lavorare come stagista in un ospedale vicino, così che potesse accumulare cose che avrebbero fatto bella figura sul suo curriculum, per scopi futuri.
Molto spesso, Mattia non era d’accordo con i suoi genitori, insoddisfatto dei loro suggerimenti. Ma alla fine lo spingevano a svolgere il compito che gli avevano affibbiato, e in un modo o nell’altro, lui lo faceva.
Chiedendo in giro qua e là, il ragazzo impiegò pochissimo sforzo per scoprire dove avrebbe potuto andare a iscriversi ed a che cosa. Non gli importava, né credeva che gliene sarebbe importato qualcosa nel prossimo futuro. Lui era insoddisfatto di dove si trovava, insoddisfatto di quello che stava facendo. Stava sprecando tempo, chiedendo qualcosa che non desiderava minimamente.
Indicando il fondo della sala, un’assistente infermiera minuta indirizzò Mattia ad un altro banco, dove avrebbe potuto trovare altre informazioni sull’argomento. La ringraziò platealmente e continuò per la sua strada, superando diverse stanze.
Il suo sguardo era fisso in avanti. Non guardò dentro a nessuna delle stanze. Non voleva farlo. Avrebbe fatto male.
Mattia chiuse gli occhi e sospirò, barcollando assente, riaprendoli appena in tempo per evitare all’ultimo momento di scontrarsi con qualcuno.
Un dottore, no, soltanto un’altra persona.
Girò intorno al ragazzo, scusandosi in tono piatto prima di andare avanti. Un “Tutto a posto” riecheggiò alle sue spalle, ma svanì in fretta mentre il ragazzo proseguiva.
Voleva davvero farlo?
I suoi occhi fissavano il vuoto dritto davanti a lui, indifferenti al banco informazioni a qualche metro di distanza.
No, in realtà no.
Mattia restò immobile per un po’: le sue gambe si rifiutavano di trasportarlo oltre. La gente gli passava accanto, intorno, su e giù per i corridoi, avanti e indietro, ma nessuno sembrava accorgersi di lui. Rimase lì, esitante, disinteressato, indifferente.
Apatico.
Rimase al suo posto in silenzio. Non infastidiva nessuno, quindi rimase lì. Si passò una mano tra i capelli biondi, e lentamente, la sua testa ricadde in avanti. Si fissò le scarpe.
Che cosa stava facendo?
Quel pensiero gli scosse la mente.
Perché era qui?
Un’altra persona si avvicinò, all’inizio a passo regolare, poi rallentando gradualmente. Rallentò fino a fermarsi, e fu allora che si accorse dell’individuo sconosciuto che aveva invaso il suo spazio personale.
Con la coda dell’occhio poteva vedere la mano dell’altro tendersi verso di lui.
Si ritrasse e alzò lo sguardo.
“Oh, riesci a muoverti.” Sorrise rivolto a Mattia, con brillanti occhi verdi che catturarono i suoi. Era lo stesso tipo contro cui era quasi andato a sbattere… Forse era rimasto nel corridoio e lo aveva guardato camminare di fretta e fermarsi di colpo. Capiva che alcuni avrebbero potuto trovare la cosa allarmante.
“C’è qualche problema se me ne sto qui?” chiese sinceramente.
“No, non credo.” Si portò la mano al fianco. “Perché ti sei fermato così di colpo? Stai bene?”
“Tutto a posto. Stavo solo pensando.” Mattia sbatté lentamente le palpebre.
“A cosa?”
Un fan delle domande. Emozionante.
“A questo ospedale. Mi sono reso conto che non voglio più venire qui.”
Il ragazzo di fronte a lui spostò il peso su una gamba. “Sei stato ammalato? Ti stanno dimettendo?”
Mattia fissò intensamente lo sconosciuto. “No. Non sono malato, ma questo posto mi fa sentire come se lo fossi.” Il suo tono era freddo, ma non parve scalfire il buonumore dell’altro.
“Sinceramente, questo posto mi dà la stessa sensazione.” S’interruppe. “Quindi te ne andrai presto.”
“Già.” si spostò, sporgendosi nella direzione da cui era venuto.
Non aveva nessun interesse a restare dov’era. Immaginò che avrebbe detto ai suoi genitori che la gente all’ospedale era troppo impegnata per occuparsi di lui. Si avviò lanciando a malapena un’altra occhiata in direzione dell’altro. “Ciao.”
“Hey, hey!”
Mattia si voltò. “Cosa?”
“Come ti chiami?”
Perché voleva sapere il suo nome? Quando gli sarebbe mai capitato di usarlo di nuovo? Per quel che ne sapeva il ragazzo, lo sconosciuto avrebbe potuto essere un paziente, e l’ultima cosa di cui aveva bisogno era un conoscente ammalato da aggiungere alla sua già esigua lista di amici.
“Non c’è bisogno che tu lo sappia.”
Il ragazzo riuscì a nascondere bene l’espressione offesa che stava per emergere sul suo viso. “Capisco, ma per quel che vale, io mi chiamo Christian.”
Mattia gettò un’occhiata stanca in direzione di Christian, annuì, e continuò per la sua strada fino a uscire dall’edificio.
STAI LEGGENDO
in another life
FanfictionDormire non era più facile come prima, Christian lo sapeva, e ora lo sapeva anche Mattia. [1° in #zenzonelli- 3/8/22] [1° in #lgbt- 4/8/22] DISCLAIMER Questa storia non è mia, ma è una traduzione dell'inglese di un'altra, proveniente da un altro fan...