Capitolo 10

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Jeremiah
Giovedì pomeriggio passai a prendere Lexi a casa sua, scoprii che abitava a due passi dalla mia università. Uscì di casa con le stampelle, al telefono mi aveva detto di averle, ma osservarla mentre cercava di usarle nella maniera più naturale possibile fu doloroso. Mi bloccai a guardarla e sentii di nuovo il senso di colpa colpirmi il petto. Avanzava lentamente e sembrava che potesse finire a terra da un momento all'altro. Scesi dall'auto per darle una mano, ma sul mio volto apparve un sorriso imbarazzato, motivo per cui mi disse: "Lo so, sono una frana anche con queste."
Scossi la testa per smentire la sua affermazione, ma iniziai a ridere, un po' perché era veramente terribile a camminare con le stampelle, un po' perchė stare con lei mi faceva provare troppe emozioni nello stesso momento. Rise anche lei e ne fui sollevato. "A mia discolpa, ho iniziato a camminare di nuovo soltanto ieri."

Una volta saliti in auto realizzai che avrei dovuto guidare con lei affianco e mi sentii abbastanza in soggezione. E se avessi fatto un altro incidente?
"Jeremiah?" Lexi mi distolse dai miei pensieri, a quanto pare le piaceva iniziare una frase chiamandomi per nome. Era un ottimo metodo per attirare l'attenzione dell'interlocutore.
"Credo sia giusto che anche io ti chieda scusa, sai, per l'incidente, come hai fatto te, quindi, mi dispiace." continuò.
Nel frattempo avevo acceso l'auto e cominciato a guidarla.
"È tutto okay. Ma posso farti una domanda? Perché avevi la cintura slacciata?" me lo stavo chiedendo da quando mio padre me l'aveva detto, Lexi sembrava la tipica ragazza che rispetta sempre le regole, quindi non riuscivo a spiegarmelo.
"Sono stata una stupida. Stavo tornando a casa, ero dalla mia migliore amica, lei vive sull'angolo di quella strada, quella da cui stavo uscendo. Avevo parcheggiato l'auto affianco allo stop praticamente. Sono salita e sono partita con la cintura ancora da mettere..." notai il suo imbarazzo mentre mi raccontava quelle cose e decisi di intervenire.
"Io ho fatto di peggio. Stavo guidando da ore, mancavano 5 minuti e sarei arrivato, così ho premuto sull'acceleratore..." era strano parlarne con lei. Ma era anche una situazione familiare, sentivo che poteva capirmi, capire la mia frustrazione, la mia vergogna. La consapevolezza di aver sbagliato e il senso di colpa per qualcosa che non si poteva più cancellare.
"Prometto di mettermi sempre la cintura prima di accendere l'auto, d'ora in avanti." disse con voce solenne.
"Prometto di non andare più oltre il limite di velocità consentito." continuai.
Erano due frasi banali. Scontate. Eppure ci eravamo ritrovati in quella situazione proprio perché ci eravamo scordati di quelle banalità.
"Neanche dopo l'una di notte." aggiunsi. Rise.
"Soprattutto dopo l'una di notte." concluse.
Ci fu qualche minuto di silenzio, Lexi stava guardando fuori dal finestrino e giocava con l'aria che le passava fra le dita della mano.
"Vai all'università?" domandai dopo un po'.
"Frequento la Finch University, è accanto a casa mia. Tu?"
"Anche io studio lì." constatai che avremmo potuto conoscerci in qualsiasi altro modo. In biblioteca. A mensa. Ad una lezione.
"Pensa, magari ci siamo incontrati altre volte, a mensa, nei corridoi, magari ci siamo anche parlati ad una festa e non ce ne ricordiamo." sorrise e ricambiai.
Pensai che mi sarei ricordato di lei se le avessi parlato.
Entrammo nel parcheggio dell'ospedale.

Non è sempre estate | Jeremiah FisherDove le storie prendono vita. Scoprilo ora