Erano trascorse due settimane dall’ultima visita di Mattia, e con suo sgomento, si ritrovò sulla stessa strada senza meta verso lo stesso temuto ospedale. Non sopportava l’indole insistente dei suoi genitori, ma era piuttosto sollevato di uscire di casa, per usare un eufemismo.
Ci risiamo.
Il ragazzo entrò e salutò la donna alla reception, come sempre. Non perse tempo e salì i gradini che conducevano alla parte dell’ospedale dove era quasi arrivato tempo fa. In pochi minuti intravide il banco informazioni, e per la prima volta dopo secoli, ci andò veramente.
Lì parlò con una donna bassa, e dopo diversi minuti, Mattia, si allontanò dal banco con alcuni fogli in mano. Si avviò giù per il corridoio, sospirando profondamente, deciso a correre a casa.
“Hey! Sei tu,lesgoo!”
Al biondo venne un nodo alla gola al suono di quella voce familiare. Esalò a forza un altro sospiro, stavolta ancor più profondo. Si voltò.
“Christian.”
“Ragazzo apatia” Aveva un sorriso a trentadue denti.
“Non chiamarmi così.” Mattia ficcò i fogli nella sua borsa.
“Mi sembrava avessi detto che non avresti più messo piede qui.” C’era qualcosa di strano nell’emozione del suo tono.
“Non l’ho esattamente detto…”
“Ma era sottinteso!”
Il ragazzo strizzò gli occhi.
“Sì, era sottinteso.”
Il sorriso non abbandonava mai il viso del moro, e le sue palpebre cascanti stridevano con la sua espressione.
Perché gli capitavano sempre tipi strani?
“Quindi che cosa ti porta di nuovo qui?”
“Potrei chiederti la stessa cosa…” Il biondo storse le labbra.
Le sopracciglia del ragazzo davanti a lui si sollevarono sopra le iridi verdi. “Io in realtà devo stare qui.”
Mattia sbadigliò. “Stagista?”
“No, paziente.” Il suo sorriso non accennava a vacillare.
In silenzio, il ragazzo biondo aggrottò le sopracciglia. “Sono stato insensibile…”
A Christian sfuggì una risata. “Non è vero. Non ti preoccupare.”
Nonostante portasse vestiti normali, casual, ad un esame più attento c’era davvero qualcosa di malato in lui. Era più pallido degli altri passanti nei corridoi, e morbidi cerchi scuri campeggiavano sotto i suoi occhi.
Mattia si assicurò di non fissarlo.
“So che non hai intenzione di chiedermelo, quindi te lo dirò e basta. Da quel che ho sentito, i dottori dicono che quello che ho si chiama… IFF?” Il moro incrociò le braccia. Si comportava come se stesse intrattenendo una normale conversazione sul tempo. “Insonnia familiare fatale? Se mi ricordo bene.”
Un brivido freddo percorse la schiena del biondo. Non aveva mai sentito parlare di quella malattia. Lo preoccupava abbastanza da strappargli qualche parola.
“Non penso di volerti chiedere i sintomi di questa malattia.”
“Beh, anche se volessi, io non saprei darti una risposta.” Un’altra risata. “Posso solo dire che dormire non mi viene più facile come una volta.” Rivelò con disinvoltura quello che avrebbe fatto soffrire chiunque altro, e con lo stesso sorriso.
Mattia quasi non poté trattenersi dal ricambiare il sorriso, e le sue labbra si contrassero a malapena. Guardò fisso in direzione di Christian, questa volta con gli occhi puntati su di lui. “Sei qui tutti i giorni?”
“Certo! Sono qui da… Quattro settimane, ormai.” Sbatté pigramente le palpebre.
“Capisco…” Il biondo annuì una volta sola. Per un attimo nessuno dei due aprì bocca, e presto quel breve silenzio divenne imbarazzante. “Beh, io ora me ne vado.”
Tienilo fuori, non lasciarlo entrare. È malato.
“Ah,uh, un secondo-.”
Mattia strinse la mascella. “Devo andare, Christian.” Si avviò.
Ti prego, non insistere.
“Per favore, ascolta.” Con le mani sui fianchi, il moro si chinò in avanti. “Per favore, ci vorrà solo un attimo”.
Il biondo era diretto, ma non senza cuore. Sbuffò e si voltò. “Cosa c’è? Devo davvero andare.”
Con gli occhi che gli si illuminarono, Christian raddrizzò la schiena e pescò qualcosa dalla sua tasca. Estrasse un cellulare, e, con orrore di Mattia, gli chiese il suo numero di telefono.
Che cosa doveva fare? Che cosa doveva dire? Il biondo non trovava letteralmente niente di speciale in Christian. Perché il malato l’aveva improvvisamente preso in simpatia? Avrebbe solo voluto respingerlo, gettare via i moduli d’iscrizione, e non rimettere mai più piede in quell’ospedale, ma per qualche strano e irritante motivo, il ragazzo trovava difficile dire di no al moro. Ci stava provando, ci stava davvero provando, ma non ci riuscì e basta.
“Io… Di solito… Non scrivo messaggi,” mormorò Mattia. Abbassò lo sguardo sul cellulare di Christian. Non riusciva a guardarlo in faccia. “Sono molto occupato. Tenersi in contatto con me non sarebbe una buona idea.”
Guardò le dita del moro stringersi intorno al telefono, e la sua mano ritrarsi lentamente.
“Ma-” Mattia si sconvolse da solo con quell’unica parola. Riusciva ancora a vedere la mano di Christian, bloccata dov’era.
“Immagino che potrei trovare un po’ di tempo per parlare, ogni tanto”. Sollevò lo sguardo, e incontrò quello del moro. Quegli occhi verdi brillavano.
Inserì rapidamente il suo numero e riconsegnò il telefono a Christian, lasciando vuota la sezione del nome del contatto.
“Grazie.” Il suo tono traboccava di eccitazione mentre inseriva il nome del suo nuovo contatto. Mattia osservò con attenzione il moro pronunciare e scrivere il suo nome.
“Ragazzo apatia” Christian stava per salvare il contatto quando fu interrotto dall’altro ragazzo.
“Non devi per forza scriverci quello.” Sospirò. “È… Mattia.”
STAI LEGGENDO
in another life
FanfictionDormire non era più facile come prima, Christian lo sapeva, e ora lo sapeva anche Mattia. [1° in #zenzonelli- 3/8/22] [1° in #lgbt- 4/8/22] DISCLAIMER Questa storia non è mia, ma è una traduzione dell'inglese di un'altra, proveniente da un altro fan...